La diseredazione

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La diseredazione

Caratteri e normativa di riferimento

La clausola di diseredazione è una disposizione atipica a contenuto negativo che può essere inclusa nel testamento, mediante la quale il testatore esclude dalla devoluzione del patrimonio a titolo successorio uno o più soggetti fra i propri successibili.

L’istituto è privo di espressa menzione e disciplina nel nostro codice civile ed è da sempre fonte di dibattito, malgrado sia ammesso in diversi ordinamenti europei e faccia parte della nostra storia, essendo previsto nel diritto romano.

Anticamente, infatti, il pater familias era libero di exheredare, purché lo facesse espressamente nel testamento: i sui heredes, soggetti alla potestas del pater alla morte di questi, e i postumi, ovvero i discendenti sopravvenienti, dovevano essere necessariamente citati in esso, o per l’istituzione di erede o in quanto diseredati, e solo a questa condizione si poteva validamente attribuire beni a persone esterne alla cerchia familiare. L’istituto conobbe mutamenti nel tempo, fino ad essere soppresso da Giustiniano nel 542 con la Nov. 115, residuando la possibilità di exheredatio solo in tassativi casi di indegnità dei successibili.

Tornando all'oggi, le questioni problematiche sottese sono l’ampiezza dell’autonomia del testatore e la garanzia dei diritti successori dei familiari, che possono entrare in conflitto poiché la diseredazione consente al de cuius di esprimere una volontà ablativa.

Siamo, dunque, nell'ambito della successione testamentaria, che il nostro ordinamento distingue dalla successione legittima, normativamente disciplinata e comunque operante qualora il defunto nulla abbia disposto, e dalla successione necessaria, relativa ai soli legittimari o eredi necessari (art. 536 ss. c.c.), aventi in ogni caso diritti sull'asse ereditario.

L’intervento della legge in questa materia è munito di riconoscimento costituzionale all'art. 42 c. 4 Cost.

Ai sensi dell’art. 587 c.c., il testamento è l’atto con il quale un soggetto dispone della totalità o di parte dei propri beni per il tempo in cui avrà cessato di vivere.

Si ritiene tendenzialmente che si tratti di un negozio giuridico unilaterale, ma la tesi non è pacifica in dottrina. Costituisce un atto personalissimo, sempre liberamente revocabile fino alla morte dell’interessato, nonché formale, potendo assumere le forme ordinarie (testamento olografo; testamento per atto pubblico; testamento segreto), ovvero quelle speciali previste dalla legge, purché sia scritto.

Il suo contenuto tipico ha carattere patrimoniale, ma può inglobare anche statuizioni atipiche ovvero clausole di tenore non patrimoniale previste dalla legge, come la riabilitazione dell’indegno a succedere. Le disposizioni in esso contenute – al di là della denominazione attribuita dal testatore – sono a titolo universale, quindi istitutive di erede, ovvero a titolo particolare, dunque a titolo di legato (art. 588 c.c.). Si deve tenere presente che, comunque, la quota di beni di cui il defunto può liberamente disporre nel testamento coincide non con l’intero patrimonio, ma con la porzione corrispondente alla cd. quota disponibile, individuabile una volta sottratti i beni per legge spettanti ai legittimari, restando le eventuali disposizioni testamentarie eccedenti soggette a riduzione (art. 457 c.c.; art. 554 c.c.).

La diseredazione va tenuta distinta dall’indegnità a succedere, ovvero l’esclusione ex lege di soggetti che abbiano tenuto nei confronti del de cuius o dei suoi prossimi congiunti taluno dei comportamenti pregiudizievoli di particolare gravità indicati dal legislatore (art. 463 c.c.).

Orientamenti in dottrina e giurisprudenza: la svolta della Cassazione nella sentenza n. 8352/2012

Nel dibattito sulla vexata quaestio dell’ammissibilità della clausola di diseredazione, non ha posto particolari problemi l’ipotesi in cui accanto ad essa il testamento contenga disposizioni attributive di beni a beneficio di altri successibili. In tal caso si è ritenuta possibile e valida l’operazione.

Sempre controversa è stata, invece, la validità nell'ipotesi di testamento che si limiti a disporre in negativo senza attribuire beni ad alcuno.

In dottrina, un solido argomento in senso contrario è stato tradizionalmente ricavato dalla lettera dell’art. 587 c.c., che parla di “disporre” delle proprie sostanze per il tempo successivo alla morte e così evidenzierebbe il carattere essenzialmente patrimoniale dell’atto testamentario ed escluderebbe la configurabilità della totale assenza di attribuzioni. Si è anche sostenuta l’invalidità della clausola di diseredazione nel testamento di solo contenuto ablativo per illiceità della causa da cui essa sarebbe sorretta, essendo non meritevole di tutela l’interesse in tal modo perseguito.

Non sono mancate, comunque, voci favorevoli alla validità della deposizione, in quanto idonea a dare automaticamente maggiore consistenza alla quota dei soggetti non diseredati.

Qualcuno ha anche visto nella possibilità di diseredare uno strumento funzionale all'ampliamento dei casi di esclusione per indegnità a succedere previsti tassativamente dalla legge. Ma a questa tesi si è obiettato sottolineando le importanti differenze tra i due istituti, in particolare ricordando che solo l’indegnità è posta a presidio anche di interessi non meramente privati e può intaccare perfino la posizione dei legittimari.

