La riforma dell’impresa sociale

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La riforma dell’impresa sociale

Detassati gli utili rinvestiti

 

La revisione della disciplina dell’impresa sociale è stata affidata al D.Lgs. 112 dello scorso 3 luglio 2017, disciplina che si colloca nell’ambito della riforma del Terzo settore, attuata con l’introduzione del nuovo Codice del Terzo settore (CTS) a seguito della pubblicazione del D.Lgs. n. 117 del 3 luglio 2017.

 

L’impresa sociale, appartenente alla sfera del Terzo settore, è caratterizzata per lo svolgimento di attività di interesse generale svolte con modalità imprenditoriali.

Rispetto al vecchio decreto n. 155 del 24 marzo 2006 (sulla disciplina dell’impresa sociale), abbiamo ora per tali imprese l’introduzione di uno specifico regime tributario, caratterizzato anche da appositi incentivi che favoriscono la capitalizzazione, compensano i limiti alla distribuzione degli utili e agli obblighi di reinvestimento nelle attività di interesse generale.

Le nuove disposizioni attenuano le criticità della normativa ante riforma, la quale prevedeva una tassazione analoga a quella prevista per una qualsiasi attività lucrativa, salvo che l’impresa sociale non rivestisse contestualmente la qualifica di Onlus (e che comunque comportava specifiche limitazioni per lo svolgimento di attività commerciali) o di cooperativa sociale (ammessa ad operare solo in determinati ambiti e con determinate regole).

 

La riforma del terzo settore

Il decreto legislativo n. 117 del 3 luglio 2017 si occupa, dunque, della riforma del Terzo Settore e provvede a revisionare la disciplina relativa agli enti ad esso appartenenti, anche per quanto riguarda l’aspetto tributario.

La riforma ribadisce il valore e la funzione sociale di tali enti, dell’associazionismo, dell’attività di volontariato, quali espressioni di partecipazione, solidarietà e pluralismo, e sottolinea il dovere dello Stato, in collaborazione con le Regioni e Province ed enti locali, di promuoverne lo sviluppo.

 

I soggetti interessati alla riforma sono dunque:

  • le organizzazioni di volontariato;
  • le associazione di promozione sociale;
  • gli enti filantropici;
  • le imprese sociali, le cooperative sociali, le reti associative e società di mutuo soccorso.

 

Non sono, invece, enti del Terzo settore:

  • le amministrazioni dello Stato, gli istituti e scuole di ogni ordine e grado e le istituzioni educative, le aziende ed amministrazioni dello Stato ad ordinamento autonomo, le Regioni, le Province, i Comuni, le Comunità montane e loro consorzi e associazioni, le istituzioni universitarie, gli Istituti autonomi case popolari, le Camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura e loro associazioni, tutti gli enti pubblici non economici nazionali, regionali e locali, le amministrazioni, le aziende e gli enti del Servizio sanitario nazionale, l’Agenzia per la rappresentanza negoziale delle pubbliche amministrazioni (ARAN) e le Agenzie di cui al D.Lgs. n. 300/1999;
  • le formazioni e le associazioni politiche;
  • i sindacati;
  • le associazioni professionali e di rappresentanza di categorie economiche;
  • le associazioni di datori di lavoro;
  • gli enti sottoposti a direzione e coordinamento o controllati dagli enti sopra elencati.

 

 

NB! - E’ prevista una disciplina differenziata per gli enti ecclesiastici civilmente riconosciuti e per gli enti delle confessioni religiose che hanno stipulato patti, accordi o intese con lo Stato.

 

 

Regime fiscale

Relativamente al nuovo regime fiscale, la direzione è quella di semplificare attraverso la sostituzione dei diversi regimi esistenti e la creazione di una maggiore certezza applicativa, salvaguardando le varie possibilità di scelta degli enti, al momento della iscrizione nel Registro del Terzo settore.

