I limiti al lavoro domenicale nel settore del commercio

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I limiti al lavoro domenicale nel settore del commercio

Premessa

A seguito della liberalizzazione degli orari di apertura delle attività commerciali pare che sia opinione diffusa, almeno tra coloro che non trattano la materia lavoristica, che il datore di lavoro possa richiedere ai propri dipendenti di svolgere, nel corso dell’anno, prestazioni lavorative nella giornata di domenica senza limiti quantitativi.
Si tratta di un assunto a cui occorre prestare credito? Andiamo nel dettaglio.

La liberalizzazione degli orari di apertura degli esercizi commerciali e la tutela dei lavoratori

L’art. 3 comma 1 lett) d-bis del D.L. n. 223/2006 conv., con mod. dalla L. n. 248/06, nella formulazione modificata dall’art. 31 del D.L. n. 201/2011 conv. con mod. dalla L. n. 214/2011, stabilisce che “le attività commerciali, come individuate dal decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 114, e di somministrazione di alimenti e bevande, sono svolte, tra l’altro, senza i seguenti limiti e prescrizioni: […] d-bis) il rispetto degli orari di apertura e di chiusura, l’obbligo della chiusura domenicale e festiva, nonché quello della mezza giornata di chiusura infrasettimanale dell’esercizio”.
Il diritto riconosciuto e garantito agli esercenti delle attività commerciale non sottende anche la facoltà di poter richiedere ai lavoratori, che compongono l’organico aziendale, di svolgere le prestazioni lavorative secondo orari e con modalità contrastanti con la disciplina prevista dal D.lgs. n. 66/2003 e con le previsioni contrattuali applicabili ai rapporti di lavoro.
Tale limite infatti è stato positivizzato dall’art. 31 comma 2 del D.L. n. 201 cit. e affermato dalla Corte Costituzionale con sentenza n. 299/2012, in cui è stato stabilito che “tale liberalizzazione non determina deroghe rispetto alla tutela di altri interessi costituzionalmente rilevanti quali, ad esempio, l’ambiente, l’ordine pubblico, la pubblica sicurezza, la salute e la tutela dei lavoratori”.

La domenica come giornata normale di riposo

L’art. 2109 comma 1 c.c. prevede che “il prestatore di lavoro ha diritto ad un giorno di riposo ogni settimana di regola in coincidenza con la domenica”.
Tale concetto è ripreso dall’art. 9 comma 1 del D.lgs. n. 66/2003, a tenore del quale “il lavoratore ha diritto ogni sette giorni a un periodo di riposo di almeno ventiquattro ore consecutive, di regola in coincidenza con la domenica, da cumulare con le ore di riposo giornaliero di cui all’articolo 7 […]”.
Sul piano semantico il sintagma “di regola in coincidenza con la domenica” esprime il significato per cui il riposo domenicale debba costituire, per il lavoratore, un evento, non occasionale o estemporaneo o eccezionale, bensì connotato da abitualità, ovvero contrassegnato da un andamento ordinario.
Tale assunto è stato formulato sul presupposto, difficilmente contestabile, per cui nel fine settimana, e specie nella domenica, si concentrano la maggior parte delle attività sociali, ricreative e religiose, e di conseguenza il lavoratore possa avere tempo per rilassarsi, dedicarsi ai bambini e alla famiglia e trovare in generale occasioni per conseguire un vero e proprio benessere psico-fisico.
Il Legislatore, tuttavia, per venire incontro alle esigenze della produzione non ha mancato di introdurre una deroga alla regola generale del riposo domenicale.
L’art. 9 comma 3 del D.lgs. n. 66 cit. infatti consente alle imprese che adottano “modelli tecnico-organizzativi di turnazione particolari”, ovvero che eseguano attività aventi specifiche caratteristiche (così come declinate nella seconda parte della disposizione normativa) di svolgere attività lavorativa nel giorno della domenica e di riconoscere ai dipendenti la facoltà di fruire del riposo settimanale in un giorno diverso dalla domenica.

