Atti persecutori mediante whatsapp: condanna confermata

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Atti persecutori mediante whatsapp: condanna confermata

La Corte di cassazione ha confermato la condanna di un imputato per i reati di violenza sessuale e di atti persecutori in danno di una donna.

Rispetto al delitto di atti persecutori, i giudici di merito avevano dato rilievo a diverse condotte, tra le quali l’invio alla vittima di centinaia di messaggi telefonici whatsapp di contenuto minatorio ed offensivo, alcuni pedinamenti effettuati nei confronti della donna e gli insulti a lei rivolti. Comportamenti, questi, che, oltre a provocare nella vittima degli attacchi di panico, la avevano indotta a non pernottare più nella sua abitazione, a farsi accompagnare dai genitori al lavoro e a rivolgersi ad un medico psichiatra.

Messaggi whatsapp e sms nel telefono sequestrato: documenti

L’imputato aveva impugnato la condanna disposta dalla Corte d'appello lamentando, tra gli altri motivi, un’illegittima acquisizione ed utilizzazione dei testi dei messaggi scambiati mediante telefoni cellulari, in quanto acquisiti in copia prodotta dalla parte civile.

Doglianza, questa, ritenuta infondata dalla Suprema corte, la quale, con sentenza n. 47283 del 21 novembre 2019, ha precisato che i messaggi whatsapp e gli sms conservati nella memoria di un telefono cellulare sottoposto a sequestro hanno natura di documenti ai sensi dell’articolo 234 Cpp, sicché la relativa acquisizione non è sottoposta alla disciplina delle intercettazioni telefoniche e nemmeno a sequestro di corrispondenza.

In proposito – hanno altresì ricordato gli Ermellini - si è anche affermato che ha natura di documento pure il testo di un messaggio sms fotografato dalla polizia giudiziaria sul display dell’apparecchio cellulare su cui esso è pervenuto.

In ogni caso, poi, per consolidata giurisprudenza, “il documento legittimamente acquisito in copia è soggetto alla libera valutazione da parte del giudice, assumendo valore probatorio, pur se privo di certificazione ufficiale di conformità e pur se l’imputato ne abbia disconosciuto il contenuto”.

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