Prima casa e vendita infraquinquennale: preliminare non evita la decadenza

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In caso di alienazione infraquinquennale di un immobile acquistato con le agevolazioni “prima casa, la stipula del solo contratto preliminare di acquisto di una nuova abitazione non consente di evitare la decadenza dal beneficio.

Ai fini della conservazione dell’agevolazione, il contribuente è tenuto a perfezionare il riacquisto mediante atto definitivo (rogito) entro dodici mesi dalla vendita dell’immobile agevolato. In mancanza del rispetto di tale termine, l’unica alternativa prevista dall’ordinamento è il ricorso al ravvedimento operoso.

Questo è quanto chiarito dall’Agenzia delle Entrate con la risposta n. 314 del 17 dicembre 2025.

Vendita infraquinquennale della prima casa: il caso esaminato

Nel caso affrontato nell’interpello, il contribuente aveva acquistato nel 2021 un’abitazione beneficiando dell’agevolazione “prima casa”, applicando l’imposta di registro nella misura ridotta del 2 per cento. Successivamente, nel gennaio 2025, l’immobile è stato venduto prima del decorso del termine quinquennale, a seguito di un trasferimento per motivi di lavoro.

Al fine di non incorrere nella decadenza dall’agevolazione fruita, il contribuente si è attivato per l’acquisto di una nuova abitazione da destinare a residenza principale. In tale contesto, nel settembre 2025, è stato stipulato e regolarmente registrato un contratto preliminare di compravendita relativo a un nuovo immobile.

Tuttavia, a causa di tempistiche non interamente dipendenti dalla propria volontà – in particolare legate all’iter di concessione del mutuo – il contribuente teme di non riuscire a perfezionare il rogito definitivo entro dodici mesi dalla vendita dell’immobile agevolato. Da qui il dubbio circa la possibilità di considerare la registrazione del preliminare come elemento idoneo a sospendere o “cristallizzare” il termine annuale previsto dalla normativa.

L’istante chiede, inoltre, se l’estensione a due anni del termine, introdotta dalla legge di Bilancio 2025 per altre fattispecie in materia di “prima casa”, possa trovare applicazione anche nel caso di vendita infraquinquennale, evitando così la decadenza dal beneficio e la conseguente riliquidazione dell’imposta.

Contratto preliminare e riacquisto della prima casa

Nel fornire la risposta n. 314 del 17 dicembre 2025, l’Agenzia delle Entrate ribadisce che, ai fini del mantenimento delle agevolazioni “prima casa” in caso di vendita dell’immobile prima del decorso di cinque anni, il requisito del riacquisto entro dodici mesi può dirsi soddisfatto solo con la stipula dell’atto definitivo di compravendita.

La registrazione di un contratto preliminare, anche se avvenuta entro il termine annuale previsto dalla norma, non è idonea a evitare la decadenza dall’agevolazione. Ciò in quanto il preliminare costituisce un contratto a effetti meramente obbligatori, con il quale le parti si impegnano a concludere un successivo contratto definitivo, ma non realizza il trasferimento della proprietà dell’immobile.

Secondo l’Amministrazione finanziaria, il comma 4 della Nota II-bis, articolo 1 della Tariffa, Parte I, allegata al D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131 (Testo unico dell’imposta di registro) richiede espressamente che il contribuente “proceda all’acquisto” di un altro immobile entro un anno dall’alienazione. Tale formulazione presuppone il verificarsi dell’effetto traslativo, che si produce esclusivamente con il rogito notarile. In assenza di tale effetto reale, la condizione posta dalla norma non può ritenersi rispettata.

L’Agenzia richiama, a sostegno di tale interpretazione, un orientamento ormai consolidato della prassi amministrativa. In particolare, la circolare n. 18 del 29 maggio 2013 ha chiarito che la stipula del preliminare entro l’anno dalla vendita del primo immobile non impedisce la decadenza dal beneficio, poiché non consente di qualificare l’operazione come “riacquisto” ai sensi della disciplina agevolativa. Analogo principio era già stato espresso nella risoluzione n. 66 del 3 maggio 2004.

Ne consegue che eventuali circostanze estranee alla volontà del contribuente – quali ritardi nell’erogazione del mutuo o slittamenti delle tempistiche notarili – non assumono rilevanza ai fini fiscali, non essendo previste dalla norma ipotesi di sospensione o proroga del termine annuale.

