False comunicazioni sociali: gli amministratori rispondono del reato di bancarotta

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False comunicazioni sociali: gli amministratori rispondono del reato di bancarotta

Con sentenza n. 36807 del 5 settembre 2023, la Corte di cassazione si è occupata della vicenda processuale che aveva coinvolto due amministratori di una Srl dichiarata fallita, imputati di concorso nei reati di bancarotta impropria attraverso false comunicazioni sociali, bancarotta fraudolenta, bancarotta preferenziale e semplice.

Tra le condotte loro contestate, l'addebito di aver falsificato le scritture contabili obbligatorie della società, procedendo a due rivalutazioni volontarie di immobili strumentali e così alterando la rappresentazione del compendio immobiliare.

Nel dettaglio, il valore attribuito in bilancio ad alcuni cespiti immobiliari, volontariamente rivalutato una prima volta nel 1995 e una seconda volta nel 1996, aveva incassato un incremento percentuale, rispetto a quello iniziale, del 76%.

Secondo l'accusa, tali condotte avevano permesso di esporre, nel bilancio, un attivo, un patrimonio netto e un risultato economico di gran lunga superiori a quelli reali, occultando le effettive condizioni della società e consentendo la prosecuzione dell'attività sociale, così da cagionare o, quantomeno, aggravare il dissesto.

Falsità del dato valutativo, è reato

Gli imputati si erano rivolti alla Suprema corte per impugnare la condanna loro impartita in sede di merito e, sul punto, avevano dedotto che le predette rivalutazioni erano state effettuate in applicazione del principio di cui all'art. 2423 c.c. il quale, nella gerarchia delle fonti, assumeva preminenza rispetto ai principi contabili richiamati dal consulente tecnico dell'accusa.

Secondo la loro difesa, l'accrescimento di valore dei beni era giustificato da due motivi: l'elevata svalutazione monetaria degli anni di riferimento e l'incremento di valore determinato dall'evidenziato avviamento aziendale creato.

Tali argomentazioni sono state giudicate infondate dal Collegio di legittimità: le cause eccezionali che, a detta degli imputati, avrebbero imposto la rivalutazione - vale a dire l'accresciuto valore dell'immobile in dipendenza delle migliorie operate e la significativa inflazione di quel periodo - erano rimaste allo stato di mere allegazioni e non rappresentavano affatto uno scenario "imprevedibile ed imponderabile".

Si trattava di una delle tante evenienze tipiche della ordinaria aleatorietà del marcato che, in quanto tale, non legittimava alcuna deroga al criterio di valutazione indicato dall'art. 2426 del Codice civile.

Tutto ciò, invero, dava conto della falsità del dato valutativo indicato, oggettivamente incoerente rispetto ai criteri rigidi e predeterminati indicati nell'articolo richiamato.

Beni d'impresa: no a rivalutazione discrezionale ed indiscriminata

A seguire, una puntualizzazione della Suprema corte in materia di rivalutazione dei beni d'impresa: le ultime modifiche normative succedutesi nel tempo, da ultimo con la Legge di bilancio 2023, pur incidendo sulla disciplina della rivalutazione, non hanno determinato in alcun modo una abolitio criminis.

Esse, infatti, non permettono una rivalutazione discrezionale ed indiscriminata e, modificando i soli criteri di redazione del bilancio, non incidono su un elemento rilevante ai fini della descrizione del fatto.

Dato che la falsità del dato valutativo è connessa alla coerenza della valutazione rispetto a criteri predeterminati e vincolanti e che tali criteri sono funzionali ad assicurare, nell'interesse dei creditori e, in generale, dei terzi che entrano in contatto con l'imprenditore, una rappresentazione veritiera, corretta e trasparente del dato economico, ciò che rileva è la valutazione di congruità operata alla luce dei criteri di valutazione vigenti al momento della consumazione del fatto.

La modifica dell'elemento normativo, in definitiva, non ha inciso sull'originario disvalore penale del fatto.

Sull'imputazione in esame, in definitiva, erano corrette le conclusioni cui era giunta la Corte d'appello nell'affermare la penale responsabilità dei due amministratori in termini di bancarotta impropria da false comunicazioni sociali.

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