La gestione delle liti tributarie

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La gestione delle liti tributarie

Nell’ambito del contenzioso tributario, sono stati diversi gli interventi da parte del legislatore, anche recenti, volti a migliorare la fase processuale.

La valorizzazione di istituti come la mediazione tributaria, la conciliazione giudiziale, e la recente definizione agevolata delle liti fiscali, manifesta un rinnovato interesse verso il dialogo fra amministrazione finanziaria e contribuente, come proficua soluzione per la definizione giudiziale delle controversie fiscali.

Una simile evoluzione deve certamente guardarsi con favore nella misura in cui a un mirato intervento legislativo si accompagni una diffusa consapevolezza del ruolo socio-economico dei vari soggetti del rapporto tributario.

Ancora, il rapporto processuale tributario è caratterizzato da una netta contrapposizione di interessi tra le parti del rapporto sostanziale, invece di interpretare con trasparenza, buona fede e obiettività un ruolo che dovrebbe tendere alla realizzazione dell’interesse comune.

In più una maggiore valorizzazione della fase amministrativa del contenzioso garantirebbe un maggior grado di tecnicità, spesso carente in un sistema di giustizia che non riesce ad adattarsi a quelle che sono le caratteristiche del rito tributario. Di seguito si illustrano alcune fasi relative alla gestione delle liti con il fisco.

 

Gestione dei contenziosi fiscali

La gestione del contenzioso fiscale comprende molti aspetti, si va dalla richiesta della sospensione dell’atto impugnato alla possibile fase di reclamo o mediazione prima della Commissione tributaria, fino alla valutazione sull’opportunità di un accordo in sede di adesione o con la conciliazione giudiziale, alla scelta infine di utilizzare il processo telematico.

I rapporti con l’Amministrazione finanziaria possono anche instaurarsi in via stragiudiziale, pure in parallelo alla procedura contenziosa (è il caso della presentazione dell’ istanza di annullamento in autotutela o la richiesta della sospensiva in via amministrativa).

Di recente e per quanto riguarda le liti con il fisco, sono state introdotte alcune novità normative e forniti importanti chiarimenti da parte dell’Agenzia delle Entrate.

Rilevano in particolare:

  • il riconoscimento da parte dell’Agenzia della possibilità di presentare le istanze di adesione all’accertamento tramite Pec alla Direzione provinciale che ha emesso l’atto impositivo;
  • la circostanza che il deposito diretto del ricorso possa avvenire anche mediante consegna presso qualunque ufficio territoriale avente sede nella circoscrizione della Direzione provinciale che ha emanato l’atto da impugnare.

 

Relativamente all’invio tramite pec, si deve fare riferimento per come indicato dall’Agenzia alle disposizioni previste dal Codice dell’Amministrazione Digitale (Dlgs 82/2005), secondo cui le istanze e le dichiarazioni presentate per via telematica sono equivalenti alle istanze ed alle dichiarazioni sottoscritte con firma autografa apposta in presenza dell’addetto al procedimento, e la trasmissione del documento informatico via Pec equivale alla notifica via posta.

 

A seguito di tali previsioni, è stato ritenuto regolare l’inoltro dell’istanza di adesione mediante Pec alla casella di posta elettronica certificata della Direzione provinciale (per i grandi contribuenti, quella Regionale) competente ad emettere l’avviso di accertamento.

 

NB! - L’istanza dovrà essere firmata digitalmente o, in alternativa, sottoscritta con firma autografa e accompagnata dalla copia del documento d’identità.


Per il deposito del ricorso consegnato direttamente all’Agenzia delle Entrate, è stato chiarito che gli uffici territoriali sono delle articolazioni interne della Direzione provinciale e di conseguenza è valida la notifica anche mediante consegna ad uno di essi, ovviamente devono appartenere all’ambito territoriale della Direzione che ha emesso l’atto da impugnare.

 

Definizione agevolata

Il D.L. 50/2017 ha previsto la definizione delle liti pendenti rientranti nella giurisdizione tributaria in cui è parte l’Agenzia delle Entrate, ove la notifica del ricorso fosse avvenuta entro il 24 aprile 2017.