La prassi amministrativa

Proprio perché l’art. 9 comma 3 costituisce una deroga al principio del riposo domenicale, tale norma dovrebbe essere suscettiva di interpretazione restrittiva, onde evitare una sovversione del rapporto regola ed eccezione. Non pare che tale aspetto si colga dall’indirizzo espresso dal Ministero del Lavoro con risposte a interpello n. 60 del 2009 e n. 26 del 2011, nelle quali è stata sottolineata la natura tendenziale delle previsioni di cui all’art. 2109 comma 1 c.c. e art. 9 comma 1 D.lgs. n. 66 cit.. Per l’effetto la prassi ha riconosciuto alle imprese, che rispettino i parametri di cui al successo comma 3, la facoltà di accordare al lavoratore il riposo in un giorno differente dalla domenica.
Il punto controverso è che l’art. 9 comma 3 del D.lgs. n. 66 cit., quantunque norma precettiva, si esprime con concetti elastici e clausole generali, quali, esemplificativamente, “modelli tecnico-organizzativi di turnazione particolari” ovvero adopera locuzioni indeterminate come “esigenze tecniche” oppure “interessi rilevanti per la collettività”. Il rischio, non tanto peregrino, è quello per cui in sede interpretativa, tali concetti vengano dilatati al punto tale da sovvertire in regola la deroga del riposo domenicale.
Onde evitare operazioni esegetiche creative e al fine di garantire una disciplina più rispondente alle concrete realtà aziendali, il CCNL distribuzione e servizi, siglato dall’associazione Confcommercio e dalle organizzazioni Fisascat-Cisl, Filcams-Cgil, Uiltucs-Uil (di seguito per brevità CCNL) ha regolamentato il lavoro domenicale.
Tale disciplina muove dall’implicito ma scontato presupposto per cui il lavoro di domenica implica una maggior penosità per il lavoratore.
Trattasi, è bene evidenziare, di una disciplina temporalmente limitata perché applicabile fino al rinnovo del CCNL.

Le finalità espressa dall’art. 141 CCNL e il ruolo della contrattazione aziendale

Con tale prospettiva l’art. 141 comma 1 del CCNL ha demandato alla contrattazione aziendale o di secondo livello il compito di dettare un disciplina atta a specificare i parametri elastici e generali che connotano il disposto di cui all’art. 9 comma 3 del D.lgs. 66 cit..
Segnatamente tale regolamentazione di prossimità è chiamata a individuare, sulla base della disponibilità espressa dai lavoratori, idonee modalità di svolgimento del lavoro domenicale, atte a garantire una equa distribuzione dei carichi di lavoro tra tutto il personale aziendale.

La disciplina transitoria

Nelle more dell’adozione della specifica contrattazione aziendale o territoriale la disposizione contrattuale di cui all’art. 141 del CCNL, ai commi 5 e ss. contiene comunque una disciplina transitoria volta a fissare limiti alla possibilità dell’impresa di avvalersi della prestazione del personale nelle giornate di lavoro che cadono di domenica.
Ebbene l’art. 141 comma 5 CCNL riconosce alle aziende la facoltà di organizzare per ciascun lavoratore a tempo pieno che abbia il riposo settimanale normalmente coincidente con la domenica, lo svolgimento dell’attività lavorativa nella misura complessiva pari alla somma delle domeniche di apertura originariamente previste dal D.lgs. n. 114/98 e del 30% delle ulteriori aperture domenicali previste a livello territoriale.
Il successivo comma 7 attribuisce ai lavoratori di cui al precedente comma 5 e quindi che risultino occupati in azienda con orario full-time (sempre che non beneficino di trattamenti economici o di maggiorazioni di miglior favore previsti dalla contrattazione integrativa o comunque acquisiti) una maggiorazione onnicomprensiva e non cumulabile del 30% sulla quota oraria della normale retribuzione per ciascuna ora di lavoro prestata di domenica.
Al fine di garantire parità di trattamento retributivo tra lavoratori che svolgono attività nella giornata di domenica, l’art. 141 comma 8 attribuisce ai lavoratori “anche con orario di lavoro a tempo parziale” le medesime maggiorazioni retributive previste per i lavoratori con orario full-time.
Tuttavia quest’ultima disposizione non richiama, per tali lavoratori, l’osservanza dei limiti di cui al precedente comma 5 inerenti al regime a prestazione contenuta per il lavoro domenicale.
Sicché sul piano strettamente letterale si dovrebbe dedurre che i limiti al lavoro domenicale opererebbero solo per i lavoratori con orario full-time, mentre coloro che risultino occupati a tempo parziale potrebbero essere chiamati dal datore di lavoro a svolgere la propria prestazione senza termini di contingentamento e quindi anche per tutte le domeniche dell’anno.
Sennonché tale operazione ermeneutica non appare appagante quantomeno per un duplice motivo.
In primo luogo perché subordina l’applicazione dell’art. 141 comma 8 alla sussistenza dei presupposti di cui all’art. 9 comma 3 del D.lgs. n. 66 cit. e conseguentemente tradisce la volontà contrattuale espressa nei primi tre commi dell’art. 141 volta a demandare alla fonte collettiva di secondo livello il compito di stabilire, per tutto il personale aziendale, con orario, sia full-time, sia part-time, una disciplina di dettaglio e parametrata alle specifiche esigenze aziendali.
In secondo luogo perché contravviene alla finalità equitativa espressa dall’art. 141 comma 1 CCNL, giacché introduce una forma di divisione tra dipendenti che porta a riversare il lavoro domenicale solo in capo a coloro il cui contratto di lavoro fissa il riposo in un giorno diverso dalla domenica.

