La perdita di fiducia – se motivata e documentata – può costituire di per sé un valido presupposto per il licenziamento del dirigente, soprattutto quando deriva da carenze di coordinamento e vigilanza nell’esercizio delle funzioni, purché il recesso non sia arbitrario e rispetti i principi di buona fede e correttezza.
Con l’ordinanza n. 26609 del 2 ottobre 2025, la Corte di Cassazione – Sezione Lavoro è tornata a pronunciarsi sul delicato tema del licenziamento del dirigente, ribadendo la distinzione giuridica tra “giusta causa” e “giustificatezza” del recesso.
La decisione, che trae origine da una controversia relativa a un dirigente licenziato per presunti errori gestionali in una commessa estera, offre un’ulteriore precisazione dei confini applicativi del potere datoriale di recesso nel rapporto dirigenziale, in cui il vincolo fiduciario assume un rilievo centrale.
La vicenda oggetto del giudizio
Un dirigente di una società di costruzioni era stato licenziato nel dicembre 2018 a seguito di due contestazioni disciplinari legate alla gestione di un appalto per un’opera stradale in Svezia.
Nel dettaglio, gli era stata addebitata la mancata traduzione in inglese di documenti necessari alla partecipazione alla gara e un’istruttoria tecnico-economica carente, che aveva comportato una sottostima dei costi e del fabbisogno di personale.
Il Tribunale di Roma aveva dichiarato il licenziamento privo di giusta causa, ma “assistito da giustificatezza”, condannando la società al solo pagamento dell’indennità di preavviso. La Corte d’Appello aveva confermato tale decisione, rigettando le reciproche impugnazioni.
Il dirigente, quindi, aveva proposto ricorso in Cassazione, lamentando, tra i motivi:
Le doglianze del ricorrente sono state tuttavia rigettate dalla Corte di legittimità.
La Suprema Corte, nella propria disamina, ha ribadito che, in materia di dirigenti d’azienda, la disciplina limitativa del potere di licenziamento prevista per i lavoratori subordinati (Legge n. 604/1966 e Statuto dei Lavoratori) non si applica in modo automatico.
La tutela del dirigente si fonda sul concetto di “giustificatezza del recesso”, nozione di matrice contrattuale collettiva, diversa dalla giusta causa ex art. 2119 c.c. e dal giustificato motivo di cui all’art. 3 della Legge n. 604/1966.
Secondo la Cassazione, la giustificatezza deve essere valutata in relazione al rapporto fiduciario che lega il dirigente al datore di lavoro: essa può derivare anche da una condotta non disciplinarmente grave, ma tale da compromettere la fiducia nell’idoneità futura del dirigente a svolgere correttamente le proprie funzioni.
Il ricorrente aveva sostenuto la tardività della prima contestazione (riferita a fatti del 2016), invocando la violazione del principio di immediatezza.
La Corte ha ritenuto infondata la doglianza, richiamando il consolidato orientamento secondo cui il principio di immediatezza della contestazione deve essere interpretato in senso relativo, tenendo conto:
Ne consegue che la valutazione sulla tempestività spetta al giudice di merito, e non può essere sindacata in Cassazione, se adeguatamente motivata.
Uno dei punti centrali del ricorso riguardava la presunta violazione dell’art. 2049 c.c. (responsabilità per fatto altrui).
La Corte ha chiarito che tale disposizione, che regola la responsabilità civile del datore di lavoro per i danni arrecati dai dipendenti, non è applicabile in ambito disciplinare.
Tuttavia, ciò non esclude la possibilità di imputare al dirigente una responsabilità diretta per carenze di vigilanza e coordinamento nell’ambito della propria area gestionale.
Nel caso concreto, la Cassazione ha condiviso la valutazione dei giudici di merito, secondo cui il dirigente non aveva adeguatamente coordinato e indirizzato l’attività di analisi e studio dei documenti di gara, mostrando imperizia non compatibile con il ruolo ricoperto.
La Corte di Cassazione, in definitiva, ha rigettato integralmente il ricorso, confermando la correttezza della decisione d’appello.
Secondo i giudici di legittimità:
Nelle sue conclusioni, la Cassazione ha richiamato il principio secondo cui la valutazione del comportamento del dirigente deve essere unitaria e complessiva, tenendo conto:
La responsabilità dirigenziale, ha sottolineato la Corte, non deriva da meri errori operativi, ma da condotte che, valutate nel loro insieme, compromettono la fiducia nella capacità di gestione e supervisione.
Sul punto, gli Ermellini hanno richiamato quanto già precisato dalla giurisprudenza di legittimità: per la giustificatezza del licenziamento del dirigente non serve una verifica puntuale delle singole condotte, ma una valutazione complessiva che escluda l’arbitrarietà del recesso, basata su circostanze idonee a compromettere il rapporto fiduciario, proporzionate ai poteri e alle responsabilità del dirigente.
In particolare, è stato ribadito che:
Il rigetto del ricorso ha comportato la condanna del dirigente al pagamento delle spese processuali, oltre accessori di legge e spese generali. La Corte ha inoltre disposto il raddoppio del contributo unificato ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del D.P.R. n. 115/2002 (TU spese di giustizia).
Sintesi del caso | Un dirigente di una società di costruzioni è stato licenziato per irregolarità nella gestione di una commessa in Svezia. Gli veniva contestata la mancata traduzione di documenti necessari alla gara e l’insufficiente istruttoria tecnico-economica pre-gara, che aveva comportato una sottostima dei costi e del personale. |
Questione dibattuta | Se il licenziamento del dirigente fosse privo di giusta causa o comunque giustificato, in particolare considerando la presunta tardività della contestazione disciplinare e la responsabilità del dirigente per carenze di coordinamento. |
Soluzione della Corte di Cassazione | La Corte ha confermato la legittimità del licenziamento, ritenendolo assistito da giustificatezza. Non è necessaria una verifica analitica delle condotte, ma una valutazione globale che escluda l’arbitrarietà del recesso e accerti la perdita di fiducia nel dirigente per carenze di coordinamento e vigilanza. |
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