Molestie sessuali a collega: è discriminazione sul lavoro, sì al licenziamento

Pubblicato il 12 giugno 2025

La molestia sessuale al lavoro può integrare giusta causa di licenziamento, anche in assenza di precedenti disciplinari, qualora incida in modo grave sulla dignità e sul clima aziendale.

Il datore di lavoro, dal canto suo, ha un obbligo di prevenzione e repressione di simili comportamenti, in attuazione di normative nazionali e sovranazionali.

La valutazione di proporzionalità della sanzione deve considerare non solo la condotta in sé, ma anche il contesto, la frequenza e l’impatto sull’organizzazione del lavoro.

Molestie sessuali e licenziamento per giusta causa

Con ordinanza n. 13748 del 22 maggio 2025, la Corte di Cassazione, Sezione Lavoro, ha affrontato un caso di licenziamento per giusta causa legato a condotte di molestie sessuali sul luogo di lavoro.

Il caso esaminato  

La vicenda trae origine dal licenziamento per giusta causa irrogato da una società nei confronti di una lavoratrice, a seguito di condotte moleste e sessualmente inappropriate da questa tenute nei confronti di un collega uomo, anche alla presenza di altri lavoratori, e in più occasioni.

Le condotte contestate erano state documentate e ritenute provate nei gradi di merito, con riferimento anche alla violazione del Codice di Condotta Aziendale, che esplicitamente prevedeva sanzioni per comportamenti molesti.

Decisione della Corte d’Appello di Milano  

La Corte d’Appello, pur ritenendo accertate le condotte addebitate, le aveva giudicate non sufficientemente gravi da giustificare il licenziamento per giusta causa, escludendo che vi fosse stata una lesione del vincolo fiduciario tale da legittimare l’interruzione immediata del rapporto di lavoro senza preavviso.

Aveva inoltre sottolineato l’assenza di precedenti disciplinari a carico della lavoratrice e la necessità di una valutazione proporzionata.

Censure della società

La società aveva quindi proposto ricorso per cassazione lamentando la violazione degli articoli 2119 e 2106 c.c., nonché dei principi generali in tema di tutela della dignità della persona e contrasto alle molestie sessuali, anche in attuazione delle direttive europee e della normativa nazionale.

Decisione della Corte di Cassazione

La Corte di Cassazione ha accolto il ricorso della società datrice di lavoro, osservando che:

Esito del giudizio  

La Corte di Cassazione, ciò posto, ha cassato la sentenza impugnata e rinviato alla Corte d’Appello, in diversa composizione, per un nuovo esame della vicenda alla luce dei principi sopra esposti.

La disamina della Suprema corte

Tutela della dignità personale e contrasto alle discriminazioni di genere

Nella propria disamina, la Suprema corte ha evidenziato che ogni intrusione nella sfera intima e riservata della persona, se attuata in modo insistente e ripetuto, e senza riguardo per la presenza di altri, deve essere valutata con particolare attenzione.

Tale valutazione deve tener conto dei principi fondamentali della Costituzione. In particolare:

Questo quadro costituzionale trova applicazione concreta nelle norme che vietano e reprimono le discriminazioni fondate sul sesso, attraverso specifiche discipline antidiscriminatorie.

Tutela contro le molestie sessuali nel Codice delle pari opportunità

Particolare rilievo assume il D.Lgs. n. 198/2006 (Codice delle pari opportunità tra uomo e donna).

L’art. 26, comma 1, stabilisce – in linea con la normativa europea – che sono considerate discriminazioni anche le molestie.

Per molestie si intendono comportamenti indesiderati, legati al sesso, che abbiano lo scopo o l’effetto di violare la dignità della lavoratrice o del lavoratore, creando un clima intimidatorio, ostile, degradante, umiliante o offensivo.

Il comma 3-ter dello stesso articolo dispone che i datori di lavoro sono tenuti, ai sensi dell’art. 2087 c.c., ad assicurare condizioni di lavoro rispettose dell’integrità fisica e morale, e della dignità del lavoratore. Tali finalità possono essere perseguite anche tramite iniziative informative e formative, concordate con le organizzazioni sindacali.

Infine, il legislatore richiama l’impegno comune di imprese, sindacati, datori di lavoro e lavoratori a garantire un ambiente lavorativo rispettoso della dignità di ciascuno, basato su principi di eguaglianza e correttezza reciproca.

Tutela rafforzata e responsabilità del datore di lavoro

Queste disposizioni mostrano chiaramente l’intento del legislatore ordinario.

Da un lato, si vuole garantire una tutela specifica a chi subisce comportamenti indesiderati, legati al sesso, nel contesto lavorativo. Tali condotte vengono equiparate alla discriminazione, così da rafforzarne la rilevanza giuridica.

Dall’altro lato, si intende rafforzare gli obblighi di tutela in capo ai datori di lavoro. Questi ultimi devono vigilare affinché i comportamenti dei propri dipendenti non siano in contrasto con i valori fondamentali di rispetto e dignità della persona.

Legittimità del licenziamento per molestie sessuali

Le molestie sessuali sul luogo di lavoro, ciò posto, incidono negativamente sulla salute e serenità del lavoratore, anche sotto il profilo professionale. Tali condotte attivano l’obbligo di tutela in capo al datore di lavoro, ai sensi dell’art. 2087 del codice civile.

Pertanto - ha concluso la Corte - è legittimo il licenziamento del dipendente che abbia molestato sessualmente un collega sul luogo di lavoro.

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