Per la definizione della lite, questa doveva essere pendente, anche presso la Cassazione o in sede di rinvio, alla data di presentazione della domanda di definizione, ossia entro il 2 ottobre 2017. Le agevolazioni prevedevano lo stralcio delle sanzioni comminate e degli interessi di mora, l’estinzione del processo.

 

NB! - Le eventuali controversie, ad esempio, su atti sanzionatori emessi dalle entrate non si potevano definire se inerenti a materia extrafiscale.

 

Non erano interessate dalla giurisdizione tributaria e quindi dalla definizione delle liti, le sanzioni relative al lavoro nero, e quelle concernenti il conferimento di incarichi, da parte di soggetti privati, a dipendenti pubblici senza l’autorizzazione dell’amministrazione di appartenenza.

 

In caso di irregolarità rilevate dall’Ufficio, questo entro il prossimo 31 luglio 2018 potrà opporre il diniego alla definizione, e qualora si ritenessero insussistenti o comunque non corrette le ragioni poste a base del diniego, i contribuenti destinatari potranno impugnare il provvedimento, entro 60 giorni dalla sua notifica, davanti alla Commissione tributaria presso cui pende la lite.

 

Per il ricorso bisognerà prestare molta attenzione, essendo opportuno chiedere non solo, in via principale, l’ammissione alla definizione, ma anche, l’immediata restituzione delle somme già pagate, unitamente al riconoscimento degli interessi maturati e maturandi.

Se non viene opposto alcun diniego, il processo si estinguerà per cessazione della materia del contendere a spese compensate o a carico della parte che le ha anticipate.

 

Dopo il 31 luglio 2018, in assenza di alcun diniego alla definizione delle liti, potrebbe essere opportuno attivarsi per ottenere il celere pronunciamento della sentenza di estinzione da parte del giudice dinanzi al quale risulta pendente la lite.

L’estinzione del contenzioso tributario si realizzerà, invece, automaticamente, senza la necessità di un provvedimento giudiziale, anche nel caso in cui il contribuente non si attivi per il pronunciamento, ma solo dopo il trascorrere dei sei mesi di sospensione avvenuta a seguito della definizione della lite pendente.

 

Il ricorso al giudice tributario

Per poter ricorrere al giudice tributario si dovrà innanzitutto verificare che la pretesa avanzata abbia natura tributaria e che questa deve essere contenuta in un provvedimento che rientri tra gli atti impugnabili.

 

Sono devolute all’attenzione del giudice tributario tutte le controversie che contengono una pretesa erariale rivolta al contribuente tramite atti idonei a incidere sulla sfera patrimoniale dello stesso.

Prima di vedere quali sono i provvedimenti contro i quali è possibile proporre riscorso, potrebbe essere utile distinguere gli atti autonomamente impugnabili e quelli non suscettibili di autonoma impugnazione.

 

Gli atti per i quali è prevista l’impugnazione immediata possono essere riclassificati in funzione delle fasi o delle modalità con cui viene esercitata la pretesa tributaria o si concretizza l’inerzia, espressa o tacita, dell’amministrazione a seguito della richiesta di un rimborso.

 

Nella fase accertativa, l’autonoma e immediata impugnabilità potrà essere esperita contro l’avviso di accertamento e di liquidazione del tributo o l’atto di irrogazione delle sanzioni oppure il provvedimento di liquidazione automatica dell’imposta e gli atti relativi alle operazioni catastali.

 

La contestazione degli atti relativi all’esecuzione dell’obbligazione tributaria già accertata passa attraverso l’immediata impugnazione del ruolo, della cartella di pagamento, dell’avviso di intimazione nonché dell’iscrizione di ipoteca e del fermo amministrativo di beni mobili registrati.

Contro l’inerzia dell’amministrazione a seguito della richiesta di un rimborso è esercitabile l’azione verso il rifiuto, (espresso o tacito) alla restituzione di tributi, sanzioni ed interessi o altri accessori non dovuti.

 

Rientra negli atti immediatamente impugnabili anche l’atto di sospensione del rimborso a seguito di carichi pendenti quantomeno per contestare la spettanza dell’eccedenza del credito rispetto a questi ultimi.

