Commercialisti e imprese agricole, precisazioni su incompatibilità
Pubblicato il 25 agosto 2025
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Con il Pronto Ordini del 8 agosto 2025, n. 64, il Consiglio Nazionale dei Dottori Commercialisti e degli Esperti Contabili (CNDCEC) ha fornito nuove indicazioni sul delicato tema del rapporto tra attività professionale e attività agricola.
Il caso da cui trae origine il parere riguarda un iscritto che, utilizzando la stessa partita IVA impiegata per l’attività di consulenza, gestisce anche un’impresa agricola familiare, regolarmente iscritta in Camera di Commercio. Negli anni l’attività si è strutturata, con ottenimento di autorizzazioni e certificazioni, arrivando a generare un fatturato non trascurabile.
Il quesito posto
L’Ordine territoriale che ha inoltrato il quesito ha chiesto se tale situazione possa integrare una causa di incompatibilità ai sensi dell’art. 4, comma 1, lett. c) del D.Lgs. 139/2005, norma che vieta ai commercialisti di svolgere attività di impresa commerciale, sia in proprio che per conto di terzi.
La domanda è quindi se l’attività agricola in questione sia solo un’attività accessoria, utile alla gestione del patrimonio familiare, oppure se debba essere considerata una vera e propria attività imprenditoriale agricola.
Il quadro normativo di riferimento
Il contesto normativo di riferimento si articola attorno a tre pilastri fondamentali che regolano il rapporto tra professione e attività agricola.
In primo luogo, l’art. 4 del D.Lgs. n. 139/2005 sancisce in modo esplicito l’incompatibilità della professione di dottore commercialista ed esperto contabile con l’esercizio di attività di impresa commerciale, sia direttamente che per conto altrui.
A tale disposizione si affianca l’art. 2135 del codice civile, che fornisce la definizione di impresa agricola, individuando le attività che rientrano in tale ambito, come la coltivazione del fondo, la selvicoltura, l’allevamento di animali e le attività connesse.
Completa il quadro il D.Lgs. n. 99/2004, che ha introdotto la figura dell’Imprenditore Agricolo Professionale (I.A.P.), qualificando come tale chi dedica all’attività agricola almeno la metà del proprio tempo lavorativo e ne ricava almeno il 50% del reddito globale da lavoro. È importante sottolineare che la qualifica di I.A.P. non discende da una mera autodichiarazione, ma viene attribuita formalmente dagli enti regionali competenti o da organismi da essi delegati, previo accertamento della sussistenza dei requisiti richiesti dalla legge.
Tale sistema normativo consente, quindi, di distinguere tra attività agricola esercitata in modo marginale o conservativo e attività agricola che assume connotati di vera e propria impresa, con conseguenti effetti sull’incompatibilità con la professione ordinistica.
Commercialisti e attività agricola: condizioni per l’incompatibilità
Le precisazioni del CNDCEC, rese nel PO n. 64/2025, in merito al quesito posto evidenziano una distinzione netta tra le diverse modalità con cui l’attività agricola può essere esercitata e le conseguenze che ne derivano sul piano dell’incompatibilità.
- Attività agricola come mero godimento o conservazione del fondo
- Se l’attività agricola è svolta in forma limitata, finalizzata unicamente al mantenimento e alla gestione del fondo, non si configura incompatibilità con l’esercizio della professione di commercialista.
- In questo caso la vendita di prodotti agricoli ha carattere accessorio e serve solo a coprire le spese di manutenzione, senza trasformarsi in un’attività d’impresa vera e propria.
- Attività agricola con carattere imprenditoriale
- L’incompatibilità scatta invece quando l’attività agricola assume una dimensione imprenditoriale, con produzione organizzata, commercializzazione stabile e incremento significativo del fatturato.
- Tale condizione è ancora più evidente se l’iscritto ottiene la qualifica di Imprenditore Agricolo Professionale (I.A.P.), che rappresenta la prova formale del fatto che l’attività agricola costituisce la principale fonte di reddito e di impiego lavorativo.
- Ruolo della qualifica di I.A.P.
- Per il CNDCEC, il riconoscimento della qualifica di I.A.P. da parte delle Regioni o degli enti delegati è il punto dirimente: in presenza di tale qualifica, si configura automaticamente la condizione di incompatibilità ai sensi dell’art. 4, co. 1, lett. c) del D.Lgs. 139/2005.
- In questo scenario, l’iscritto deve richiedere il trasferimento all’elenco speciale dell’Albo.
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