Congedo straordinario convivente di fatto: ok dalla Corte costituzionale anche prima del 2022

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La sentenza n. 197 del 2025 della Corte costituzionale rappresenta un passaggio di particolare rilievo nel processo di progressivo adeguamento dell’ordinamento lavoristico e previdenziale ai principi costituzionali in materia di tutela della persona con disabilità grave e di valorizzazione delle relazioni affettive stabili, anche al di fuori del vincolo matrimoniale.

Con tale pronuncia, depositata il 23 dicembre 2025, la Corte ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’articolo 42, comma 5, del decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151, nel testo vigente anteriormente alle modifiche introdotte dal decreto legislativo 30 giugno 2022, n. 105, nella parte in cui non includeva il convivente di fatto tra i soggetti legittimati a fruire del congedo straordinario per l’assistenza alla persona con disabilità grave.

La decisione assume un duplice rilievo. Da un lato, essa incide direttamente sulla disciplina del congedo straordinario, estendendo retroattivamente il diritto anche ai conviventi di fatto per i periodi antecedenti alla riforma del 2022. Dall’altro lato, la pronuncia si inserisce nel più ampio solco della giurisprudenza costituzionale che, a partire da diversi anni, valorizza il diritto fondamentale alla salute della persona con disabilità e il ruolo della famiglia – intesa in senso sostanziale e non meramente formale – quale luogo privilegiato di cura, assistenza e sviluppo della personalità.

Il congedo straordinario per assistenza a familiari con disabilità grave

Finalità e funzione dell’istituto

Il congedo straordinario disciplinato dall’articolo 42, comma 5, del decreto legislativo n. 151 del 2001 si colloca nell’ambito degli strumenti di politica socio-assistenziale attraverso i quali l’ordinamento intende favorire la permanenza della persona con disabilità grave all’interno del proprio contesto familiare e relazionale.

La ratio dell’istituto è quella di consentire al lavoratore di assentarsi dal lavoro per un periodo prolungato al fine di prestare assistenza continuativa a un familiare riconosciuto in situazione di handicap grave ai sensi dell’articolo 3, comma 3, della legge 5 febbraio 1992, n. 104. Tale finalità risponde all’esigenza di garantire la continuità delle cure e dell’assistenza, evitando il ricorso a forme di istituzionalizzazione non necessarie e valorizzando, al contempo, le relazioni di solidarietà familiare.

La Corte costituzionale ha più volte sottolineato come il congedo straordinario costituisca una provvidenza indiretta, attraverso la quale lo Stato sociale riconosce e sostiene il ruolo dei familiari che si fanno carico dell’assistenza della persona con disabilità, assumendo su di sé oneri che altrimenti graverebbero esclusivamente sul sistema pubblico.

Durata, trattamento economico e contribuzione figurativa

Il congedo straordinario ha una durata complessiva massima di due anni nell’arco della vita lavorativa del richiedente, riferita a ciascuna persona con disabilità assistita. Durante il periodo di assenza dal lavoro, il lavoratore ha diritto a un’indennità corrispondente all’ultima retribuzione percepita, limitatamente alle voci fisse e continuative del trattamento economico.

L’indennità è corrisposta dal datore di lavoro e successivamente conguagliata con i contributi previdenziali dovuti all’Istituto nazionale della previdenza sociale (INPS). Il periodo di congedo è coperto da contribuzione figurativa, entro i limiti di importo complessivo annualmente determinati dalla normativa vigente.

La fruizione del congedo è subordinata, tra l’altro, alla condizione che la persona con disabilità non sia ricoverata a tempo pieno presso strutture sanitarie, salvo che sia richiesta dai sanitari la presenza del familiare che presta assistenza.

La graduazione dei soggetti beneficiari

La disciplina del congedo straordinario prevede una graduazione gerarchica dei soggetti legittimati a fruirne, modellata sull’intensità del rapporto affettivo e di assistenza con la persona con disabilità. Tradizionalmente, al primo posto di tale graduatoria è collocato il coniuge convivente, seguito, in mancanza, da altri familiari individuati dalla legge.

Proprio l’individuazione dei soggetti beneficiari e i limiti posti dal legislatore a tale individuazione costituiscono il fulcro della questione di legittimità costituzionale affrontata dalla sentenza n. 197/2025.

Il quadro normativo antecedente alla riforma del 2022

Nel testo vigente prima dell’intervento del decreto legislativo n. 105 del 2022, l’articolo 42, comma 5, del decreto legislativo n. 151 del 2001 individuava in modo tassativo i soggetti legittimati a fruire del congedo straordinario. Tra tali soggetti non era espressamente incluso il convivente di fatto.

La disposizione faceva riferimento, in via prioritaria, al coniuge convivente e, in subordine, ad altri familiari, secondo una sequenza che rifletteva una concezione tradizionale della famiglia, fondata prevalentemente sul vincolo matrimoniale.

L’esclusione del convivente di fatto

L’assenza del convivente di fatto dall’elenco dei beneficiari del congedo straordinario aveva determinato, nel tempo, un significativo contenzioso, alimentato dall’evoluzione sociale e normativa che ha progressivamente riconosciuto rilevanza giuridica alle convivenze di fatto come formazioni sociali fondate su legami affettivi stabili.

Prima della riforma del 2022, l’INPS e una parte della giurisprudenza ritenevano che l’elencazione dei soggetti beneficiari avesse carattere chiuso, escludendo la possibilità di un’interpretazione estensiva o analogica idonea a ricomprendere il convivente di fatto.