 

Tutti gli atti direttamente impugnabili possono essere contestati per vizi propri, ciò significa che possono essere sollevate eccezioni riguardanti non solo gli aspetti sostanziali inerenti la fondatezza in fatto e in diritto della pretesa, ma anche quelle attinenti alla conformità normativa, formale e procedurale.

 

NB! - Elemento essenziale per la validità degli atti autonomamente impugnabili è che gli stessi rechino l’esatta indicazione dei termini e dei modi per presentare ricorso avverso la pretesa tributaria.

 

All’infuori degli atti suscettibili di diretta impugnazione, la possibilità di adire la magistratura tributaria non viene preclusa qualora gli atti indicati dal legislatore come autonomamente impugnabili, non siano stati notificati o, siano stati irritualmente notificati, prima della notifica dell’atto successivo.

In tal caso, chi propone ricorso verso l’atto successivo a causa della mancata notifica del precedente, può far valere in giudizio i vizi propri dell’atto, anche in relazione a quelli che si sarebbero potuti sollevare nei confronti del primo atto.

 

In linea generale, non sono impugnabili quegli atti che non ledono la sfera giuridica del contribuente come, ad esempio, i processi verbali di constatazione, i questionari inviati dall’ufficio ai contribuenti e gli atti che esprimono una funzione consultiva. Tuttavia tali atti potranno essere presi in considerazione dal giudice qualora, con l’atto autonomamente impugnabile, venga anche contestata l’illegittimità dell’atto prodromico all’accertamento.

 

Proposizione del reclamo

Per contestare in via giudiziale un atto impositivo di valore fino a 50mila euro è necessario proporre prima il reclamo, che rappresenta un vero e proprio ricorso con cui si richiede all’ente impositore l’accoglimento dei motivi in esso riportati, prima di adire il giudice tributario.

Successivamente alla notifica del reclamo, tra ente impositore e contribuente si svolge una fase che può consistere nell’esame della proposta di annullamento totale o parziale dell’atto, o nel tentativo di pervenire ad una mediazione che porterebbe ad un abbattimento della pretesa, con la riduzione delle sanzioni al 35% del minimo.

 

NB! - Il reclamo deve essere visto come un istituto deflattivo del contenzioso tributario volto ad anticipare, in via amministrativa, la risoluzione della lite.

 

Atti interessati

Sono obbligatoriamente impugnabili mediante reclamo/mediazione gli atti emessi a partire dal 1° gennaio 2018 dall’Agenzia delle Entrate e dalle altre Agenzie fiscali, nonché dagli enti locali e dall’Agente della riscossione, di valore fino a 50mila euro.

Sono ad esempio reclamabili;

  • gli avvisi di accertamento ai fini delle imposte dirette, Iva e Irap;
  • gli avvisi di liquidazione e di rettifica di imposte d’atto;
  • gli atti irrogativi di sanzioni;
  • gli atti di accertamento di imposte e tributi locali, le cartelle di pagamento.

Il reclamo è poi necessario anche per le liti di rimborso e, in particolare, sia nel caso di diniego espresso che in quello di silenzio rifiuto. Sono infine soggetti a reclamo anche gli atti di valore indeterminabile, come gli avvisi di classamento.


Per verificare se l’atto impositivo è atto reclamabile occorre verificare se il valore dell’importo del tributo, al netto degli interessi, delle sanzioni irrogate e degli eventuali contributi previdenziali supera o meno i 50mila euro, e nel caso in cui vengono contestati violazioni per più tributi, il valore della lite è dato dalla somma dei vari tributi richiesti, al netto delle sanzioni e degli interessi. In caos di contestazione delle sole sanzioni, si deve fare riferimento all’imposta chiesta in restituzione, al netto degli interessi.

 

Contenuto e notifica

Il reclamo deve, a pena di inammissibilità, contenere le seguenti indicazioni:

  • la commissione tributaria cui è diretto;
  • le generalità e dati del ricorrente e del suo legale rappresentante;
  • l’ ente nei cui confronti è proposto, atto impugnato, oggetto della domanda;
  • i motivi di diritto e di merito per cui si ritiene che la pretesa sia illegittima;
  • il valore della causa per delineare se l’atto rientra nella procedura di reclamo;
  • la casella Pec, numero di fax e altri dati del difensore, nonché la sua sottoscrizione.

