Danno da perdita di capacità lavorativa alla minore con protesi "a vita"

Pubblicato il 19 settembre 2015

Con sentenza n. 18305 depositata il 18 settembre 2015, la Corte di Cassazione, terza sezione civile, ha accolto il ricorso di due genitori, avverso il mancato riconoscimento, in favore della figlia minore, di un danno da lesione della capacità lavorativa, per effetto dello stato di incapacità permanente (nella specie sordità) derivatole da una non tempestiva diagnosi di meningite.

Il fatto che i medici abbiano rimediato allo stato invalidante mediante l'applicazione di una protesi – ha constatato la Cassazione - non è elemento sufficiente a giustificare l'esclusione, in base ad una valutazione prognostica, di un danno patrimoniale da perdita della capacità lavorativa. Ciò, atteso che il dover svolgere la propria vita con la costante percezione di aver applicata una protesi per sopperire al proprio deficit uditivo, è circostanza che di per sé contraddice e si oppone a detta esclusione.

La sopportazione di un impianto correttivo di un'anomalia psico-fisica, infatti, non può essere certo ignorata quando si deve stimare la capacità lavorativa di un soggetto E ciò, in particolar modo, quando si tratta di una minore, costretta a convivere con la propria invalidità sin dall'infanzia, in adolescenza, in età giovanile ed infine, quando si immetterà nel mercato del lavoro, dove sarà pur sempre percepita come "diversa" rispetto alle persone "normali".

 

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