 

Il nuovo regime, in particolare, prevede alcune misure di sostegno tra le quali:

  • la non applicazione delle imposte sulle successioni e donazioni per i trasferimenti a favore dell’ente;
  • l’applicazione in misura solo fissa delle imposte di registro, ipotecaria e catastale e l’esenzione da bollo e altri tributi minori;
  • le deduzioni e le detrazioni per coloro che effettuano liberalità a favore di tali enti;
  • il  social bonus, che assegna crediti d’imposta pari al 65%, per i soggetti IRPEF e al 50% per i soggetti IRES, in presenza di erogazioni liberali a favore degli enti del Terzo settore non commerciali assegnatari di immobili pubblici o beni mobili o immobili confiscati alla mafia.

 

Con riferimento alle organizzazioni di volontariato ed alle associazioni di promozione sociale, sono previste una serie di attività nei confronti dei terzi e degli stessi soci che non assumono rilevanza sotto il profilo fiscale.

 

Regime fiscale opzionale

La nuova normativa introduce un regime fiscale opzionale per la determinazione del reddito d’impresa degli enti non commerciali del Terzo settore, ovvero per quegli enti che svolgono in via esclusiva o prevalente attività di interesse generale, basato sui coefficienti di redditività.

 

NB! Il coefficiente di redditività è una percentuale variabile che si applica al reddito imponibile su cui viene poi calcolata l’imposta.

Il nuovo regime ha delle similitudini con il regime forfetario degli enti non commerciali (art. 145 del T.U.I.R.), gli enti ammessi alla contabilità semplificata possono optare per la determinazione forfetaria del reddito d’impresa applicando all’ammontare dei ricavi conseguiti nell’esercizio di attività commerciali, determinati coefficienti di redditività corrispondenti alla classe di appartenenza ed aggiungendo l’ammontare dei componenti positivi del reddito.

 

Criticità della previgente disciplina

Sin dalla sua introduzione con il decreto n. 155/2006, per l’impresa sociale non vi è stata una particolare diffusione tra gli enti del settore non profit.

Lo scarso utilizzo di tale strumento societario può essere ricondotto alle notevoli criticità ed incertezze applicative presenti nella disciplina contenuta nel citato decreto (ora abrogato). Nello specifico, i vincoli e gli oneri per le imprese sociali non erano bilanciati da vantaggi altrettanto evidenti.

 

Tra le innovazioni più interessanti presenti nel decreto n. 155/2006, vi era quella che riconosceva la possibilità di esercitare iniziative private di carattere imprenditoriale in settori di utilità sociale e con finalità di interesse generale, anche attraverso l’impiego di forme societarie, nell’intento di superare la dicotomia esistente tra gli enti disciplinati dal Libro I e quelli disciplinati dal Libro V del Codice civile.

 

Vi era poi il divieto di distribuzione degli utili, che sicuramente ha scoraggiato l’adozione della impresa sociale da parte delle società commerciali.

 

In generale, si può affermare che nell’impianto normativo previsto dal decreto n. 155/2006, ai redditi prodotti dalle imprese sociali, si applicavano nonostante i vincoli connessi al carattere solidaristico dell’oggetto sociale, le ordinarie regole di tassazione dei redditi d’impresa, senza che al perseguimento dell’interesse generale venisse collegato alcun beneficio di natura fiscale.

Inoltre, l’utilizzo della impresa sociale non ha presentato significativi vantaggi neppure per gli enti non profit aventi i requisiti per rientrare nel regime ONLUS, tenuto conto delle specifiche agevolazioni già previste in favore di tali soggetti.

 

La Legge delega n. 106 del 6 giugno 2016 ha tenuto conto di tutte queste problematiche applicative e ha dettato nel quadro della riforma del Terzo settore, i principi e i criteri per il riordino e la revisione della disciplina dell’impresa sociale, prevedendo - tra l’altro - una attenuazione del divieto di distribuzione di utili e specifiche misure, anche di carattere fiscale, volte a favorire gli investimenti nell’imprenditoria sociale. 

In attuazione della delega è stato cosi emanato il D.Lgs. n. 112/2017, che ha abrogato, il D.Lgs. n. 155/2006.

