Posto soppresso a seguito di fusione societaria? Licenziamento invalido

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Posto soppresso a seguito di fusione societaria? Licenziamento invalido

Si configura l’ipotesi di manifesta insussistenza del fatto alla base del licenziamento, in caso di soppressione del posto di lavoro a seguito di fusione societaria. È, dunque, applicabile la c.d. “tutela reintegratoria attenuata” – non quella “piena” – di cui all’art. 18, co. 4 della Statuto dei Lavoratori (L. n. 300/1970), consistente nella reintegra del lavoratore sul posto di lavoro, nonché in un’indennità risarcitoria per il periodo non lavorato che non può superare il limite delle 12 mensilità.

Si pronuncia la Corte di Cassazione, con la sentenza n. 3186 del 4 febbraio 2019.

Licenziamento per fusione societaria, il fatto

Il caso trae origine da un licenziamento intimato a una lavoratrice addetta alla gestione del servizio paghe. La motivazione della soppressione del posto di lavoro risiede, sostanzialmente, nell’atto di fusione con altra società che avrebbe assorbito, in tutto e per tutto, anche i compiti della lavoratrice. In altre parole, la figura dell’addetta al servizio paghe sarebbe divenuta superflua dal momento che tale mansione veniva gestita dalla consociata, la quale si sarebbe a sua volta servita di un consulente esterno.

Dunque, il licenziamento è avvenuto per giustificato motivo oggettivo, nel rispetto dell’iter procedurale previsto dall’art. 7 della L. n. 604/1966. La lavoratrice ha impugnato il licenziamento e agito per vie legali.

Licenziamento per fusione societaria, la sentenza

I giudici della Corte di Cassazione danno ragione alla lavoratrice e confermano la sentenza della Corte d’Appello di Roma. Innanzitutto, gli Ermellini rilevano come il licenziamento sia assolutamente in contrasto con quanto previsto dall’art. 2112 c.c., in base al quale “il trasferimento d’azienda non costituisce di per sé motivo di licenziamento”.

Unica eccezione in cui è, comunque, possibile operare un licenziamento per giustificato motivo oggettivo, conseguente a un trasferimento d’azienda, si ha quando il provvedimento abbia fondamento nella struttura aziendale autonomamente considerata, non nella connessione con il trasferimento o nella finalità di agevolarlo. In altri termini, il licenziamento non deve dipendere dall’operazione di passaggio dei dipendenti al cessionario, bensì bisogna guardare alla realtà aziendale prima del trasferimento del personale.

Inoltre, l’eventuale soppressione del posto di lavoro a causa del passaggio dei dipendenti dal cedente al cessionario, può essere operata soltanto dal nuovo datore di lavoro. È stato, dunque, illegittimo licenziare preventivamente la lavoratrice. Un provvedimento del genere, infatti, avrebbe potuto essere adottato dalla nuova società incorporante, a seguito di una riorganizzazione del personale dal quale sarebbe emerso l’esubero della mansione di addetta al servizio paghe.

Per la Suprema Corte, dunque, si applica la tutela reintegratoria “attenuata”, non piena, in considerazione del fatto che si tratta di un’ipotesi di manifesta insussistenza del fatto posto a base del licenziamento. Pertanto, l’indennità risarcitoria non può essere commisurata alle retribuzioni perse dalla data del licenziamento fino all’effettiva reintegra – come prevede la tutela reintegratoria piena – bensì un’indennità fino ad un massimo di 12 mensilità della retribuzione globale di fatto.

 

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