Contratti a termine: cosa cambia nel 2025
Pubblicato il 30 gennaio 2025
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Ennesime novità per i contratti di lavoro a tempo determinato con il decreto Milleproroghe e il Collegato lavoro.
Il primo tra i provvedimenti normativi (decreto legge 27 dicembre 2024, n. 202) modifica al 31 dicembre 2025 il termine previsto entro cui i datori di lavoro del settore privato potranno stipulare contratti di lavoro a tempo determinato superiori a 12 mesi con specifiche causali individuali non previste dalla contrattazione collettiva.
Quanto al secondo provvedimento (legge 13 dicembre 2024, n. 203), invece, sono due le rilevanti modifiche apportate alla disciplina dei contatti a termine: la modifica delle disposizioni attinenti al c.d. periodo di prova e l’interpretazione autentica del legislatore in materia di contratti stagionali.
Causali per il contratto a termine fino al 31 dicembre 2025
L’art. 14, comma 3, decreto legge 27 dicembre 2024, n. 202 (c.d. Decreto Milleproroghe), non ancora convertito, sostituisce all’art. 19, comma 1, lett. b), decreto legislativo 15 giugno 2015, n. 81, le parole attinenti al termine del 31 dicembre 2024, prorogandole di fatto al 31 dicembre 2025.
A seguito del Decreto Lavoro 2023 (decreto legge 4 maggio 2023, n. 48), il legislatore era intervenuto riscrivendo le c.d. causali per i rapporti di lavoro determinato superiori a 12 mesi, ma non eccedenti i 24 mesi.
Specificatamente, il riscritto art. 19, del Testo Unico dei Contratti prevedeva la possibilità di stipulare un contratto di lavoro subordinato di durata superiore a 12 mesi, ma non eccedente i 24 mesi, solo in presenza di almeno una delle seguenti condizioni:
- nei casi espressamente previsti dai contratti collettivi nazionali, territoriali o aziendali, sottoscritti, ai sensi dell’art. 51, del medesimo testo normativo, dalle organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale o dalle loro rappresentanze sindacali aziendali ovvero dalla rappresentanza sindacale unitaria;
- in assenza di previsione da parte dei contratti collettivi, e comunque entro il 31 dicembre 2024, per esigenze di natura tecnica, organizzativa o produttiva individuate dalle parti del rapporto di lavoro;
- per i casi di sostituzione di altri lavoratori.
La modifica del Milleproroghe, dunque, agisce sulla lettera b) di cui sopra, consentendo, anche per l’anno 2025, di stipulare contratti di lavoro a tempo determinato di durata superiore ai 12 mesi (ma anche proroghe e rinnovi, in considerazione del richiamo espresso alle causali previsto dall’art. 21, decreto legislativo 15 giugno 2015, n. 81), in assenza di specifiche indicazioni da parte della contrattazione collettiva, delegando alle parti la possibilità di individuare specifiche esigenze di natura tecnica, produttiva o organizzativa, fermo restando il limite massimo previsto di ventiquattro mesi.
Viene pertanto confermata la flessibilità per i datori di lavoro di continuare il rapporto a termine post dodici mesi anche in assenza di specifiche prescrizioni delle parti sociali.

Contratto a termine e periodo di prova
L’art. 13, legge 13 dicembre 2024, n. 203, entrata in vigore lo scorso 12 gennaio 2025, ha modificato le previsioni contenute all’art. 7, comma 2, decreto legislativo 27 giugno 2022, n. 104, prevedendo che, fatte salve disposizioni più favorevoli della contrattazione collettiva, la durata del periodo di prova è stabilita in un giorno di effettiva prestazione per ogni 15 giorni di calendario a partire dalla data di inizio del rapporto di lavoro, fermo restando una durata minima di 2 giorni e massima di 15 giorni, per i rapporti di lavoro aventi una durata non superiore a 6 mesi, e di massimo 30 giorni, per quelli aventi durata superiore a 6 mesi e inferiore a 12 mesi.
La modifica in commento, pertanto, si incardina all’interno del Decreto Trasparenza, che aveva già previsto, a mente del medesimo art. 7, il principio generale di proporzionalità del periodo di prova nel contratto di lavoro a tempo determinato sulla base della durata del contratto e delle mansioni da svolgere in relazione alla natura dell’impiego.