La riforma del 2022 e l’equiparazione del convivente di fatto

Il decreto legislativo 30 giugno 2022, n. 105, adottato in attuazione della direttiva (UE) 2019/1158 relativa all’equilibrio tra attività professionale e vita familiare, ha modificato in modo significativo la disciplina dei congedi e dei permessi per l’assistenza a familiari.

Tra le principali innovazioni introdotte dal decreto legislativo n. 105 del 2022 figura l’esplicita inclusione del convivente di fatto, ai sensi dell’articolo 1, comma 36, della legge 20 maggio 2016, n. 76, tra i soggetti equiparati al coniuge ai fini della fruizione del congedo straordinario.

I limiti temporali della riforma

L’intervento normativo del 2022 è stato generalmente interpretato come avente efficacia esclusivamente pro futuro, senza possibilità di applicazione retroattiva ai periodi antecedenti alla sua entrata in vigore.

Proprio tale interpretazione ha dato origine alla questione di legittimità costituzionale oggetto della sentenza n. 197/2025, nella parte in cui il testo previgente dell’articolo 42, comma 5, non consentiva al convivente di fatto di accedere al congedo straordinario.

Il caso concreto e l’ordinanza di rimessione

La questione sottoposta all’esame della Corte costituzionale trae origine da un giudizio instaurato tra l’INPS e un lavoratore che aveva richiesto il riconoscimento del congedo straordinario per assistere la propria convivente di fatto, successivamente divenuta coniuge, affetta da disabilità grave.

L’INPS aveva riconosciuto il diritto al congedo solo per il periodo successivo al matrimonio, negandolo per il periodo antecedente, in ragione dell’assenza del vincolo coniugale.

La Corte d’appello di Milano aveva accolto la domanda del lavoratore, ritenendo possibile un’interpretazione evolutiva dell’articolo 42, comma 5, idonea a ricomprendere anche il convivente di fatto tra i soggetti beneficiari.

Investita del ricorso proposto dall’INPS, la Corte di cassazione, sezione lavoro, ha ritenuto non praticabile un’interpretazione costituzionalmente orientata della norma, in ragione del carattere tassativo dell’elencazione dei beneficiari, sollevando questione di legittimità costituzionale in riferimento agli articoli 2, 3 e 32 della Costituzione.

I parametri costituzionali invocati

Articolo 2 della Costituzione

L’articolo 2 della Costituzione tutela i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità. La convivenza di fatto, secondo un orientamento ormai consolidato della giurisprudenza costituzionale, rientra tra tali formazioni sociali.

Articolo 3 della Costituzione

Il principio di uguaglianza e di ragionevolezza, sancito dall’articolo 3 della Costituzione, è evocato in relazione all’irragionevole disparità di trattamento tra la persona con disabilità assistita dal coniuge e quella assistita dal convivente di fatto.

Articolo 32 della Costituzione

L’articolo 32 della Costituzione tutela il diritto fondamentale alla salute, inteso in senso ampio come comprensivo della salute fisica e psichica. Secondo la Corte, tale diritto include anche il diritto della persona con disabilità a ricevere assistenza adeguata all’interno del proprio contesto di vita.

Le eccezioni di inammissibilità

L’INPS e l’Avvocatura dello Stato hanno sostenuto che la questione sollevata avrebbe richiesto un intervento additivo non costituzionalmente obbligato, rientrante nella discrezionalità del legislatore, anche in considerazione degli oneri finanziari connessi.

È stata altresì eccepita la contraddittorietà della motivazione dell’ordinanza di rimessione, ritenuta oscillante tra la tutela del diritto alla salute della persona con disabilità e la non discriminazione del convivente di fatto.

La Corte ha respinto tutte le eccezioni di inammissibilità, affermando che la tutela dei diritti fondamentali non può essere subordinata a valutazioni di mero equilibrio finanziario e che l’ordinanza di rimessione risultava coerentemente incentrata sulla protezione della persona con disabilità.

Le motivazioni

Il richiamo alla sentenza n. 213/2016

Un ruolo centrale nel ragionamento della Corte è svolto dal precedente costituito dalla sentenza n. 213 del 2016, con la quale era stata dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’articolo 33, comma 3, della legge n. 104 del 1992 nella parte in cui non includeva il convivente di fatto tra i beneficiari dei permessi mensili retribuiti.

La Corte ha ribadito la comunanza di ratio tra i permessi retribuiti e il congedo straordinario, entrambi finalizzati ad assicurare la continuità dell’assistenza in ambito familiare.

La centralità della persona con disabilità

Secondo la Corte, l’interesse primario protetto dall’articolo 42, comma 5, del d.lgs. n. 151/2001 è quello della persona con disabilità grave, il cui diritto alla salute e alla dignità impone che l’assistenza possa essere prestata dalla persona con la quale esiste un legame affettivo stabile e significativo.

L’irragionevolezza dell’esclusione del convivente di fatto

L’esclusione del convivente di fatto è stata ritenuta irragionevole e contraddittoria, in quanto impedisce, di fatto, alla persona con disabilità di ricevere assistenza dal soggetto che più direttamente e stabilmente condivide la sua vita quotidiana.

Il dispositivo e gli effetti della pronuncia

La Corte ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’articolo 42, comma 5, del d.lgs. n. 151/2001, nel testo previgente al 2022, nella parte in cui non include il convivente di fatto tra i soggetti legittimati a fruire del congedo straordinario, in posizione equiparata al coniuge convivente.

La pronuncia ha efficacia retroattiva, con la conseguenza che il diritto al congedo straordinario può essere riconosciuto anche per i periodi antecedenti all’entrata in vigore del d.lgs. n. 105 del 2022, a condizione che sia dimostrata l’effettiva prestazione dell’assistenza e la sussistenza della convivenza di fatto.

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