Corso di formazione professionale: chi partecipa è consumatore

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Corso di formazione professionale: chi partecipa è consumatore

Professionista è chi, nel momento in cui stipula un contratto, esercita la professione ed agisce per finalità a questa inerenti.

Va escluso, pertanto, che possa ritenersi professionista e, dunque, non consumatore chiunque aspiri ad una professione che, tuttavia, non abbia ancora conseguito.

Corso di formazione professionale: i partecipanti non sono professionisti

E' quanto puntualizzato dalla Corte di cassazione - ordinanza n. 8120 del 26 marzo 2024 -  in riferimento alla controversia che vedeva contrapposti una una donna, aspirante estetista, e una società, in merito al contratto con cui quest'ultima si era impegnata a predisporre un corso di formazione professionale per l'acquisizione della qualifica in esame.

La società aveva convenuto in giudizio la donna dopo che quest'ultima non aveva corrisposto 8 delle 12 rate con le quali si era impegnata a provvedere al pagamento del corso.

Il giudizio era stato promosso davanti al Giudice di pace, con domanda volta ad ottenerne la condanna al pagamento della somma residua.

La donna si era difese eccependo la vessatorietà delle clausole inserite nel contratto sottoscritto dalle parti e, in particolare, di quelle che consentivano il recesso ad libitum alla controparte ma non a lei e, comunque, prevedevano l'obbligo di pagare le rate residue a prescindere dalla causa di recesso.

Dette clausole, peraltro, erano state sottoscritte in blocco e non specificamente.

La partecipante, inoltre, aveva eccepito l'impossibilità sopravvenuta di fruire della prestazione, in quanto era emersa l'esigenza di accudire il figlio.

Mentre, in primo grado, il Giudice di pace aveva respinto la domanda della società, ritenendo fondate le eccezioni formulate dalla convenuta, il Tribunale aveva successivamente dato ragione alla compagine.

Il giudice di secondo grado, in particolare, aveva escluso sia che la donna potesse avere agito in qualità di consumatrice, sia la vessatorietà delle clausole in discussione, sia, infine, la rilevanza dell’impedimento ai fini della risoluzione del contratto o comunque dell'impossibilità della prestazione.

Da qui il ricorso della donna davanti ai giudici di legittimità.

Contratto non firmato nell'esercizio della professione: si applica il Codice del consumo

La ricorrente, tra i motivi, aveva lamentato la violazione dell'articolo 3 del Codice del consumo: a suo parere, il giudice di merito aveva errato nell'escludere che la stessa avesse agito in qualità di consumatore, asserendo che il contratto sarebbe stato stipulato per esigenze di tipo professionale, da un soggetto che, sebbene non fosse ancora professionista, mirava tuttavia a diventarlo.

Secondo la difesa della deducente, infatti, nel momento in cui il contratto era stato stipulato lei non aveva una professione e doveva, dunque, escludersi che avesse agito in qualità di professionista.

Gli Ermellini hanno ritenuto fondato tale rilievo: la ricorrente non aveva stipulato il contratto nell'esercizio della sua professione o per scopi inerenti all'attività professionale svolta.

La stipula, invero, era avvenuta allo scopo di acquisire una professione, vale a dire allo scopo di diventare professionista in futuro dato che in quel momento non lo era.

Detta circostanza era pacifica ed ammessa dallo stesso giudice di merito.

L'errore in cui era caduto il tribunale era evidente: è professionista chi, nel momento in cui stipula, esercita la professione ed agisce per finalità a queste inerenti.

Del resto - ha rammentato la Suprema corte - l'articolo 3 del Codice del consumo definisce il consumatore come la persona fisica che agisce per scopi estranei all'attività imprenditoriale o commerciale eventualmente svolta.

Nel caso di specie, la ricorrente non svolgeva in quel momento alcuna attività imprenditoriale, commerciale o professionale ma mirava, semmai, ad acquisirla in futuro.

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