Viene meno l’obbligo della motivazione, se il lavoratore licenziato ha subito una condanna penale

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Un dipendente Inail, già oggetto di una pronuncia penale per truffa, ha visto applicare ad opera dell’Ente assicuratore anche in provvedimento disciplinare nei suoi confronti, che si è concluso con la sua destituzione dal posto di lavoro. Il soggetto ritenendo di essere stato ingiustamente licenziato ha chiesto la reintegrazione nel posto di lavoro e il risarcimento danni.

La domanda è stata respinta dal Tribunale – anche in sede di appello - così la questione è arrivata di fronte ai giudici di legittimità.

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 214/2010 della Sezione lavoro, ha definitivamente condannato il lavoratore respingendo le sue rimostranze.

Per i giudici di legittimità, infatti, non è accettabile il ricorso del lavoratore, che appellandosi all’articolo 9 della legge n. 19/1990 aveva sostenuto che lo stesso non poteva essere licenziato “di diritto” a seguito di una condanna penale, in quanto l’amministrazione doveva assolvere all’obbligo di motivare espressamente le ragioni che avevano condotto al licenziamento. La Corte ritiene, invece, che il provvedimento di licenziamento – a seguito di condanna penale – può essere motivato anche “per relationem”. Cioè, la motivazione può essere autonoma e desunta anche con riferimento ad atti collegati al fatto contestato.

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