 

Alcune novità del decreto

Nel decreto 112/2017 è ribadito il principio per cui l’impresa sociale non ha come scopo la distribuzione ai propri soci, amministratori o dipendenti degli utili o avanzi di gestione derivanti dall’esercizio dell’impresa.

Eventuali utili e avanzi di gestione devono essere destinati allo svolgimento dell’attività statutaria o ad incremento del patrimonio.

Tale principio è rafforzato dalle previsioni contenute che vietano ogni forma di distribuzione indiretta di utili, fornendo una tipizzazione delle possibili ipotesi e, nell’ottica di favorire il finanziamento degli enti in questione, viene introdotta una mitigazione di questo divieto.

Viene previsto, infatti, che le imprese sociali costituite in forma societaria possano destinare una quota inferiore al 50% dei propri utili e avanzi di gestione, dedotte eventuali perdite maturate negli esercizi precedenti, tra l’altro, alla distribuzione di dividendi ai soci, entro il limite individuato dalla misura dell’interesse massimo dei buoni postali fruttiferi, aumentato di due punti e mezzo rispetto al capitale effettivamente versato.

 

NB! Le disposizioni di nuova introduzione prevedono anche un rafforzamento dei sistemi di controllo interni e delle attività ispettive e di monitoraggio nei confronti delle imprese sociali.

 

Regime fiscale della “nuova” impresa sociale

Nel decreto 112/2017 vi è uno specifico regime fiscale per incentivare lo sviluppo dell’impresa sociale.

Tali imprese (come detto) sono tenute a destinare i propri utili o avanzi di gestione allo svolgimento dell’attività statutaria o all’incremento del patrimonio. 

L’articolo 18 del decreto stabilisce che gli utili e avanzi di gestione non costituiscono reddito imponibile ai fini delle imposte dirette, a condizione che essi vadano a confluire in un’apposita riserva in sospensione d’imposta e che siano destinati, entro il secondo periodo d’imposta successivo a quello in cui sono conseguiti, all’attività statutaria o all’incremento del patrimonio (la destinazione dovrà risultare dalle scritture contabili).

 

NB! Gli utili dell’impresa sociale, in altre parole, risulteranno detassati, a patto di essere effettivamente reinvestiti nell’attività di impresa di interesse generale.

 

Simmetricamente dovranno essere considerati imponibili gli utili e gli avanzi di gestione che vengano distribuiti sotto qualsiasi forma.

 

Altra ipotesi di detassazione è prevista per gli aumenti gratuiti di capitale sociale sottoscritto e versato dai soci entro i limiti delle variazioni dell’indice nazionale generale annuo dei prezzi al consumo per le famiglie di operai e di impiegati, calcolate dall’ISTAT per il periodo corrispondente a quello dell’esercizio sociale in cui gli utili e gli avanzi di gestione sono stati prodotti.

 

Sarà invece imponibile, ad esempio, la distribuzione mediante l’emissione di strumenti finanziari o l’aumento gratuito del capitale sociale sottoscritto o versato dai soci oltre i predetti limiti.

 

Potranno inoltre beneficiare della detassazione ai fini delle imposte dirette, i proventi relativi alle attività accessorie nella misura in cui vengano reinvestiti nelle attività di interesse generale.

 

Agevolazioni fiscali: analogie con le Start-Up

L’articolo 18 del decreto legislativo n. 112/2017 prevede misure per favorire gli investimenti nelle imprese sociali; nello specifico si tratta di agevolazioni che ricalcano quelle relative alle start-up e alle PMI innovative.

Viene previsto che i contribuenti, persone fisiche, possano detrarre dalla propria Irpef lorda un importo pari al 30% della somma investita nel capitale sociale di una o più società (incluse le società cooperative) aventi la qualifica di impresa sociale, a condizione che detta qualifica sia acquisita successivamente all’entrata in vigore del decreto e che la società sia costituita da non più di tre anni dalla medesima data.

