Retrodatazione della custodia cautelare. Si computano fasi non omogenee

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Retrodatazione della custodia cautelare. Si computano fasi non omogenee

Le Sezioni Unite penali della Corte di cassazione hanno risolto il contrasto giurisprudenziale riguardante il criterio di calcolo dei termini di custodia cautelare quando si verte nella c.d. contestazione a catena.

In base alla sentenza n. 23166 del 29 luglio 2020, il collegio penale ha optato per l’indirizzo interpretativo minoritario – che prevede un minor sacrificio della libertà personale – per il quale, in caso di più ordinanze applicative di misure cautelari per fatti connessi, la retrodatazione della decorrenza dei termini di custodia cautelare va fatta computando l’intera durata della custodia anche se relativa a fasi non omogenee.

Retrodatazione della custodia cutelare: per le Sezioni Unite computo anche delle fasi non omogenee 

Il dato normativo è rappresentato dall’articolo 297, comma 3, del Codice di procedura penale, che disciplina il caso della contestazione a catena, che si palesa quando più provvedimenti cautelari vengono emessi nei riguardi di uno stesso soggetto, per prolungare la scadenza dei termini di custodia cautelare applicata.

Quindi, in presenza di una pluralità di ordinanze dirette contro il medesimo soggetto per un medesimo fatto o per fatti diversi legati da connessione qualificata, ovvero anteriormente commessi rispetto a quello oggetto della prima ordinanza, per evitare pratiche elusive del rispetto dei termini prescritti, interviene l’istituto della retrodatazione, per la quale il “dies a quo”, ai fini del computo del periodo di custodia, sarà retrodatato al momento di esecuzione o di notifica del primo provvedimento, con eventuale perdita di efficacia delle successive misure cautelari.

Sull’istituto si è evidenziata la presenza di due interpretazioni nella giurisprudenza di legittimità: in base a quello maggioritario, la retrodatazione va eseguita frazionando l’intera durata della custodia, imputando solo i periodi relativi a fasi omogenee. Secondo tale principio, non si possono sommare periodi appartenenti a fasi disomogenee; pertanto in caso di contestazioni a catena, la retrodatazione dei termini della seconda ordinanza va eseguita sommando al periodo già patito dall’imputato solo quello sofferto in base alla prima ordinanza nella medesima fase.

L’altro principio, minoritario, prevede che in caso di più misure cautelari per fatti connessi, la retrodatazione non va fatta frazionando la globale durata della custodia imputandovi solo i periodi relativi a fasi omogenee. A questo secondo indirizzo si sono conformate le Sezioni Unite penali con la sentenza n. 23166/2020, prendendo come riferimento il dato testuale del suddetto articolo 297, comma 3, cpc, secondo cui i termini di custodia decorrono dal giorno in cui è stata eseguita o notificata la prima ordinanza e sono commisurati all’imputazione più grave.

L’articolo è scevro da riferimenti su eventuali sommatorie dei periodi di custodia cautelare; prevede, invece, che il calcolo del relativo termine deve poggiare sul dies a quo della pima misura.

Tale orientamento, continuano i giudici, è l’unico in linea con i dettami della Corte costituzionale che, pronunciandosi sulla retrodatazione, ha sostenuto come questa sia diretta a scongiurare che la rigorosità dei termini di durata massima delle misure cautelari possa essere elusa tramite la diluizione nel tempo di più provvedimenti restrittivi nei confronti della stessa persona.

In conclusione, va enunciato il seguente principio di diritto: “la retrodatazione della decorrenza dei termini di custodia cautelare di cui all’art. 297, comma 3, cod. proc. pen., deve essere effettuata computando l’intera durata della custodia cautelare subita, anche se relativa a fasi non omogenee”.

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