La Corte europea dei diritti dell’uomo ha accolto il ricorso avanzato da alcuni medici al fine di ottenere un’equa soddisfazione in quanto parte lesa di una violazione posta in essere dall’Italia.
La vicenda prendeva le mosse dalla doglianza avanzata da sei medici oppostisi al provvedimento con cui, nei loro confronti, non era stato preso in considerazione, ai fini della quantificazione della pensione, il calcolo di un periodo lavorativo con contratto a tempo determinato.
Gli stessi, in particolare, nel periodo ricompreso tra il 1986 e il 1997, avevano lavorato presso il Politecnico dell’Università Federico II di Napoli sulla base di un contratto a tempo determinato, avente ad oggetto l’esercizio di un’attività professionale remunerata “a gettone”, ossia a vacazione. Questi, poi, erano stati assunti sulla base di un contratto a tempo indeterminato.
Altri dottori, che si erano trovati in un’analoga situazione, avevano adito con successo i giudici amministrativi al fine di ottenere il riconoscimento dell’esistenza di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato tra loro e l’università e il diritto al versamento dei contributi relativi alla sicurezza sociale e alla pensione.
I ricorrenti odierni avevano fatto lo stesso e dopo aver ottenuto successo in prima istanza, si erano visti ribaltare la decisone dal Consiglio di Stato nonché dichiarare irricevibili le loro domande a motivo di un mutamento legislativo e di un cambio nel riparto di giurisdizione tra giudice amministrativo e giudice ordinario.
Per questo avevano adito la Corte di Strasburgo.
Quest’ultima, nel 2014, aveva riconosciuto che la decisione italiana aveva violato il diritto dei ricorrenti di accedere a un tribunale, posto che erano stati privati della possibilità di reintrodurre i loro ricorsi davanti alla giurisdizione competente. L’annullamento, per irricevibilità, aveva frustrato le loro legittime aspettative di ottenere gli importi legati alla pensione, obbligandoli a supportare un carico eccessivo ed esorbitante.
La Corte, con la sentenza del 6 settembre, resa con riferimento ai ricorsi n. 29932/07 e n. 29907/07, ha deciso circa l’equa soddisfazione spettante alla parte lesa, condannando il nostro Paese a versare 34mila euro, per ogni ricorrente, per i danni materiali subiti, nonché un indennizzo di 8mila euro per i danni morali.
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