Proventi truffa investiti in attività economica? Professionista risponde di autoriciclaggio

Pubblicato il 29 agosto 2019

Confermati, in sede di legittimità, gli arresti domiciliari di un avvocato, indagato per autoriciclaggio dopo che aveva investito in attività imprenditoriali parte dei profitti ottenuti dalla truffa perpetrata ai danni di un proprio cliente.

Il professionista aveva impugnato la decisione del giudice del riesame, confermativa della misura cautelare, asserendo l’operatività della clausola di esclusione della punibilità, prevista dall’articolo 648-ter 1, quarto comma, del Codice penale.

Ai sensi di questa disposizione, si rammenta, non sono punibili le condotte per cui il denaro, i beni o le altre utilità vengono destinate alla mera utilizzazione o al godimento personale.

Il Tribunale del riesame, invece, aveva escluso la sussistenza di detta causa di non punibilità, riconducendo tutti i versamenti effettuati dal legale ad attività imprenditoriali.

Autoriciclaggio: idoneità ingannatoria dei trasferimenti? Godimento personale escluso

Con sentenza n. 36522 del 28 agosto 2019, la Corte di cassazione ha aderito alla lettura operata dai giudici di merito, sottolineando come non vi fosse dubbio che quelle poste in essere dall’avvocato tramite i proventi della truffa fossero attività di natura imprenditoriale.

Attività che la Suprema corte ha escluso potessero essere ricondotte nell'ambito della “mera utilizzazione o al godimento personale” - come per contro asserito dal ricorrente - considerato che nell’atto di impugnazione non era stata contestata, di per sé, l’idoneità ingannatoria dei trasferimenti di denaro.

La Seconda sezione penale ha ribadito, così, l’immediato discrimine esistente fra la destinazione del denaro, bene o altra utilità alla “mera utilizzazione o al godimento personale” e la condotta di cui al primo comma dell’articolo 648-ter.1 c.p. che sanziona, invece, l’impiego, la sostituzione o il trasferimento dei proventi illeciti in attività economiche, finanziarie, imprenditoriali o speculative, laddove connotati da concreta idoneità di camuffamento.

La richiamata non punibilità - ha quindi precisato - trova una logica e coerente spiegazione nel divieto del ne bis in idem sostanziale solo a condizione che l’agente si limiti al mero utilizzo o godimento dei beni provento del delitto presupposto, senza porre in essere alcuna attività decettiva al fine di ostacolarne l’identificazione.

Secondo gli Ermellini, infatti, la norma in esame avrebbe come chiara ratio quella di limitare la non punibilità ai soli casi in cui i beni proventi del delitto risultino cristallizzati, attraverso la mera utilizzazione o il godimento personale, nella disponibilità dell’agente del reato presupposto.

In definitiva, la destinazione dei proventi del delitto presupposto in un’attività economica non può essere considerata alla stregua di una mera utilizzazione o di un godimento personale.

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