Cassazione: le ferie sospendono il comporto solo se chieste in malattia
Pubblicato il 22 aprile 2025
In questo articolo:
- Conversione del titolo dell'assenza: occorre uno stato di malattia in atto
- Licenziamento per superamento del comporto: legittimità
- Il caso esaminato
- Decisione di merito e ricorso in Cassazione
- La decisione della Corte di Cassazione
- Obblighi di comunicazione e buona fede
- Il potere discrezionale del datore di lavoro
- Principi confermati
- Tabella di sintesi della decisione
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Conversione del titolo dell'assenza: occorre uno stato di malattia in atto
La conversione del titolo dell’assenza (da ferie a malattia o viceversa) richiede il verificarsi congiunto di due condizioni:
- che il lavoratore si trovi effettivamente in stato di malattia;
- che, durante tale stato, formuli una richiesta chiara volta a fruire delle ferie per interrompere il decorso del comporto oppure, in ipotesi inversa, chieda di sospendere le ferie in favore del subentrato evento morboso.
E' necessario, quindi, che la malattia del lavoratore sia insorta durante il periodo feriale oppure che il lavoratore in malattia chieda di fruire delle ferie per interrompere il periodo di comporto. Tutto questo non può avvenire né prima (quando la malattia non esiste), né dopo, quando il comporto è stato superato con la pretesa di sottrarre, a consuntivo, i giorni di ferie non goduti.
Licenziamento per superamento del comporto: legittimità
Lo ha puntualizzato la Corte di Cassazione, Sezione Lavoro, con ordinanza n. 9831 del 15 aprile 2025 con cui ha confermato la legittimità di un licenziamento per superamento del periodo di comporto, rigettando il ricorso presentato da una lavoratrice che contestava il mancato accoglimento di una precedente richiesta di ferie.
Il caso esaminato
La lavoratrice aveva richiesto alcuni giorni di ferie in data anteriore all’insorgere dello stato di malattia. L’azienda, tuttavia, aveva rigettato tale richiesta per motivate esigenze organizzative.
Successivamente, la lavoratrice era entrata in malattia, superando il periodo massimo di comporto, con conseguente licenziamento.
La dipendente aveva impugnato il licenziamento, sostenendo che le ferie richieste avrebbero dovuto interrompere il decorso del comporto.
Decisione di merito e ricorso in Cassazione
La Corte d’Appello aveva ritenuto legittimo il rifiuto delle ferie, evidenziando che:
- al momento della richiesta, la lavoratrice non si trovava in stato patologico;
- l’azienda aveva giustificato il diniego con concrete esigenze organizzative;
- non risultavano segnalate particolari necessità personali da parte della lavoratrice in merito alla fruizione delle ferie.
La lavoratrice si era tuttavia rivolta alla Cassazione lamentando:
- la violazione dei principi sulla conversione del titolo dell’assenza da malattia a ferie;
- la mancata prova, da parte del datore di lavoro, delle effettive ragioni organizzative poste a fondamento del rifiuto.
La decisione della Corte di Cassazione
La Suprema Corte ha rigettato il ricorso, ribadendo che la conversione dell’assenza (da malattia a ferie) presuppone che il lavoratore sia effettivamente in malattia al momento della richiesta e che vi sia una esplicita manifestazione di volontà in tal senso.
Obblighi di comunicazione e buona fede
Inoltre, sebbene la materia implichi l’osservanza di obblighi di correttezza e buona fede reciproca, tali obblighi trovano concreta operatività solo se attivati dal lavoratore mediante una comunicazione chiara, tempestiva e conforme ai doveri di collaborazione.
In particolare, grava sul lavoratore che contragga una malattia durante un periodo di ferie l’onere di informare tempestivamente il datore di lavoro dell’insorgenza dell’evento morboso, al fine di consentire l’adozione delle necessarie verifiche e controlli previsti dalla disciplina legale e contrattuale in materia di assenza per malattia.
