La critica al datore non giustifica il licenziamento

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La critica al datore non giustifica il licenziamento

Il dipendente invita i colleghi a non subire supini gli atteggiamenti "inquisitori" della società datrice di lavoro? Esercita il proprio diritto di critica, no al licenziamento.

La Suprema corte ha confermato l'illegittimità del licenziamento disciplinare per giusta causa intimato alla dipendente di una Spa.

Aggressione e disturbo di attività formative? Recesso annullato se manca la prova

Alla lavoratrice era stato contestato di aver aggredito un addetto allo staff di vigilanza dell'azienda, strattonandogli il braccio ed incitando i colleghi a contrastare la presenza del medesimo e di aver arrecato disturbo durante lo svolgimento di attività di formazione, manifestando peraltro la sua contrarietà all'espletamento di tale attività.

La Corte d'appello, in sede di rinvio, aveva escluso che la ricorrente avesse tenuto il comportamento aggressivo contestatole. Secondo quanto emerso dall'istruttoria, infatti, la prestatrice, dopo aver espresso il suo parere sul corso di formazione e vedendo che il sorvegliante stava annotando qualcosa sul suo bloc notes, aveva solamente chiesto a quest'ultimo, toccandogli un braccio, cosa avesse scritto.

Sempre dalle deposizioni assunte, poi, non era risultato che la donna avesse incitato gli astanti a contrastare la presenza del sorvegliante.

E parimenti, sempre dalle testimonianze considerate dalla Corte distrettuale, non era risultata alcuna condotta di disturbo delle attività del corso, ascrivibile alla dipendente.

Quest'ultima, in tale contesto, aveva ammesso soltanto di essersi rivolta agli altri operai, evidentemente presenti, dicendo loro "che non avrebbero dovuto subire supini gli atteggiamenti in qualche modo inquisitori della società nei corsi".

Critica nei confronti dell'azienda? Non basta per il licenziamento

Condivisibilmente, quindi, il giudice di gravame aveva concentrato la propria attenzione su quel poco che in punto di fatto restava da valutare, anche rispetto ai limiti del diritto di critica valevoli pure per un lavoratore subordinato.

La Corte di secondo grado, quindi, aveva espresso il suo definitivo convincimento sul caso dopo aver accertato "i fatti nella loro storicità", giungendo in maniera argomentata alla conclusione "che l'episodio contestato e cioè quello che ha determinato il recesso non appare grave sia nella sua portata soggettiva che sotto il profilo oggettivo".

Da qui anche la conclusione secondo cui la sanzione espulsiva comminatale era eccessiva, e ciò "tenuto conto del periodo di servizio prestato dal dipendente, dell'assenza di precedenti disciplinari, della posizione del dipendente stesso all'interno dell'organizzazione aziendale, delle modalità di commissione delle violazioni e della inesistenza di un danno provocato all'azienda".

Statuizione, questa, ritenuta condivisibile dalla Sezione lavoro della Cassazione, pronunciatasi, nella vicenda in esame, con ordinanza n. 28515 del 30 settembre 2022.

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