La giurisprudenza ha modificato nel tempo i propri orientamenti sulla questione. In passato tendeva a ritenere valida la diseredazione solo se accompagnata nella scheda testamentaria da altre disposizioni attributive di contenuto positivo, espresse o implicite (cfr. Cass. n. 1458/1967). Successivamente venne affermandosi la tesi secondo la quale la clausola negativa potesse ritenersi sintomo della volontà positiva del testatore di istituire i successibili non diseredati quando dall'esame dell’atto emergesse una qualche volontà attributiva del de cuius, ammettendo solo in questo caso la prova diretta di tale volontà – desumendola eventualmente anche da elementi esterni al testamento – e restando in caso contrario preclusa la prova (cfr. Cass. n. 6339/1982; Cass. n. 5895/1994).

Tali orientamenti appaiono oggi superati a seguito della svolta interpretativa operata dalla Suprema Corte di Cassazione nella sentenza n. 8352/2012. Qui gli Ermellini hanno affermato la validità della disposizione testamentaria destitutiva, seppure non accompagnata da altre disposizioni attributive e quand'anche manchi la prova di un’istituzione implicita. Ciò sottolineando che un tale contenuto di segno negativo può ben rientrare nel “disporre” di cui parla l’art. 587 c.c. e che il legislatore non ha posto la successione legittima e la successione testamentaria in un rapporto di gerarchia, ma piuttosto di reciproca integrazione. Vengono, comunque, riconfermati i limiti che valgono anche per le altre disposizioni testamentarie: il rispetto dell’ordine pubblico e della quota spettante ai legittimari.

Il carattere patrimoniale del contenuto tipico dell’atto testamentario non comporta di per sé che le disposizioni ivi contenute debbano essere esclusivamente attributive. La legge stessa dà rilievo a possibili diposizioni di segno negativo, se si pensa che l’erede può venire in concreto gravato di una hereditas damnosa, o che il legittimario può essere escluso dalla distribuzione della quota disponibile.

Il testamento, inoltre, non va dimenticato, può contenere disposizioni di contenuto non patrimoniale (art. 587 c. 2 c.c.). Vi sono casi in cui è evidente l’intento legislativo di dare tutela anche a interessi del testatore non patrimoniali o dotati di rilevanza sociale: basti pensare alle disposizioni in favore dell’anima e in favore dei poveri (artt. 629 e 630 c.c.).

Nella sentenza in esame si sottolinea che la volontà negativa espressa nella diseredazione non è di per sé priva di valenza dispositiva, in quanto è comunque espressione di un regolamento di rapporti patrimoniali: si ha ugualmente un’idonea manifestazione di volontà, seppure diretta in senso inverso rispetto alla dichiarazione di segno positivo.

Va segnalato che, dopo questo arresto della Cassazione, nel dibattito si è posta l’attenzione sulle tutele a beneficio dei legittimari eventualmente lesi dalla clausola di diseredazione che sia illegittimamente a loro rivolta: in simili fattispecie le soluzioni ad oggi proposte oscillano fra la nullità e la riducibilità.

Recenti novità: regolamento UE n. 650/2012 in vigore dal 17 agosto 2015 e art. 448 bis c.c.

Si precisa, inoltre, che alcune recenti novità normative hanno interessato la materia.

In primo luogo, la diseredazione figura tra gli oggetti incisi dal Regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio n. 650/2012, in vigore dall'agosto 2015, che ha stabilito un nuovo e uniforme criterio da seguire negli Stati membri per l’individuazione della normativa applicabile e degli organi giurisdizionali competenti in caso di successione che presenti caratteri di collegamento con più di un ordinamento giuridico: la residenza abituale del defunto al momento della morte. La legge del Paese corrispondente a tale criterio regolerà la successione, inclusa, eventualmente, la diseredazione.

In secondo luogo, guardando alla normativa interna, si rammenta che l’art. 448 bis c.c., introdotto per effetto della L. n. 219/2012, prevede che il figlio, anche adottivo, o, in sua mancanza, i discendenti prossimi possano escludere dalla successione il genitore nei confronti del quale sia stata dichiarata la decadenza dalla responsabilità genitoriale per fatti diversi da quelli, di cui all'art. 463 c.c., rilevanti ai fini dell’indegnità a succedere.

Dott.ssa Silvia Di Genova

Dipartimento di Giurisprudenza

Università degli Studi di Perugia

Quadro delle norme

Art. 42 c. 4 Cost;

Art. 448 bis c.c.;

Art. 457 c.c.;

Art. 463 c.c.;

Art. 536 c.c.;

Art. 554 c.c.;

Art. 587 c.c.;

Art. 588 c.c.;

Art. 629 c.c.;

Art. 630 c.c.;

Cass. civ. sentenza n. 1458/1967;

Cass. civ. sentenza n. 6339/1982;

Cass. civ. sentenza n. 5895/1994;

Cass. civ. Sez. II sentenza n. 8352 del 25/05/2012;

Regolamento UE del Parlamento europeo e del Consiglio n. 650/2012;

Legge n. 219/2012.

 

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