Sicurezza sul lavoro: assolto il datore rispettoso dei protocolli Covid

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Sicurezza sul lavoro: assolto il datore rispettoso dei protocolli Covid

Con la sentenza n. 47904 del 1° dicembre 2023, la Corte di cassazione si è pronunciata sul rapporto tra le disposizioni emergenziali Covid e le ordinarie norme poste a tutela della sicurezza dei lavoratori.

Per gli Ermellini, sarebbe chiara la portata eccezionale della normativa d'emergenza, volta a rimodulare, durante la pandemia - considerata l'impossibilità di individuare concretamente, ex ante, un livello di "massima tutela" perseguibile - i profili della valutazione dei rischi e della individuazione delle misure da adottare da parte datoriale.

Assolto il datore rispettoso dei protocolli Covid

E' sulla scorta di tali rilievi che è divenuta definitiva l'assoluzione del presidente di una catena di supermercati, dai reati lui contestati in riferimento a una pluralità di violazioni delle disposizioni sulla sicurezza sul lavoro, riscontrate durante l'emergenza pandemica da virus Covid-19.

Dopo che il Tribunale aveva escluso la ricorrenza della penale responsabilità dell'imputato, il procuratore della Repubblica si era rivolto alla Suprema corte, ritenendo che la sentenza di assoluzione non avesse adeguatamente motivato in ordine ai vari capi di accusa.

Le contestazioni mosse al presidente, nel dettaglio, riguardavano la mancata adozione, come datore di lavoro, di strutture idonee a garantire una distanza interpersonale superiore al metro tra gli addetti alle casse e la clientela, la mancata indicazione nel Documento di Valutazione dei Rischi delle misure preventive e protettive del personale predetto, la mancata fornitura ai dipendenti di dispositivi di protezione individuale conformi e adeguati al rischio derivante dal virus.

Si censurava, in particolare, l'interpretazione che il Tribunale aveva dato dell'art. art. 29-bis del D.l. n. 23/2020, quale "scudo penale" a copertura dei soggetti posti in posizione di garanzia come il datore di lavoro.

Secondo il ricorrente, ossia, la legislazione emergenziale non aveva portato alla sospensione delle disposizioni ordinarie in materia e gli stessi protocolli, non aventi rango di norme di legge, potevano al più considerarsi alla stregua di "buone prassi.

La Terza sezione penale della Cassazione ha ritenuto infondate tali doglianze.

Regole emergenziali con valenza derogatoria?

Nel testo della decisione, gli Ermellini si sono soffermati, come anticipato, sui rapporti esistenti tra le disposizioni emergenziali progressivamente introdotte nell'ordinamento e le norme a tutela della sicurezza dei lavoratori, penalmente sanzionate ai sensi del D. Lgs. n. 81/2008.

La verifica della fondatezza delle contestazioni, infatti, imponeva di stabilire se dovesse riconoscersi, alle prime, una valenza derogatoria rispetto alla ordinaria portata applicativa delle seconde, e ciò, sia con riferimento a disposizioni di dettaglio, sia, più in generale, con riferimento al principio di massima tutela del lavoratore, elaborato e costantemente applicato dalla giurisprudenza attraverso l'interpretazione, ormai pienamente consolidata, dell'art. 2087 c.c.

Ebbene, secondo il Collegio di legittimità, la ricostruzione operata dal Tribunale, sul punto, meritava di essere condivisa.

Le disposizioni legislative emergenziali, in primo luogo, erano state interpretate secondo il loro significato letterale, vale a dire nel senso di consentire, qualora risultasse impossibile garantire la distanza interpersonale di un metro, l'utilizzo delle mascherine chirurgiche.

Interpretazione, questa, confermata anche dal fatto che il medesimo legislatore aveva invece "preteso" l'utilizzo dei dispositivi FFP2, in caso di contatto prolungato del lavoratore con l'utenza.

Protocolli, temporaneo discostamento da regola della massima sicurezza

Sul punto, il Tribunale aveva richiamato l'art. 29-bis del D.l. n. 23/2020, escludendo che tale disposizione potesse essere considerata uno "scudo", implicante un generico esonero da responsabilità del datore di lavoro.

In tale contesto, infatti, i protocolli generali e quelli specifici richiamati, soggetti a successivi aggiornamenti, avevano proprio la funzione di individuare e specificare le misure necessarie per la tutela dei lavoratori contro il rischio da contagio Covid, tenendo conto degli aspetti peculiari delle attività lavorative e dell'esperienza fino a quel momento maturata con riferimento ad un grave fattore di rischio di assoluta novità.

Correttamente, quindi, il Tribunale aveva posto in evidenza come, con la normativa emergenziale, si fosse, per un verso, proceduto alla temporanea individuazione delle misure di prevenzione e delle regole di cautela da osservarsi nei luoghi di lavoro, correlata all'eccezionalità dell'emergenza e a fattori di rischio sconosciuti.

Non era possibile, infatti, ricercare al di fuori delle norme emergenziali le misure dovute dal datore di lavoro ai sensi dell'art. 2087 c.c, non potendosi individuare ex post un diverso catalogo di misure applicabili al fine di attribuire "in maniera retroattiva" un'antidoverosità della condotta .

Il richiamo ai protocolli, così, doveva interpretarsi nel senso del "temporaneo discostamento" dalla regola giurisprudenziale della massima sicurezza possibile, proprio perché doveva essere l'adozione dei protocolli ad assicurare ai lavoratori livelli di sicurezza adeguati.

Per la Cassazione, tale percorso argomentativo era immune da censure.

La valorizzazione dei protocolli, da parte del legislatore dell'emergenza, non era stata effettuata in termini generici o astratti, ma attraverso una diretta, indiscutibile correlazione con gli obblighi gravanti sul datore ai sensi dell'art. 2087 c.c.

E questo nel senso, appunto, che, per riguardo ai rischi da contagio Covid, i datori di lavoro pubblici e privati "adempiono all'obbligo di cui all'art. 2087 del codice civile" applicando le prescrizioni e adottando le misure contenute nei protocolli.

Di conseguenza, l'interpretazione del Pm, secondo cui la portata di tale disposizione era circoscritta alla dinamica del rapporto civilistico, non trovava alcun riscontro nella lettera dell'art. 29-bis, apparendo, peraltro, poco convincente anche da un punto di vista sistematico, attesa la chiara portata eccezionale delle disposizioni in questione.

Da qui il rigetto del ricorso del Pm.

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