Il reclamo può contenere anche una motivata proposta di mediazione, completa della rideterminazione della pretesa, e nelle conclusioni occorre inserire la richiesta rivolta al giudice di annullamento dell’atto, di condanna alle spese processuali e di restituzione delle somme versate per effetto della riscossione frazionata, nonché la domanda di reclamo/mediazione rivolta all’ente impositore o incaricato della riscossione.

 

La notifica dell’atto (reclamo/mediazione) deve avvenire, insieme agli allegati previsti, mediante ufficiale giudiziario, consegna diretta o spedizione a mezzo posta in plico con attestato di ricezione senza busta.

La notifica deve avvenire, a pena di decadenza, entro il termine contemplato per il ricorso ossia vale a dire entro 60 giorni dalla notifica del provvedimento impugnato. A tale termine si applica l’eventuale sospensione feriale dei termini e/o la sospensione concessa in caso di accertamento con adesione.

Se trascorsi 90 giorni dalla notifica non si riesce a trovare un accordo, o in caso di mancato accoglimento, non è necessario formare un ulteriore ricorso, in quanto il reclamo stesso è già tale e senza alcuna aggiunta, il reclamo dovrà essere depositato presso la segreteria del giudice entro il termine perentorio di 30 giorni, insieme alla copia della ricevuta di spedizione/consegna del reclamo/mediazione, dell’atto reclamato, del certificato di pagamento del contributo unificato e della nota di iscrizione a ruolo.

 

La sospensione feriale

La legge 742 del 1969 ha previsto la sospensione feriale dei termini processuali e, dopo le modifiche apportate dal decreto giustizia (D.L. 132/2014 Art. 16) dal 2015, il decorso dei termini processuali è sospeso di diritto dal 1 al 31 agosto di ciascun anno, e riprende a decorrere dalla fine del periodo di sospensione.

Prima della modifica legislativa, la sospensione feriale operava dal 1° agosto al 15 settembre ovvero per 46 giorni.

Se il decorso ha inizio durante il periodo di sospensione, l’inizio stesso è differito alla fine di detto periodo. Come previsto dall’articolo 21 del Dlgs 546/1992 il ricorso deve essere proposto a pena di inammissibilità entro 60 giorni dalla notifica dell'atto impugnato, ma se tale termine scade tra il 1° ed il 31 agosto, o se questo periodo è compreso nel termine per impugnare, il ricorrente ha a disposizione altri 31 giorni, e i 60 giorni iniziali diventano 91.

Identica cosa avviene se il termine di 30 giorni per la costituzione del ricorrente o quello di 60 giorni previsti per la costituzione del resistente scadono nel periodo compreso tra l’ 1 ed il 31 agosto.

 

Deposito di documenti e memorie

Per il deposito di documenti, le parti possono adempiere fino a 20 giorni prima della data di trattazione, e fino a 10 giorni prima della trattazione della causa in pubblica udienza è possibile depositare memorie illustrative.

Nel solo caso di trattazione della controversia in camera di consiglio di depositare brevi repliche scritte fino a cinque giorni prima della trattazione.

In tutti questi casi bisogna stare attenti al computo dei giorni in quanto se il giorno iniziale cade nel periodo feriale (1° agosto-31 agosto) si deve procedere all'indietro fino al primo giorno utile.

 

I termini per impugnare

La sospensione può riguardare i termini per impugnare una sentenza e se il termine per proporre l'impugnazione scade nel periodo feriale, o se questo periodo è compreso nel termine ordinario di impugnazione, al termine ordinario si aggiungeranno i 31 giorni della sospensione di agosto.

La sospensione si applica anche per i termini di costituzione in appello o di proposizione di controricorso in Cassazione, e vale anche per il termine di riassunzione del giudizio e in caso di interruzione del processo. Non vale per la procedura incidentale della sospensiva cautelare per la particolare natura del provvedimento che si chiede e non opera davanti al giudice del lavoro e per le cause di opposizione alla esecuzione e agli atti esecutivi.