L’ammontare di investimento non detraibile nel periodo d’imposta di riferimento può essere portato in detrazione in quelli successivi, ma non oltre il terzo.

L’investimento massimo detraibile non può superare, per ciascun periodo d’imposta, l’importo di 1.000.000 euro e deve essere mantenuto, a pena di decadenza del beneficio, per almeno tre anni.

 

Una misura analoga è prevista per i soggetti titolari di reddito d’impresa, che possono beneficiare di una deduzione dalla base imponibile Ires pari al 30% della somma investita nel capitale dell’impresa sociale, in relazione ad un investimento massimo di 1.800.000 euro per ciascun periodo d’imposta.

L'eventuale  cessione,  anche parziale,  dell'investimento  prima  del  decorso  di  tale  termine, comporta la decadenza dal  beneficio  ed  il  recupero  a  tassazione dell'importo dedotto.

 

Nell’ottica di incentivare gli investimenti di capitale, viene estesa alle imprese sociali la possibilità (come per le start-up e le PMI innovative) di accedere alla raccolta di capitali di rischio tramite portali telematici (Equity crowdfunding).

 

Inoltre, come per le start-up e le PMI innovative è prevista l’esclusione dall’applicazione della disciplina sulle società di comodo e in perdita sistematica.

Le imprese sociali, infine, in ragione dell’assenza di scopi lucrativi, sono escluse dall’applicazione degli studi di settore e degli indici sintetici di affidabilità fiscale.

 

Adeguamento alle nuove disposizioni

I due decreti nn. 112/2017 e 117/2017 prevedono apposite indicazioni per agevolare l’adeguamento alla nuova normativa da parte dei soggetti già costituiti, che intendono mantenere o acquisire ex novo questa particolare qualifica.

Per le imprese sociali già costituite è prevista la possibilità di modificare gli statuti con le modalità e le maggioranze necessarie per le deliberazioni dell’assemblea ordinaria, con un procedimento più agile rispetto a quello dell’assemblea straordinaria, a condizione che si provveda entro dodici mesi dall’entrata in vigore del suddetto decreto.

Le relative modifiche sono, inoltre, esenti dall’imposta di registro qualora vengano eseguite da cooperative sociali o da altre imprese sociali costituite in forma non societaria, come fondazioni ed associazioni.

 

Analoghe agevolazioni societarie e fiscali sono previste per gli altri soggetti preesistenti rispetto all’entrata in vigore del decreto ed inquadrabili nell’ambito del Terzo settore. Tali enti potranno adeguare i propri statuti, tramite deliberazione dell’assemblea ordinaria, entro diciotto mesi dall’entrata in vigore del decreto n. 117/2017, beneficiando anche della citata esenzione dall’imposta di registro.

Quest’ultima previsione assume una particolare valenza per le ONLUS, la cui qualifica è destinata ad essere soppressa a partire dal periodo di imposta successivo a quello in cui la Commissione europea approverà le misure fiscali del CTS sottoposte al procedimento di notifica.

 

Le attuali ONLUS potranno scegliere se adeguarsi alle previsioni del Codice del terzo settore, o riqualificarsi come imprese sociali in base al decreto n. 112/2017, accedendo alle apposite sezioni del Registro unico nazionale che sarà istituito presso il Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali (e reso attivo non prima del 2019).

 

La posizione delle ONLUS e degli altri enti associativi interessati da questa fase transitoria è stata opportunamente salvaguardata prevedendo, da un lato, che l’iscrizione al Registro unico, anche in qualità di impresa sociale, non rileva come ipotesi di scioglimento dell’ente e, dall’altro, che le operazioni straordinarie poste in essere da soggetti inquadrabili come enti del Terzo settore scontano le imposte di registro, ipotecaria e catastale in misura fissa, assicurando così una piena continuità nell’esercizio delle attività di interesse generale.

 

 

Quadro Normativo

Decreto Legislativo n. 112 del 3 luglio 2017

Decreto Legislativo n. 117 del 3 luglio 2017

Decreto Legislativo n. 155 del 24 marzo 2006

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