Un’interpretazione che valorizza la comune volontà delle parti

Piuttosto, la soluzione più aderente alle finalità espresse dall’art. 141 comma 1 CCNL postula un’esegesi del testo contrattuale che, seguendo i canoni interpretativi di cui agli art. 1362-1365 c.c., rifiuti formalismi letterali e che concentri piuttosto l’analisi sul significato sostanziale del patto, in una logica funzionale a valorizzare la buona fede, quale criterio permeante tutto il rapporto contrattuale.
In tale prospettiva si può arguire che l’omesso richiamo dell’art. 141 comma 8 CCNL ai limiti di cui al precedente comma 5 costituisce un indice non dirimente per escludere i lavoratori “anche con orario di lavoro a tempo parziale” dal regime a prestazione contenuta per il lavoro domenicale.
Invero, sembra plausibile ritenere che il senso del comma 8 sia unicamente quello di garantire parità di trattamento retributivo tra lavoratori che svolgono attività nella giornata di domenica.
Proprio perché i lavoratori a tempo parziale non sono stati menzionati nel comma 5, costoro, ove, per effetto della turnazione nel lavoro (da indicare puntualmente nel contratto ai sensi dell’art. 5 comma 3 del D.lgs. n. 81/15), svolgano prestazione nella giornata di domenica, non potrebbero beneficiare delle maggiorazione del 30%.
Per sopperire a tale disparità il comma 8 estende a siffatti dipendenti il beneficio della maggiorazione, come è desumibile dall’utilizzo della congiunzione “anche” anteposta al sintagma “con orario di lavoro a tempo parziale”. Ma al di là di tale aspetto, non pare giustificato attribuire alla disposizione l’ulteriore significato di esonerare i lavoratori part-time o full-time, che abbiano da contratto il riposo in un giorno diverso dalla domenica, dal limite di contingentamento di cui al comma 5 dell’art. 141 CCNL.
Diversa invece è l’ipotesi in cui il lavoratore part-time venga adibito al lavoro domenicale, non già in ragione dai turni di lavoro, ma per effetto dell’applicazione di clausole elastiche. In tale evenienza, fermi sempre i limiti di contingentamento, non troverà applicazione la maggiorazione di cui all’art. 141 comma 8 CCNL, ma quella del 35% giusta in tale senso la disposizione di maggior favore stabilita dall’art. 84 comma 3 del citato contratto collettivo.
In definitiva deve ritenersi conforme all’intenzione delle parti e al canone della buona fede, assoggettare tutti i lavoratori in forza all’azienda ai limiti sul lavoro domenicale così come stabiliti dall’art. 141 comma 5 CCNL, giacché in tale modo viene realizzata “una equa distribuzione dei carichi di lavoro tra tutto il personale”, quale finalità espressamente enunciata al comma 1 del medesimo articolo contrattuale.

Il riproporzionamento per il lavoratore part-time e gli ulteriori limiti in ambito familiare

