Eccedenza oraria dirigenti medici: no retribuzione, sì risarcimento

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Eccedenza oraria dirigenti medici: no retribuzione, sì risarcimento

La Sezione lavoro della Corte di cassazione, con ordinanza n. 16711 del 5 agosto 2020, si è pronunciata in tema di dirigenza medica nel pubblico impiego privatizzato, relativamente alle ipotesi di svolgimento di lavoro straordinario, inteso quale prestazione eccedente gli orari stabiliti dalla contrattazione collettiva.

Gli Ermellini hanno spiegato che, per i dirigenti medici, l’eccedenza oraria non fa sorgere diritti retributivi ulteriori rispetto a quanto previsto a titolo di retribuzione di risultato o a titolo di specifiche attività aggiuntive, quali pronta disponibilità, guardie mediche, prestazioni autorizzate non programmabili e via dicendo.

Nel caso, però, di sistematica richiesta o accettazione di prestazioni eccedenti i limiti massimi stabiliti dalla legge o dalla contrattazione collettiva rispetto alla misura del lavoro o la violazione delle regole sui riposi e lo svolgimento della prestazione secondo modalità temporali irragionevoli, il datore di lavoro si rende responsabile del risarcimento del danno cagionato alla salute o alla personalità morale del lavoratore.

Risarcimento: presupposti e onere della prova

Precisati, a seguire, i presupposti per il risarcimento del danno: 

  • il danno da carattere gravoso o usurante della prestazione, quando sia allegata e provata la violazione sistematica di norme specifiche sui limiti massimi dell'orario o la violazione di norme sui riposi, è da ritenere in re ipsa;
  • nelle ipotesi, invece, in cui tali ultime norme non siano applicabili o manchino, “chi agisce, per ottenere il corrispondente risarcimento, è tenuto ad allegare e provare che le prestazioni, per le irragionevoli condizioni temporali, in una eventualmente al contesto in cui si sono svolte, sono state in concreto lesive della personalità morale del lavoratore”.

Tali assunti sono stati resi dalla Suprema corte nell’ambito di un procedimento attivato da parte di sei medici, dirigenti presso un’Azienda Ospedaliera Universitaria, al fine di vedersi riconoscere il pagamento delle ore di lavoro straordinario svolte in un lasso di tempo di 4 anni o, in subordine, il risarcimento del danno.

La Corte d’appello aveva, da un lato, escluso il diritto al pagamento del lavoro straordinario, dall’altro, respinto la domanda di risarcimento ritenendo che, nel caso di specie, il danno non potesse essere riconosciuto in re ipsa.

Statuizione, questa, confermata dalla Corte di cassazione, secondo la quale la decisione dei giudici di gravame non si era posta in contrasto con i principi di diritto sopra menzionati.

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