La novella in commento, però, presenta molteplici dubbi applicativi, la cui risoluzione parrebbe essere destinata ad un intervento di prassi o ad una nuova revisione normativa.
Una prima questione attiene stringatamente al concetto di disposizioni più favorevoli della contrattazione collettiva, sul quale, chi scrive, ritiene che sussista un legittimo dubbio circa la specifica soggettività della disposizione in commento. Quand’anche, infatti, la contrattazione collettiva preveda un termine più ampio rispetto all’insensibile periodo fissato dalla norma in argomento, vi è da chiedersi cosa è effettivamente più favorevole per il prestatore di lavoro. Sebbene possa assumersi che, tendenzialmente, il favor praestatoris si concretizzi in un periodo di prova ridotto e, conseguentemente, ad una stabilizzazione temporalmente più rapida, nelle ipotesi di recesso datoriale ex art. 2096, Codice Civile, ecco che l’eventuale periodo di prova previsto dalla contrattazione collettiva, difforme dal periodo legale, possa – di fatto – essere considerato meno favorevole per il prestatore di lavoro che, in mancanza, avrebbe avuto dalla sua parte i termini legali già previsti dalla citata modifica.
Se il ragionamento di cui sopra può dirsi condivisibile vi è altresì da chiedersi quale possa essere un regime di maggior favore eventualmente stabilito dalla contrattazione collettiva, atteso che le giornate di effettiva prestazione sancite dalla norma appaiono già largamente stringenti, specie laddove si sia in presenza di lavoratori adibiti a mansioni di media o particolare complessità. Ed al riguardo, si aggiunga che l’ultimo periodo del citato comma 2, contrasta con il primo periodo dello stesso comma, dimenticando tout court che la valutazione proporzionale va effettuata anche con riferimento alle mansioni a cui è, per l’appunto, adibito il lavoratore.

L’effetto boomerang potrebbe essere, naturalmente, che i periodi di prova si trasformino in mini contratti a tempo determinato, poi successivamente prorogati anche per periodi differenti rispetto al primo contratto.
Attività stagionali: tra interpretazione autentica e contributo NASpI
L’art. 11, del Collegato Lavoro, interpreta autenticamente l’art. 21, comma 2, decreto legislativo 15 giugno 2015, n. 81, sancendo definitivamente che rientrano nelle attività stagionali, oltre quelle indicate dal decreto del Presidente della Repubblica 7 ottobre 1963, n. 1525, le attività organizzate per fare fronte a intensificazioni dell’attività lavorativa in determinati periodi dell’anno, nonché a esigenze tecnico-produttive o collegate a cicli stagionali dei settori produttivi o dei mercati serviti dall’impresa, secondo quanto previsto dai contratti ex art. 51, del medesimo decreto legislativo n. 81/2015.
Al riguardo, pertanto, viene fugato ogni dubbio circa la possibilità di derogare a particolari e stringenti regole previste per i “canonici” contratti a tempo determinato, tra le quali:
- il superamento del limite di durata massima di 24 mesi per i rapporti di lavoro a tempo determinato intercorsi tra lo stesso datore di lavoro e lo stesso lavoratore, conclusi per lo svolgimento di mansioni di pari livello e categoria legale (art. 19, comma 2);
- la possibilità di prorogare o rinnovare i contratti di lavoro a tempo determinato, per periodi superiori a 12 mesi, senza individuare specifiche causali (art. 21, comma 1);
- la deroga al c.d. stop & go o periodo cuscinetto, rispettivamente previsto per i rapporti di durata inferiore o superiore a sei mesi, secondo cui, normalmente, è prevista la trasformazione del rapporto a tempo indeterminato dalla stipula del secondo contratto;
- l’esclusione dai limiti di contingentamento.
Dando uno sguardo alla prassi amministrativa sinora prodotta, parrebbero sussistere alcune rilevanti omissioni e dubbi applicativi.
