L’indennità sostitutiva per il licenziamento illegittimo

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La Cassazione a Sezioni Unite, con sentenza n. 18353 del 27 agosto 2014, ha risolto una dibattuta questione giurisprudenziale e dottrinale relativa all’indennità sostitutiva per il licenziamento illegittimo, prevista dall’articolo 18 della Legge n. 300 del 20 maggio 1970, sia nella vecchia che nella nuova formulazione.

Il risarcimento e l’indennità sostitutiva

A seguito di licenziamento dichiarato illegittimo, il lavoratore ha diritto alla reintegra e ad un risarcimento del danno che va commisurato alla retribuzione globale di fatto spettante dal giorno del licenziamento fino a quello dell’effettiva reintegrazione, nonché al versamento dei relativi contributi previdenziali ed assistenziali.

Inoltre, sempre ai sensi del citato articolo 18, in caso di illegittimità del licenziamento intimato, il lavoratore in luogo della reintegrazione, ha la possibilità di optare, volontariamente, per la corresponsione di un’indennità sostitutiva pari a 15 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto.

La questione dibattuta dal 1990 – quando il legislatore approntò lo strumento sostitutivo dell’ottemperanza dell’ordine di reintegrazione diretto ad offrire al lavoratore, a sua scelta, una tutela alternativa ed ulteriore di tipo indennitario, in aggiunta all’indennità risarcitoria - è relativa al momento in cui:

- si può considerare risolto il rapporto di lavoro per effetto dell’esercizio, da parte del lavoratore, del diritto di scegliere l’indennità sostitutiva della reintegrazione;

- cessa l’obbligo datoriale di corrispondere l’indennità risarcitoria a compensazione del licenziamento illegittimo.

Gli orientamenti giurisprudenziali

La Cassazione a Sezioni Unite, nella sentenza n.18353 del 27 agosto 2014, ha innanzitutto riassunto i diversi orientamenti giurisprudenziali che si sono succeduti e, in alcuni casi, anche accavallati nel tempo.

Il primo, tradizionale, fondato essenzialmente sulla ricostruzione della sentenza n. 81 del 1992 della Corte costituzionale, e così sintetizzabile:

- l'ordine di reintegrazione e con esso il rapporto di lavoro si estinguono solo con il pagamento dell'indennità sostitutiva;

- nel periodo dall'esercizio dell'opzione all'effettivo pagamento dell’indennità sostitutiva sono dovute dal datore di lavoro, al lavoratore, le retribuzioni ovvero l’indennità risarcitoria commisurata alle retribuzioni.

Il secondo, tradizionale rettificato, affermato a partire dal 2009 che, discostandosi dalla citata sentenza della Corte costituzionale n. 81 del 1992, prevede che:

- l'ordine di reintegrazione e con esso il rapporto di lavoro si estinguono con la dichiarazione recettizia del lavoratore di opzione in favore dell'indennità sostitutiva;

- nel periodo dall'esercizio dell'opzione all’effettivo pagamento dell’indennità sostitutiva sono dovute dal datore di lavoro, al lavoratore, le retribuzioni ovvero l'indennità risarcitoria commisurata alle retribuzioni.

Infine, il più recente orientamento, affermato nel 2012, in forza del quale:

- l’ordine di reintegrazione e con esso il rapporto di lavoro si estinguono con la dichiarazione recettizia di opzione in favore dell'indennità sostitutiva;

- nel periodo dall'esercizio dell’opzione all'effettivo pagamento dell'indennità sostitutiva, il ritardato adempimento del datore di lavoro trova la sua regolamentazione nella disciplina dell'inadempimento dei crediti pecuniari del lavoratore (interessi legali e rivalutazione monetaria).

Le Sezioni Unite ritengono che debba darsi continuità proprio al più recente orientamento, componendo in tal senso l'insorto contrasto giurisprudenziale e, quindi, dando continuità all'orientamento giurisprudenziale espresso da Cassazione, sentenze n. 15869 e 16228 del 2012.

La riforma Fornero

D’altra parte, la stessa Corte ha evidenziato come la nuova disciplina dell'indennità sostitutiva, prevista dall’art. 18 della Legge n. 300/1970, come modificato dalla Legge n. 92/2012, sia essenzialmente “confermativa” di quella previgente.

