Termine di sessanta giorni non rispettato, avviso illegittimo

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La mancata osservanza del termine dilatorio di sessanta giorni per l'emanazione dell'avviso di accertamento, che decorre dal rilascio al contribuente della copia del processo verbale di chiusura delle operazioni, determina di per sé l'illegittimità dell'atto impositivo emesso ante tempus, salvo che ricorrano specifiche ragioni di urgenza.

Non si pone, in detto contesto, il problema di verificare se il mancato rispetto del termine abbia determinato o meno una effettiva compromissione del diritto di difesa del contribuente.

Il termine di sessanta giorni, infatti, è posto a garanzia del pieno dispiegarsi del contraddittorio procedimentale, il quale costituisce primaria espressione dei principi, di derivazione costituzionale, di collaborazione e buona fede tra amministrazione e contribuente ed è diretto al migliore e più efficace esercizio della potestà impositiva.

E il detto termine dilatorio fissato a pena di nullità in assenza di particolari ragioni di urgenza si applica, al di là del mero tenore testuale della norma, anche all'avviso di recupero di credito di imposta.

E' quanto ribadito dai giudici della Corte di cassazione nel testo della sentenza n. 4543 del 5 marzo 2015 e con cui è stato rigettato il ricorso presentato dall'agenzia delle Entrate contro la statuizione della Commissione tributaria regionale di nullità di un avviso di accertamento emesso prima che fosse decorso il termine dilatorio di sessanta giorni previsto dall'articolo 12, 7° comma della Legge n. 212/2000.

La prova dell'esistenza di motivi d'urgenza a carico del Fisco

Il vizio invalidante – hanno altresì precisato i giudici di legittimità – non consiste nella mera omessa enunciazione nell'atto dei motivi di urgenza che hanno determinato l'emissione anticipata, ma nell'effettiva assenza del requisito esonerativo dall'osservanza del termine, la cui ricorrenza, nella concreta fattispecie e all'epoca di tale emissione, deve essere provata dall'Ufficio finanziario.
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