Truffa aggravata per chi conguaglia l’assegno familiare senza corrisponderlo al lavoratore

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Tizio è dipendente di Beta S.r.l. e risulta titolare di assegno per il nucleo familiare, come da domanda regolarmente compilata dal lavoratore e presentata all’INPS da parte del datore di lavoro. Nel corso del rapporto di lavoro l’amministratore unico di Beta S.r.l. incontra difficoltà economiche e per quattro mesi non corrisponde a Tizio tutti gli emolumenti indicati nei relativi prospetti paga. Il personale amministrativo di Beta S.r.l., che cura direttamente gli adempimenti riguardanti i rapporti di lavoro dei dipendenti dell’azienda, invia sistematicamente all’INPS le denunce mensili contributive inerenti anche al periodo in cui l’amministratore unico non ha corrisposto la retribuzione a Tizio. Nelle denunce gli importi per assegno familiari vengono portati a conguaglio con le somme dovute a titolo di contribuzione. Tizio vista la sua necessità di conseguire la propria retribuzione si rivolge agli ispettori della DTL dichiarando che da oltre quattro mesi non percepisce la retribuzione. Di seguito gli ispettori effettuano un accesso presso gli uffici amministrativi di Beta S.r.l. e constatano la fondatezza della pretesa di Tizio. Quali conseguenze possono discendere nei confronti dell’amministratore unico di Beta S.r.l.?




Assegno per il nucleo familiare: aspetti generali

L’assegno per il nucleo familiare risulta disciplinato dall’art. 2 del D.L. n. 69/88, conv. in L. n. 152/88, e - per quanto non previsto da tale norma - dal D.P.R. n. 797/55 e succ. mod. e integr.. Si tratta di una prestazione erogata dall’INPS in favore, tra gli altri, del lavoratore dipendente, al fine di sostenere economicamente il relativo nucleo familiare avente un reddito inferiore alle soglie annualmente stabilite dalla legge. L’importo dell’assegno è diversificato in relazione all’entità del reddito e al numero dei componenti della famiglia. Per lo stesso nucleo familiare può essere erogato un solo assegno. Ai sensi dell’art. 11, comma 1, del D.P.R. n. 797 cit. “il diritto agli assegni familiari decorre dal primo giorno del periodo di paga in corso alla data in cui si verificano le condizioni prescritte” per il riconoscimento del diritto e “cessa alla fine del periodo di paga in corso alla data in cui le condizioni stesse vengono a mancare”. Al riguardo l’INPS ha precisato che in caso in cui l’attività di lavoro venga iniziata e cessata in data differente da quella iniziale o finale del periodo di paga in corso l'assegno spetta a decorrere dal e fino al giorno, rispettivamente, di inizio o fine del rapporto di lavoro. Il diritto del lavoratore a percepire l’assegno si prescrive in cinque anni che decorrono dal primo giorno del mese successivo a quello di maturazione dell’emolumento. Per interrompere il periodo di prescrizione, il lavoratore deve sporgere denuncia all’INPS o alla Direzione Territoriale del Lavoro.


La responsabilità del lavoratore in sede di presentazione della domanda

La domanda per ottenere l’erogazione dell’assegno viene presentata dal lavoratore al datore di lavoro con periodicità annuale entro il 30 giugno di ogni anno. La richiesta deve riportare tra le altre informazioni l’entità e la composizione del nucleo familiare, la dichiarazione dei redditi del nucleo familiare nel periodo di riferimento e le indicazioni sullo stato civile dell’istante. In tal senso la domanda costituisce una vera e propria autocertificazione, in quanto recante tutti i dati relativi allo stato di famiglia e come tale è coperta da responsabilità penale. Sicché il lavoratore:

  • da un lato è tenuto a comunicare all’INPS ogni variazione del nucleo familiare che possa influire sull’entità dell’assegno, poiché anche il silenzio, maliziosamente serbato su alcune circostanze da parte di chi abbia il dovere di farle conoscere, può costituire artificio o raggiro idoneo a integrare il delitto di truffa;

  • d’altro lato è tenuto altresì a rendere dichiarazioni conformi al vero, giacché la giurisprudenza ha recentemente ritenuto che “[…] integra il reato di falsità ideologica commessa dal privato in atto pubblico (art. 483 cod. pen.) la falsa dichiarazione del privato - in sede di atto sostitutivo di notorietà - in ordine ai propri redditi preordinata ad ottenere la percezione degli assegni familiari [...]”. Per la Corte di Cassazione non […] è necessario, a tal fine, che l'autore del documento sia indicato mediante la sottoscrizione, essendo sufficiente […] l'apposizione di una sigla e, comunque, che egli sia individuabile in virtù di elementi contenuti nel documento o da esso richiamati”.