Anche per le ipotesi di accertamento con adesione e di mediazione opera la sospensione feriale dei termini, tuttavia in merito è dovuto intervenire il legislatore in quanto la Cassazione, con l’ordinanza 11632/2015 richiamando un suo precedente orientamento espresso sulla non cumulabilità della sospensione dei termini feriali con quelli previsti dalla legge sul condono 289/2002, aveva sostenuto che la sospensione feriale non si applica ai termini previsti per espletare la procedura di accertamento con adesione, che ha natura amministrativa.

Per risolvere questo contrasto è intervenuto il legislatore con l’articolo 7-quater, comma 18, del D.L. 193/2016, precisando che i termini di sospensione relativi alla procedura di accertamento con adesione si intendono cumulabili con il periodo di sospensione feriale dell'attività giurisdizionale.

 

L’obbligo di difesa tecnica

Nel procedimento tributario il legislatore ha previsto per il ricorrente, salvo alcune deroghe, l’obbligatorietà dell’assistenza di un difensore abilitato.

La mancanza di nomina di un difensore, ad eccezione dei casi in cui questa non è obbligatoria, comporta l’inammissibilità del ricorso, rimovibile, grazie anche alle modifiche normative intervenute nel processo tributario, se la parte privata ottempera alla nomina nei termini fissati dal giudice.

Le deroghe all’obbligatorietà di nomina del difensore variano in funzione di due parametri che possiamo definire di carattere qualitativo e quantitativo.

Per quanto riguarda il primo è espressamente prevista la non obbligatorietà della nomina di un altro difensore, qualora il destinatario dell’atto impugnato è anche il soggetto che normativamente è abilitato a patrocinare dinnanzi alle Commissioni.

Tuttavia coloro i quali hanno un’idoneità limitata in funzione della specifica materia, potranno difendersi personalmente limitatamente ad essa.

 

Resta ferma, quindi, la necessità di munirsi di un difensore con competenze ampie quando la materia dovesse riguardare questioni che esulano dalle circoscritte competenze per cui si è abilitati.


Il limite quantitativo, rappresentato dalla sola imposta o, per le liti relative alle sole sanzioni dall’importo di queste, entro il quale non è necessario nominare il difensore, era precedentemente fissato in 2.582,28 euro, dal 1° gennaio 2016, è stato portato a 3.000 euro.

 

Il superamento di quest’ultimo importo, obbliga a dotarsi di un professionista abilitato che sottoscriva il ricorso.

 

Conferimento dell’incarico

Risulta importante la modalità di conferimento dell’incarico che può essere fatta con atto pubblico o con scrittura privata autenticata. Nel caso in cui la procura sia posta in calce o a margine del ricorso, la sottoscrizione autografa del ricorrente è certificata dallo stesso difensore. Se si sceglie di instaurare il giudizio telematico, la procura alle liti può essere conferita mediante sottoscrizione e autenticazione digitale.

 

Il ricorso

L’avvio del processo tributario avviene mediante la proposizione del ricorso contro un atto impugnabile, a pena di decadenza entro 60 giorni dalla notifica.

Il ricorso viene, in un primo momento, proposto alla controparte, ed entro i 30 giorni successivi portato alla conoscenza del giudice tributario provinciale tramite la costituzione in giudizio.

Nella stesura del ricorso, occorre prestare attenzione alle cause che, potenzialmente, ne possono comportare l’inammissibilità.

In particolare, il ricorso deve contenere:

  • l’indicazione della Commissione tributaria provinciale cui è diretto;
  • i dati e le generalità del ricorrente e del suo legale rappresentante, la relativa residenza o sede legale, il domicilio eventualmente eletto nel territorio dello Stato;
  • l’Agenzia fiscale o l’ente locale o l’agente della riscossione nei cui confronti il ricorso è proposto;
  • il numero dell’atto impugnato;
  • l’oggetto della domanda;
  • i motivi per cui si ritiene che la pretesa sia illegittima e, dunque, da annullare.

 

A pena di inammissibilità, il ricorso va sottoscritto, nell’originale e nella copia destinata alla Commissione tributaria, dal difensore e deve contenere in calce o a margine la procura.

 

NB! – Non viene previsto uno schema per la stesura del ricorso, ma per una migliore esposizione, è opportuno dividere il fatto dal diritto, nonché specificare i singoli motivi per cui si chiede l’annullamento dell’atto e formulare le conclusioni.