In definitiva, l’Agenzia delle Entrate conferma che, in caso di alienazione infraquinquennale dell’immobile agevolato, il solo preliminare non consente di conservare il beneficio “prima casa”.

L’unico strumento idoneo a evitare la decadenza resta il perfezionamento dell’acquisto mediante atto definitivo entro dodici mesi dalla vendita; in mancanza, il contribuente potrà esclusivamente ricorrere al ravvedimento operoso, nei termini e con le modalità previste dalla prassi amministrativa.

Pertanto, solo il rogito definitivo consente di evitare la decadenza in caso di vendita infraquinquennale.

Ravvedimento operoso in caso di mancato riacquisto della prima casa

Qualora il contribuente, a seguito della vendita infraquinquennale dell’immobile acquistato con i benefici “prima casa”, non sia in grado di perfezionare il riacquisto di un’altra abitazione entro dodici mesi dall’alienazione, l’ordinamento prevede la possibilità di ricorrere all’istituto del ravvedimento operoso.

In particolare, entro la scadenza dei dodici mesi dalla data di vendita, il contribuente è tenuto a presentare una specifica istanza all’ufficio dell’Agenzia delle Entrate presso il quale è stato registrato l’atto di alienazione dell’immobile agevolato. Con tale comunicazione, il contribuente:

  • manifesta espressamente la volontà di non procedere al riacquisto di un nuovo immobile entro il termine previsto;
  • richiede la riliquidazione dell’imposta di registro applicata in sede di acquisto della “prima casa”.

A seguito della presentazione dell’istanza, l’Amministrazione procede alla riliquidazione delle imposte dovute, con conseguente obbligo, in capo al contribuente, di versare:

  • la differenza tra l’imposta di registro applicata in misura agevolata e quella ordinariamente dovuta;
  • le imposte ipotecaria e catastale nella misura ordinaria, se originariamente agevolate;
  • i relativi interessi, calcolati secondo le regole ordinarie.

In tale ipotesi, non trovano applicazione le sanzioni amministrative, in quanto l’attivazione del ravvedimento operoso consente di regolarizzare spontaneamente la posizione fiscale prima dell’avvio di attività di controllo da parte dell’Amministrazione finanziaria.

L’Agenzia delle Entrate precisa, inoltre, che il ricorso al ravvedimento operoso è possibile solo se il termine dei dodici mesi non è ancora decorso.

Termine biennale prima casa: esclusa l’applicazione analogica

Circa l’ipotesi prospettata dal contribuente di applicare in via analogica l’estensione da uno a due anni del termine previsto dalla legge di Bilancio 2025 (articolo 1, comma 116, legge 30 dicembre 2024, n. 207) anche alla fattispecie di vendita infraquinquennale, la risposta n. 314/2025 ravvisa quanto segue.

Si esclude in modo espresso la possibilità di applicare, in via analogica, il termine biennale introdotto dalla legge di Bilancio 2025 alla fattispecie della vendita infraquinquennale dell’immobile agevolato.

L’Amministrazione chiarisce, innanzitutto, che l’estensione da uno a due anni del termine per procedere alla vendita dell’immobile pre-posseduto, prevista dall’articolo 1, comma 116, della legge 30 dicembre 2024, n. 207, riguarda esclusivamente la fattispecie disciplinata dal comma 4-bis della Nota II-bis all’articolo 1 della Tariffa, Parte I, del D.P.R. n. 131/1986.

Tale modifica normativa non ha inciso sul contenuto del comma 4, che continua a prevedere, in caso di alienazione infraquinquennale, l’obbligo di riacquisto di un’altra abitazione entro dodici mesi dalla vendita per evitare la decadenza dall’agevolazione.

Dunque, il termine biennale introdotto dalla legge di Bilancio 2025 non può essere esteso a fattispecie diverse da quelle espressamente previste dal legislatore. La disciplina dell’agevolazione “prima casa”, in quanto norma di stretta interpretazione, esclude l’applicazione analogica o estensiva.

Ne consegue che solo un intervento normativo espresso potrebbe modificare il termine di dodici mesi previsto dal comma 4 della Nota II-bis, che resta pertanto immutato.

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