Inoltre, l’applicazione dell’art. 7 del D.lgs. n. 81 cit., inerente al principio di parità di trattamento del lavoratore a tempo parziale col lavoratore a tempo pieno, porta a ritenere che l’entità del lavoro domenicale eseguibile dal primo deve essere riproporzionata in ragione della ridotta entità della propria prestazione lavorativa.
Un ulteriore e diverso trattamento migliorativo, al di là della tipologia di orario di lavoro, è previsto dall’art. 141 comma 5 CCNL in favore delle madri o padri affidatari, di bambini di età fino a 3 anni e ai lavoratori che assistono portatori di handicap conviventi o persone non autosufficienti titolari di assegno di accompagnamento conviventi, giacché costoro possono opporre sempre diniego allo svolgimento dell’attività lavorativa durante le giornate di domenica.
Nella premessa fondamentale che la disciplina sopra esposta è applicabile in assenza di fonti collettive di secondo livello o di contratti aziendali, resta ancora un punto da trattare prima di analizzare la modalità di conteggio delle giornate domenicali lavorabili dal dipendente occupato nel settore del commercio e riguarda l’ipotesi in cui il contratto di lavoro, richiamando le causali di cui all’art. 9 comma 3 del D.lgs. n. 66 cit., indichi la domenica come giornata ordinaria di lavoro.
Al cospetto di tale casistica, non pare revocabile in dubbio che, al di là della sussistenza o meno in concreto delle causali addotte dall’impresa e richiamate nel contratto di lavoro, l’espletamento sistematico della prestazione di lavoro nella giornata di domenica costituisca fattispecie contrastante con la parte normativa del CCNL terziario.
In sede ispettiva tale condotta può generare a carico dell’impresa la perdita dei benefici e agevolazioni e ostacoli al rilascio del DURC, ciò anche qualora venga accertata la sussistenza dei requisiti di cui all’art. 9 comma 3 D.lgs. n. 66 cit. atteso che il CCNL sul punto introduce un trattamento migliorativo per il lavoratore.
D’altro canto il personale ispettivo pare altresì legittimato ad impartire disposizione ex art. 14 D.lgs. n. 124/04 volta a indurre il datore a riallineare il proprio contegno al testo contrattuale.
Qualora poi dovessero mancare anche i presupposti di cui all’art. 9 comma 3 D.lgs. n. 66 cit. si verificherebbe anche una ipotesi di violazione della regola generale sul riposo di domenica e, per l’effetto, si genererebbe un contrasto col precetto di cui all’art. 9 comma 1 D.lgs. n. 66 cit. A stretti termini, pertanto, in tal caso, sarebbe applicabile il trattamento sanzionatorio stabilito dall’art. 18 bis comma 3 del D.lgs. n. 66 cit..

Il d.lgs. n. 98/2012

L’art. 11 comma 4 del D.lgs. n. 98 cit. stabiliva che “gli esercizi di vendita al dettaglio osservano la chiusura domenicale e festiva dell’esercizio […]”.
Il successivo comma 5 riconosceva al Comune, nel cui territorio è esercitata l’attività, di individuare, previo parere delle organizzazioni locali dei consumatori, delle imprese del commercio e dei lavoratori dipendenti, “i giorni e le zone nei quali gli esercenti possono derogare all’obbligo di chiusura domenicale e festiva”, con la limitazione per cui detti giorni debbano comprendere “comunque quelli del mese di dicembre, nonché ulteriori otto domeniche o festività nel corso degli altri mesi dell’anno”.
L’analisi per la quantificazione delle giornate lavorabili di domenica deve spostarsi conseguentemente sulla legislazione regionale ove è ubicata la sede operativa dell’impresa.

Un caso esemplificativo: la legislazione umbra

L’art. 26 ter della L.R. Umbria n. 24/99 disciplinava le modalità di adozione del calendario comunale volto all’individuazione, in deroga alle previsioni di legge, delle domeniche o delle festività annuali di apertura degli esercizi commerciali.
A livello territoriale il calendario poteva determinare, ai sensi dell’art. 26 ter comma 2 della L.R. Umbria n. 24 cit., un numero di dieci aperture domenicali, nonché ulteriori quattro aperture domenicali o festive, per eventi di rilevanza cittadina, o di zona, o di quartiere, o festività del Santo patrono, il tutto per complessive 14 domeniche, eccettuate quelle relative al mese di dicembre.
Alla luce di tali indicazione ben si intende che il rinvio operato dall’art. 141 comma 5 del CCNL al D.lgs. n. 114 cit., e per l’effetto (nel caso tratto ad esempio) alla L.R. Umbria n. 24 cit., non va ovviamente inteso nel senso di reviviscenza di queste ultime previsioni, invero ormai superate e abrogate dall’art. 31 del D.L. n. 201 cit., ma semmai come parametro esterno alla fonte contrattuale per la determinazione del numero di domeniche lavorabili da parte del lavoratore part-time o full-time.
Orbene tale entità, in relazione a quanto stabilito dall’art. 11 della L. n. 114 e dall’art. 26 ter della L.R. Umbria n. 24 cit., potrebbe essere quantificata in 12 domeniche annue per ogni lavoratore (comprensive delle maggiorazione del 30% e riproporzionate per il lavoratore part-time), alle quali devono aggiungersi le domeniche relative al mese di dicembre.


Le considerazioni espresse sono frutto esclusivo dell’opinione degli autori e non impegnano l’amministrazione di appartenenza
Ogni riferimento a fatti e/o persone è puramente casuale

 

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