La responsabilità del datore di lavoro in sede di pagamento

Simmetrica alla responsabilità del lavoratore in sede di presentazione è la responsabilità del datore di lavoro in ordine alle modalità di corresponsione dell’emolumento.

In via generale deve premettersi che gli emolumenti di natura assistenziale o previdenziale che sono appannaggio dell’INPS vengono ordinariamente erogati al lavoratore titolare del credito mediante ricorso alla tecnica del conguaglio.

In dettaglio: il datore di lavoro è tenuto ad anticipare, per conto dell’INPS, la somma spettante al lavoratore a titolo di assegno per il nucleo familiare. L’importo di tale emolumento viene poi registrato dal datore di lavoro nel Libro unico del lavoro e indicato nel prospetto paga mensile consegnato al lavoratore in occasione della corresponsione della retribuzione. Correlativamente, all’atto dell’invio della denuncia mensile contributiva, il datore di lavoro, o il soggetto incaricato da quest’ultimo, detrae a conguaglio dai complessivi oneri contributivi le somme anticipate a titolo di assegno per il nucleo familiare. Va rilevato che il datore di lavoro può chiedere di conguagliare le somme anticipate nel termine di cinque anni decorrenti dalla scadenza del periodo in cui si riferisce l’assegno, oppure dal momento in cui tale emolumento è stato corrisposto qualora la somma si riferisca a periodi arretrati. La denuncia mensile, contenente l’operazione di conguaglio, costituisce attestazione consapevole del datore di lavoro circa l'esistenza e il contenuto del rapporto obbligatorio intercorrente con l'Istituto previdenziale e secondo la Suprema Corte, tali modelli, proprio perché provenienti dal datore, hanno natura ricognitiva della situazione creditoria-debitoria esposta e fanno piena prova nei confronti del denunciante.

Secondo le istruzioni diramate dall’Ente previdenziale, nell’ipotesi in cui il datore di lavoro si rifiuti di procedere al pagamento dell’assegno e tale circostanza sia nota all’Ente, quest’ultimo è tenuto in prima battuta a esperire formalità idonee a persuadere il datore a effettuare il pagamento dell’emolumento. Qualora tali formalità non sortiscano alcun effetto è previsto il coinvolgimento del personale ispettivo. Quest’ultimo, ove dovesse constatare la mancata erogazione dell’assegno all’avente diritto, procederà con i provvedimenti di competenza. Nel’ipotesi in cui il datore di lavoro disattenda anche i provvedimenti ispettivi, l’INPS è tenuto a corrispondere direttamente al lavoratore il relativo emolumento assistenziale.

Aspetto ancor più delicato, e che attiene specificamente al caso di specie, riguarda l’ipotesi in cui il datore di lavoro non corrisponda l’assegno familiare al lavoratore e ciò nonostante conguagli i relativi importi nelle denunce mensilmente inviate all’Ente previdenziale. Si tratta di un tema su cui la Suprema Corte di Cassazione è recentemente intervenuta al fine di confermare il proprio orientamento, per il quale la relativa condotta integra gli estremi non già dell’appropriazione indebita, bensì della più grave fattispecie di truffa aggravata in danno dell'Inps di cui all'art. 640, comma 2, n. 1, c.p.