Analizzando la nuova formulazione del citato articolo è, infatti, evidente come il legislatore del 2012 abbia completamente riformato la cosiddetta tutela reale frammentando l'originario unico regime della reintegrazione del lavoratore illegittimamente licenziato in quattro diversi tipi di tutela:

- reintegratoria piena di cui al primo comma dell’art. 18 novellato;

- reintegratoria affievolita di cui al quarto comma;

- indennitaria nei due tipi del quinto e del sesto comma del medesimo art. 18. Lo stesso legislatore, però, nonostante abbia confermato l'istituto dell'indennità sostitutiva della reintegrazione, ha adesso dettato una previsione espressa con riferimento ai termini ed alla risoluzione del rapporto.

Per quanto concerne i termini, infatti, il terzo comma del nuovo articolo 18 prevede che la richiesta dell’indennità debba essere effettuata entro trenta giorni dalla comunicazione del deposito della sentenza, o dall'invito del datore di lavoro a riprendere servizio, se anteriore alla predetta comunicazione (questa regolamentazione è conforme all'interpretazione prevalsa in giurisprudenza della previsione, meno chiara, del precedente quinto comma dell'art. 18).

A parere della Suprema Corte, la scelta fatta dal legislatore nel 2012 dimostra come l'intento sia stato, quanto a questo istituto, proprio quello di chiarire e confermare l'esistente e non già di innovare.

Anche l'ulteriore previsione del terzo comma dell’art. 18, secondo cui la cui la richiesta dell’indennità sostitutiva determina la risoluzione del rapporto di lavoro, è ritenuta meramente chiarificatrice e confermativa della disciplina precedente.

In questo contesto può leggersi come confermativa della previgente disciplina anche la circostanza che il legislatore non abbia introdotto alcuna specifica misura rafforzativa dell'ordinaria sanzione dell'obbligazione pecuniaria in cui si è convertita, per scelta del lavoratore, l’obbligazione di reintegrazione nel posto di lavoro quale oggetto della pronuncia del giudice che abbia accertato l'illegittimità dei licenziamento in regime di tutela reale.

In pratica, se il datore di lavoro ritarda la corresponsione dell'indennità integrativa, c'è la mora debendi con conseguente applicazione dell’art. 429, terzo comma, c.p.c., salva la risarcibilità del danno ulteriore rispetto a quello coperto dagli interessi moratori, nel caso in cui il lavoratore ne offra la prova (trattasi di danno riferito al periodo successivo alla risoluzione del rapporto, causato dal ritardo nell'adempimento, e non già danno riferito al periodo precedente e causato dall'illegittimo licenziamento).

Il principio di diritto

In conclusione le Sezioni Unite hanno affermato il seguente principio di diritto:

«Ove il lavoratore illegittimamente licenziato in regime di c.d. tutela reale - quale è quello, nella specie applicabile ratione temporis previsto dall’art. 18, Legge 20 maggio 1970 n. 300, nel testo precedente le modifiche introdotte con la Legge 28 giugno 2012, n. 92 - opti per l’indennità sostitutiva della reintegrazione, avvalendosi della facoltà prevista dal quinto comma dell’art. 18 citato, il rapporto di lavoro si estingue con la comunicazione al datore di lavoro di tale opzione senza che permanga, per il periodo successivo in cui la prestazione lavorativa non è dovuta dal lavoratore né può essere pretesa dal datore di lavoro, alcun obbligo retributivo con la conseguenza che l'obbligo avente ad oggetto il pagamento di tale indennità è soggetto alla disciplina della mora debendi in caso di inadempimento, o ritardo nell’adempimento, delle obbligazioni pecuniarie del datore di lavoro, quale prevista dall'art. 429, terzo comma, c.p.c., salva la prova, di cui è onerato il lavoratore, di un danno ulteriore».

Norme e prassi 

Art. 429, terzo comma, c.p.c.

Legge n. 300 del 20 maggio 1970, articolo 18, commi da 1 a 6

Legge n. 92 del 28 giugno 2012

Corte Costituzionale, sentenza n. 81 del 1992

Corte di Cassazione, sentenze n. 15869 e 16228 del 2012

Corte di Cassazione, Sezioni Unite, sentenza n. 18353 del 27 agosto 2014
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