 

In particolare, nella parte relativa al fatto bisogna illustrare sinteticamente ciò che è successo, evidenziando la procedura utilizzata dall’ufficio. E’ opportuno indicare la data di notifica dell’atto, in quanto in tal modo il giudice è in grado di verificare il rispetto del termine per ricorrere.

 

NB! - I motivi di diritto e di merito di ricorso devono essere evidenziati in maniera chiara, evitando argomentazioni prolisse o eccessivamente complesse.

 

Nella parte conclusiva del ricorso bisogna chiedere l’annullamento dell’atto impugnato (o la riduzione della pretesa), la condanna alle spese processuali e la restituzione di quanto già eventualmente corrisposto in sede di riscossione delle somme in pendenza di giudizio, comprensivo degli interessi.

In calce al ricorso, occorre poi riportare la dichiarazione di valore, utile per la quantificazione del contributo unificato ed elencare i documenti che verranno prodotti all’atto della costituzione in giudizio, i quali, peraltro, possono essere depositati, fino a 20 giorni liberi prima dell’udienza.

 

Nel ricorso è possibile avanzare l’istanza di sospensione della riscossione delle somme in pendenza di giudizio e chiedere la pubblica udienza, tenendo presente che in assenza di richiesta la causa si svolge di diritto in camera di consiglio.

 

Il ricorso in Commissione tributaria deve essere proposto mediante notifica all’ente impositore entro 60 giorni dalla notifica del provvedimento impugnato. La notifica può essere effettuata mediante consegna diretta o a mezzo posta, utilizzando il plico senza busta raccomandato con avviso di ricevimento o mediante ufficiale giudiziario. Anche in questo caso si applica l’eventuale sospensione feriale dei termini e/o la sospensione concessa in caso di accertamento con adesione.

 

Contributo unificato

Nel processo tributario, per ciascun grado di giudizio è dovuto un contributo unificato, il cui importo varia in relazione al valore della causa che va determinato computando, ai sensi dell’articolo 12, comma 2 del Dlgs 546/92, l’importo del tributo al netto degli interessi e delle eventuali sanzioni irrogate con l’atto impugnato.

In caso di controversie relative esclusivamente alle irrogazioni di sanzioni, il valore è costituito solo dalla somma di queste.

Non è dovuto nessun contributo per le fasi cautelari e quindi, nulla dovrà essere versato per eventuali domande di sospensione dell’esecuzione di atti.

Diversamente, per gli atti di valore indeterminabile, è prevista sempre una misura fissa (120 euro).

 

Quando con un unico ricorso vengono impugnati più atti, deve sempre essere presa a riferimento la maggiore imposta richiesta tramite ciascun avviso, senza sommare il quantum richiesto con i vari atti.

 

l pagamento del contributo unificato può avvenire, oltre che tramite una marca da applicare alla nota di iscrizione a ruolo o tramite bollettino postale, anche con modello F23, mentre per la parte pubblica, il contributo unificato è prenotato a debito.


Il controllo del contributo è di competenza della Commissione tributaria che può in caso di inadempimento, invitare la parte a regolarizzare la propria posizione, non potendo tuttavia rifiutare di ricevere l’atto per ragioni legate a versamenti non conformi.

In caso di insufficiente o mancato pagamento, sarà inviata una comunicazione di pagamento alla parte e solo in caso di persistente inerzia verranno irrogate le sanzioni previste dall’articolo 16 del D.P.R. 115/2002.


Nel ricorso o nell’appello, si deve sempre indicare il valore della lite, in quanto l’omessa indicazione comporta l’applicazione del contributo unificato nella misura massima (1.500 euro). Tale violazione, tuttavia, può sempre essere sanata entro trenta giorni dalla costituzione in giudizio, se il difensore deposita un atto con cui viene indicato il valore della lite.

 

Quadro Normativo

Decreto Legge n.50 del 24 aprile 2017

Decreto Legislativo n. 546 del 31 dicembre 1992

Decreto Legge n.132 del 12 settembre 2014

Decreto Legge n.193 del 22 ottobre 2016

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