Contratto a termine irregolare e licenziamento illegittimo: sì dalla Ue perché non equivalenti

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L’indennità di risarcimento introdotta dal collegato lavoro (legge n. 183/2010), riguardante il caso specifico dei contratti a termine che se irregolari possono essere convertiti in contratti a tempo indeterminato, dopo aver superato il test della Corte Costituzionale italiana è passata indenne anche al vaglio della Corte di Giustizia Ue.

La Corte europea, con la sentenza relativa alla causa C-361/2012, promossa da una lavoratrice che ha chiesto al Tribunale di Napoli l'accertamento della nullità del termine apposto al proprio contratto di lavoro per vizio della causale sostitutiva non contenente alcuni elementi essenziali, dichiara legittimo il risarcimento sui contratti a termine irregolari, dal momento che la liquidazione dell’indennità onnicomprensiva - la cui misura può variare tra un minimo di 2,5 e un massimo di 12 mensilità - non contrasta con le norme europee in materia di contratto a termine. Ciò anche se il collegato lavoro ha previsto un diverso risarcimento per i contratti a termine illegittimamente stipulati rispetto a quello spettante ai lavoratori a tempo indeterminato illegittimamente licenziati.

La Corte, ricordando che obiettivo del direttiva 1999/70 sui contratti a termine è quello di migliorare la qualità di questa tipologia contrattuale e di garantire la parità di trattamento tra i lavoratori a termine e i lavoratori a tempo indeterminato, specifica anche che tutto ciò risulta possibile nel momento in cui i due rapporti lavorativi risultano comparabili tra di loro. Viceversa, non è possibile invocare l’applicazione del principio di parità di trattamento qualora le situazioni sotto esame – come nel caso di specie - siano non comparabili.

Pertanto, conclude la sentenza Ue, il differente trattamento previsto dalla normativa italiana per chi ottiene la conversione di un contratto a termine irregolare e chi viene ingiustamente licenziato è pienamente compatibile con la normativa comunitaria, che vieta l’approvazione di norme discriminatorie verso i lavoratori a termine, ma non il trattamento differente di situazioni non equivalenti tra di loro.
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