Commette peculato e non truffa il curatore che si appropria delle somme del fallito

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La Corte di cassazione, con la sentenza n. 3327 depositata il 26 gennaio 2010, ha ribaltato una decisione con cui i giudici di appello avevano mutato il capo di imputazione nei confronti di una donna, curatore in una procedura concorsuale, che si era appropriata di alcune somme approfittando dell'autorizzazione con cui il giudice delegato le aveva consentito di accedere ai conti correnti del fallimento. Mentre in primo grado la curatrice era stata condannata per peculato, in secondo grado la fattispecie di riferimento era stata mutata in truffa con conseguente diminuzione della pena. Per questo motivo, la Procura di Milano aveva fatto ricorso innanzi ai giudici di legittimità chiedendo, nuovamente, la modifica della condanna.

La Suprema corte, in particolare, dopo aver precisato il discrimine tra le due figure delittuose e spiegato che nel peculato il possesso costituisce un antecedente della condotta di appropriazione mentre nella truffa la condotta è finalizzata proprio all'impossessamento, ha rilevato la sussistenza del più grave reato di peculato ritenendo decisiva la circostanza che la donna avesse approfittato dell'autorizzazione concessagli dal giudice e quindi della disponibilità giuridica dei soldi del fallimento.
Allegati Anche in
  • ItaliaOggi, p. 24 – Risponde di peculato il curatore che si appropria dei soldi dell'impresa - Alberici
  • Il Sole 24 Ore – Norme e Tributi, p. 35 – Il curatore risponde del reato di peculato – G. Ne.

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