Secondi i Giudici di legittimità, infatti, il datore di lavoro non agisce con il fine di non versare i contributi di legge, bensì con quello di conseguire un ingiusto profitto, mediante la fraudolenta esposizione nelle denunce mensili di fatti non corrispondenti al vero: sotto tale profilo, il conguaglio delle somme dovute a titolo di assegno familiare con i contributi effettivamente dovuti all'ente postula una dichiarazione fedifraga di aver erogato l’emolumento assistenziale al lavoratore. In tal senso, pertanto, il contenuto mendace nei modelli DM/10 costituisce l'artificio attraverso cui il datore di lavoro induce in errore l'Istituto previdenziale sul diritto al conguaglio di dette somme, in realtà mai corrisposte, con i contributi effettivamente dovuti.


Esame del caso concreto e conseguenze

Per ciò che riguarda il caso di specie, deve osservarsi che Beta S.r.l. nel corso della propria attività d’impresa ha incontrato difficoltà economiche e per quattro mesi non ha pagato gli emolumenti ai propri dipendenti. Tale situazione ha spinto uno di costoro, Tizio, a sporgere denuncia al personale ispettivo della DTL che, in sede di accesso ispettivo, ha constatato la fondatezza dell’assunto del denunciante. Quest’ultimo è risultato peraltro titolare anche di assegno per il nucleo familiare. Nel LUL e nelle buste paga di Tizio, infatti, risultavano debitamente registrati gli importi dovuti a titolo di assegno familiare in realtà non corrisposti al creditore. In prima battuta gli ispettori hanno verificato la veridicità della domanda compilata dal lavoratore, in ordine alla composizione del nucleo familiare e all’entità del reddito denunciato.

Successivamente gli ispettori del lavoro hanno accertato che le somme dovute a titolo di assegno familiare erano state conguagliate da Beta S.r.l. nelle denunce mensili contributive inviate sistematicamente all’INPS. Preso atto di ciò, e venendo alle conseguenze che scaturiscono da tale fatto, si evidenzia quanto segue.

Gli ispettori in esercizio delle funzioni di polizia giudiziaria ex art. 55 c.p.p.:

  1. acquisiranno tutta la documentazione aziendale onde trasmetterla alla Procura della Repubblica, circostanziando debitamente l’accaduto;

  2. adotteranno nei confronti di Beta S.r.l. diffida accertativa ex art. 12 D.lgs. n. 124/04 a corrispondere le retribuzioni non erogate a Tizio, detratti gli importi maturati a titolo di assegno per il nucleo familiare;

  3. adotteranno nei confronti di Beta S.r.l. e dell’amministratore unico diffida ex art. 13 D.lgs. n.124 cit. a elargire a Tizio le somme dovute a titolo di assegno per il nucleo familiare;

  4. qualora Beta S.r.l. e l’amministratore unico non ottemperino a quest’ultimo provvedimento, gli ispettori daranno notizie del fatto all’INPS al fine che quest’ultimo proceda sia al pagamento diretto delle spettanze nei confronti di Tizio, sia al recupero delle somme indebitamente conguagliate dal datore di lavoro.

NOTE

i Per un riepilogo dei profili di compatibilità tra le due discipline cfr. circolare INPS n. 110 del 1992.

iii La nazionalità del lavoratore è irrilevante, essendo invece essenziale che quest’ultimo presti la propria attività nel territorio italiano.

iv Cfr. circolare INPS n. 110 cit.

v Il lavoratore che concluda il proprio rapporto di lavoro può presentare comunque al datore di lavoro, e nel rispetto del termine di prescrizione, la richiesta di pagamento dell’assegno per il pregresso periodo di attività. Ciò è consentito purché l’impresa conservi un rapporto previdenziale con l’INPS, ovvero non sia cessata o fallita (cfr. messaggio INPS n. 12790 del 2006).

vi I lavoratori parasubordinati presentano la domanda direttamente all’INPS, in quanto solo i dipendenti la consegnano al proprio datore di lavoro.

vii Il certificato di famiglia può essere sostituito da autocertificazione (cfr. circolare INPS n. 12 del 2000).

viii Il lavoratore è tenuto a segnalare al datore di lavoro le eventuali variazioni del nucleo familiare ai fini del ricalcolo dell’importo dell’assegno.

x Resta ovviamente salvo il diritto dell’INPS di recuperare le somme indebitamente versate nel termine di prescrizione di 10 anni decorrenti dalla scadenza del periodo di paga in cui si riferisce l’assegno.