Specificatamente, nella nota 30 dicembre 2024, n. 9740, l’Ente, nel commentare sinteticamente il citato art. 11, riduce l’interpretazione autentica intervenuta alla sola deroga sulle disposizioni di cui all’art. 21, comma 2, ovverosia sul tema del c.d. periodo cuscinetto di 10 o 20 giorni, a seconda che il contratto sia rispettivamente di durata inferiore o superiore a sei mesi. Questo, infatti, risulta essere l’unica deroga citata in favore dei lavoratori con contratto stagionale, sebbene la medesima nota richiami il precedente parere di cui alla nota 10 marzo 2021, n. 413, secondo cui l’individuazione della stagionalità effettuata dall’art. 21, comma 2, appare dunque utilizzabile anche in relazione alle ulteriori disposizioni del D. Lgs. n. 81/2015 che ad esso rinviano (v. art. 19, comma 2, art. 21, comma 01, art. 23, comma 2 lett. c), art. 29, comma 3-bis). Un oggettivo contrasto che, laddove interpretato in senso restrittivo, rischierebbe di vanificare gli effetti dell’interpretazione autentica in argomento e si porrebbe in aperta contrapposizione con i precedenti orientamenti di prassi (interpello 20 maggio 2016, n. 15).
Spostando, invece, lo sguardo sul piano contributivo, l’INPS si è espresso con il messaggio 23 gennaio 2025, n. 269, ribadendo, in diritto, quanto già esplicitato dall’INL (esclusiva incidenza sul c.d. stop & go), e analizzando gli effetti connessi all’obbligo di versamento del contributo addizionale NASpI ed al relativo incremento per i casi di rinnovo.
L’analisi tecnico giuridica posta dall’Istituto previdenziale è priva di grinze, di talché, non operandosi alcuna modifica al regime contributivo di cui all’art. 2, comma 28, legge 28 giugno 2012, n. 92, e non essendoci interventi sul successivo comma 29, lett. b), per i lavoratori a tempo determinato assunti “per fare fronte a intensificazioni dell'attività lavorativa in determinati periodi dell'anno, nonché a esigenze tecnico-produttive o collegate ai cicli stagionali dei settori produttivi o dei mercati serviti dall'impresa, secondo quanto previsto dai contratti collettivi di lavoro”, in attività definite “stagionali” dall’articolo 11 della legge n. 203/2024, è dovuto il contributo addizionale NASpI e l’aumento del medesimo contributo nei casi di rinnovo dei contratti di lavoro a tempo determinato dei predetti lavoratori, non rientrando tali attività tra quelle elencate dal D.P.R. n. 1525/1963.
Al riguardo, l’Istituto specifica che, ai fini della compilazione della denuncia Uniemens i datori di lavoro che assumono lavoratori per lo svolgimento delle citate attività, non ricomprese nell’elenco di cui al D.P.R. n. 1525/1963, ma definite “stagionali” per effetto del citato art. 11, dovranno utilizzare il valore “S” nel campo “qualifica3” della denuncia.
Nel testo di produzione amministrativa viene espressamente sancito, infatti, che la fattispecie esonerativa di cui alla richiamata lettera b) del comma 29 dell’art. 2, dal 1° gennaio 2016, si riferisce esclusivamente alle ipotesi di “lavoratori assunti a termine per lo svolgimento delle attività stagionali di cui al decreto del Presidente della Repubblica 7 ottobre 1963, n. 1525. Anche in questo caso, però, l’Istituto sembra aver omesso indicazioni di prassi già contenute nella circolare 4 agosto 2020, n. 91, nella quale era stato specificato che la modifica introdotta dall’art. 1, comma 13, lett. a), legge 27 dicembre 2019, n. 160 cristallizza le attività stagionali che danno luogo alla non applicazione del contributo aggiuntivo in argomento nei contratti collettivi ed avvisi comuni stipulati entro il 31 dicembre 2011, sicché – ai soli fini della determinazione dell’ambito di applicazione dell’esclusione del versamento del contributo NASpI – l’esonero dal versamento della predetta contribuzione utile al finanziamento dell’indennità di disoccupazione, trova applicazione anche laddove le attività stagionali siano state individuate in forza di contratti collettivi, tra le stesse parti ed il medesimo settore, anche successivi al 31 dicembre 2011, qualora detti rinnovi contengano – tempo per tempo, senza soluzione di continuità – espresso riferimento a quelle attività stagionali individuate dai CCNL stipulati entro il 31 dicembre 2011, ossia senza modificare le attività produttive definite stagionali.
QUADRO NORMATIVO Legge 13 dicembre 2024, n. 203 |
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