Sul punto, la giurisprudenza di legittimità ha pure riconosciuto che la trasmissione del certificato di malattia durante un periodo di ferie può valere, anche in assenza di una comunicazione esplicita, come richiesta implicita di conversione dell’assenza da ferie a malattia (Cass. n. 284/2017).
E' stato anche ammesso l'effetto contrario ovvero la possibilità di sospendere la malattia per godere delle ferie attraverso una richiesta "finalizzata" precedente la scadenza del periodo di comporto. In tal caso, spetta al datore di lavoro dimostrare di aver valutato l’interesse del lavoratore a conservare il posto di lavoro (Cass. n. 5078/2009).
Nel caso in esame, però, tutto questo non era emerso, posto che, come risultava dai fatti di causa, la lavoratrice aveva presentato la richiesta di ferie quando non era malata e non l'aveva presentata quando invece lo era.
Il potere discrezionale del datore di lavoro
In ogni caso - ha evidenziato la Corte - il giudizio sulla legittimità del diniego delle ferie va condotto nel quadro dell’art. 2109 c.c., che attribuisce al datore un potere discrezionale, da esercitare tenendo conto del bilanciamento tra esigenze aziendali e interessi del lavoratore.
In tale contesto, quindi, è stato escluso che il lavoratore possa:
- attribuire ex post valore di ferie ad assenze giustificate come malattia;
- scegliere liberamente il periodo di ferie in contrasto con le esigenze organizzative dell’impresa;
- invocare la buona fede datoriale in assenza di una richiesta tempestiva e circostanziata.
Principi confermati
In conclusione, la Cassazione ha ribadito quanto affermato dalla consolidata giurisprudenza secondo cui il lavoratore assente per malattia può richiedere la fruizione delle ferie maturate e non godute al fine di sospendere il decorso del periodo di comporto, non sussistendo una incompatibilità assoluta tra ferie e malattia. Tuttavia, tale facoltà non impone al datore di lavoro un obbligo automatico di accoglimento della richiesta, specialmente in presenza di documentate esigenze organizzative.
In un’ottica di bilanciamento tra gli interessi del lavoratore e quelli dell’impresa, e nel rispetto dei principi di correttezza e buona fede, il diniego datoriale deve comunque essere fondato su ragioni concrete e verificabili (Cass. n. 27392/2018).
Non è configurabile alcuna responsabilità del datore nel caso in cui il lavoratore, pur essendone nella possibilità, non abbia avanzato richiesta di ferie durante lo stato di malattia. Inoltre, il lavoratore non può arbitrariamente scegliere il periodo di godimento delle ferie né riqualificare unilateralmente le assenze per malattia come ferie, essendo la relativa concessione subordinata al potere organizzativo del datore di lavoro.
In sintesi:
- il lavoratore può chiedere la fruizione delle ferie anche durante lo stato di malattia, al fine di interrompere il decorso del comporto;
- non vi è un obbligo assoluto del datore di lavoro di accogliere tale richiesta, purché le ragioni organizzative ostative siano concrete e documentabili;
- la valutazione sull’uso legittimo del potere datoriale deve essere effettuata ex ante, non sulla base di eventi sopravvenuti.
Dispositivo
Il ricorso della lavoratrice, in definitiva, è stato rigettato e le spese processuali sono state compensate, in considerazione della complessità della materia e della controvertibilità dei fatti.
Tabella di sintesi della decisione
Sintesi del caso | La lavoratrice è stata licenziata per superamento del periodo di comporto. Aveva richiesto ferie prima dell’insorgere della malattia, ma la richiesta è stata respinta per motivate esigenze organizzative aziendali. |
Questione dibattuta | Se il datore di lavoro fosse obbligato a concedere le ferie per evitare il superamento del comporto e se il rifiuto opposto fosse legittimo. |
Soluzione della Cassazione | Il ricorso è stato rigettato. La Corte ha affermato che la conversione dell’assenza richiede una richiesta esplicita formulata durante lo stato di malattia. In assenza di tale richiesta, non sussiste responsabilità datoriale. Il diniego delle ferie è legittimo se fondato su esigenze organizzative concrete e attuali. |
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