xi Come specificato nel sito dell’INPS alla dicitura “Prestazioni a sostegno del reddito – Assegni per il nucleo familiare”: ”Qualsiasi variazione intervenuta nel reddito e/o nella composizione del nucleo familiare, durante il periodo di richiesta dell' ANF, deve essere comunicata entro 30 giorni”.

xii Tale comportamento, infatti, seppure idoneo ad influire causalmente sull'erronea rappresentazione della realtà in forza della quale è posto in essere un atto di disposizione patrimoniale, non può ritenersi meramente passivo, ma artificiosamente orientato a perpetrare l'inganno (cfr. Cass. Pen. Sez. II, 14/10/2009, n. 41717). Si tenga ancora presente che la stessa Cassazione ha rilevato che il creditore che continua a percepire periodicamente la prestazione quando l'obbligazione è estinta “[…] non si limita ad una condotta puramente omissiva ma, con attivo comportamento, induce in errore il debitore sulla permanenza del credito e sull'obbligo di continuare l'erogazione alle successive scadenze” (cfr. Cass. pen. Sez. II, 22/10/2010, n. 41472).

xiii Cass. pen. Sez. V, 20/05/2010, n. 26182.

xiv Cass. pen. Sez. III, Sent., 02-12-2009, n. 46451.

xv Sul punto occorre incidentalmente rilevare che l’INPS non spiega in che cosa consistano tali formalità, sicché appare verosimile dedurre che le stesse si risolvano in una missiva volta a sollecitare il datore di lavoro a corrispondere l’emolumento.

xvi In tal caso appare plausibile ritenere che l’ispettore proceda con provvedimento di diffida ex art. 13, D.lgs. n. 124/04 per violazione dell’art. 82, comma II, D.P.R. 30.05.1955, n. 797, e succ. mod. e integr., i cui importi sono stati quintuplicati, a decorrere dal 01.01.2007, dalla L. n. 27.12.2006, n. 296, art. 1, comma 1177.

xvii L’INPS provvede al pagamento diretto dell’assegno in favore, tra gli altri, dei lavoratori beneficiari di trattamenti di disoccupazione non agricola (cfr. circolare INPS n. 130 del 1998), ovvero di integrazioni salariali pagate direttamente dall’Istituto, nonché ai dipendenti di aziende dichiarate fallite (cfr. circolare INPS n. 12 del 1990).

xviii Cfr. Cass. pen. Sez. II, 02/02/2010, n. 8537; ex multis Cass. pen. Sez. II, 15/03/2007, n. 11184; Cass. Sez. II, 9.1.2003, n. 11757; Cass. Sez. II, 18.1.2002, n. 15600; Cass. Sez. III, 19.10.2000, n. 12169.

Per l’ipotesi di corresponsione parziale dell’emolumento cfr. Cass. pen. Sez. II, 21/12/2010, n. 2184 per cui “commette il delitto di tentata truffa aggravata in danno dell'Inps di cui all'art. 640, comma 2, n. 1, c.p., e non la violazione dell'art. 116, R.D.L. 4 ottobre 1935, n. 1827 (depenalizzata ai sensi dell'art. 71, D.Lgs. 30 dicembre 1999 n. 507), né il reato di falsità in registrazione o denuncia obbligatoria previsto dall'art. 37 legge 24 novembre 1981 n. 689, colui che abbia reso dichiarazioni mensili contenenti fraudolenti richieste di conguaglio per l'intero importo delle indennità di malattia dovute a una lavoratrice ma alla stessa corrisposte solo in parte.

xix A parere degli scriventi non sembra infatti plausibile poter adottare atto di diffida accertativa nei confronti del datore di lavoro per le somme dovute a titolo di assegno familiare, anche in virtù del fatto che non sarebbe poi possibile addivenire ad una conciliazione prevista dall’art. 12, comma 2, D.lgs. n. 124 cit. su tali somme, stante la violazione penale che sottintende la mancata corresponsione delle stesse e l’impossibilità di disporre sull’elargizione o meno di importi la cui titolarità è riconducibile a soggetti terzi.


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