I commercialisti in merito al dibattito sullo Statuto del contribuente difendono la certezza del diritto

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A dieci anni dall’introduzione in Italia dello Statuto del contribuente, proprio gli stessi contribuenti, il Fisco e la magistratura si stanno interrogando sul difficile rapporto che spesso intercorre tra l’Amministrazione finanziaria e il cittadino; sulla delicata questione dell’abuso di diritto e sul difficile ruolo di chi, come la Corte di Cassazione, è chiamato a dirimere le controversie tra le sopra citate parti.

È ovvio, che ognuna delle suddette categorie tende a mettere al primo posto lo Statuto e ad interpretarlo nel modo ad esse più congeniale: i contribuenti vorrebbero elevarlo a norma costituzionale, l’agenzia delle Entrate vorrebbe avere la possibilità di poterne modificare delle parti a seconda dei casi, e, infine, si trova la Cassazione che riconosce come il giudice molte volte può emettere le sentenze “secondo il suo gusto e a volte secondo il gusto del contribuente”.

Sull’argomento è intervenuto anche Claudio Siciliotti, presidente del Cndcec, che, come portavoce dell’intera categoria, ha ribadito che il giusto rapporto tra contribuente e Fisco è quello che dovrebbe basarsi sul rispetto di norme che devono essere considerate inderogabili in entrambe le direzioni. Pertanto, di fronte ad una controversia che vede contrapposti il Fisco e il contribuente ciò che dovrebbe sempre prevalere è la certezza del diritto e non la paura che una sentenza se non favorevole al contribuente potrebbe frane crollare il gettito.

Anche in
  • Il Sole 24 Ore – Norme e Tributi, p. 26 – Le esigenze del gettito non possono sostituire la certezza del diritto – Siciliotti

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