Infortunio sul lavoro della domestica: quando è responsabile il datore di lavoro?

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Infortunio sul lavoro della domestica: quando è responsabile il datore di lavoro?

Grava sul datore di lavoro in qualità di "debitore di sicurezza" l'onere di provare di aver ottemperato all'obbligo di protezione. Il lavoratore creditore deve invece provare sia la lesione all'integrità psico-fisica, sia il nesso di causalità tra l’evento dannoso e l’effettuazione della prestazione lavorativa.

Il verificarsi dell'infortunio o della malattia professionale non implica necessariamente la sussistenza di una violazione del TU della sicurezza sul lavoro (81/2008) o dell'art. 2087 c.c. e pertanto una colpa del datore di lavoro, ma lo fa semplicemente presumere. Di tale violazione il datore di lavoro non risponde solo se prova di aver adottato tutte le misure prescritte dal legislatore.

È quanto ha statuito, in sintesi, la Corte di Cassazione, sezione lavoro, con l’ordinanza n. 25217 depositata il 24 agosto 2023.

Infortunio sul lavoro di una lavoratrice domestica

Il caso oggetto della vicenda giudiziaria è quello di una domestica infortunatasi mentre era intenta al lavoro su una scala per procedere alla rimozione delle tende, compito alla stessa assegnato nei cambi di stagione e di solito svolto con l'aiuto del datore di lavoro.

Nel caso di specie, la lavoratrice aveva autonomamente deciso di rimuovere le tende per il loro lavaggio in assenza del suo datore di lavoro, allontanatosi temporaneamente per svolgere alcune commissioni nei negozi sottostanti la sua abitazione.

Richiesta giudiziale di risarcimento del danno

La lavoratrice domestica aveva adito l’autorità giudiziaria per vedersi riconoscere il risarcimento dei danni subiti per l’infortunio sul lavoro occorso, ma era risultata soccombente nei primi gradi di giudizio.

La Corte d'appello aveva infatti rilevato la mancanza della prova che fosse stato il datore di lavoro ad impartire l'ordine di rimuovere le tende in sua assenza oltre poi a non essere stato provata la mancanza di una base stabile o antiscivolamento della scala adoperata per l’operazione.

Inoltre, si riteneva che la presenza di un tappeto sul quale sarebbe scivolata la scala non poteva essere addebitabile al datore di lavoro assente, in quanto lo stesso poteva essere facilmente rimosso dalla lavoratrice.

Il lavoratore che agisce per riconoscimento del risarcimento del danno per infortunio sul lavoro, sostiene da ultimo la Corte territoriale, deve provare, oltre al fatto costituente l'inadempimento, anche l'esistenza di un nesso di causalità tra l'inadempimento ed il danno alla salute subito.

Avverso la sentenza d’appello la lavoratrice propone ricorso per cassazione:

  • evidenziando di aver dimostrato l'esistenza del rapporto di lavoro, dell'infortunio sul lavoro e del nesso di causalità tra l'impiego di un determinato strumento di lavoro e il danno subito;
  • affermando che incombe sul datore di lavoro l’onere di provare di aver adottato tutte le misure cautele necessarie ad evitare il danno, non avendo posto in essere alcun comportamento abnorme considerato invece che l'infortunio era avvenuto durante lo svolgimento delle normali mansioni lavorative.

Inadempimento contrattuale e colpa datoriale

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 25217 del 24 agosto 2023, ritiene fondati i motivi di ricorso addotti dalla lavoratrice infortunata, evidenziando che la Corte d'appello ha erroneamente capovolto l'onere della prova della colpa.

Forti della tesi consolidata in dottrina e in giurisprudenza, gli Ermellini ricordano che la responsabilità datoriale conseguente alla violazione delle regole dettate in materia di tutela della salute e sicurezza sul lavoro riveste natura contrattuale

Il datore di lavoro pertanto risponde degli eventi lesivi occorsi al lavoratore e discendenti da fatti commissivi o da comportamenti omissivi sulla base delle regole della responsabilità contrattuale (prescrizione decennale, inversione dell'onere della prova e nei limiti dei danni prevedibili).

Dall’inadempimento datoriale dell'obbligo di adottare tutte le misure necessarie a tutelare l'integrità psicofisica del lavoratore non deriva, di fatto, una ipotesi di responsabilità oggettiva (fondata sul mero riscontro del danno biologico quale evento legato con nesso di causalità all'espletamento della prestazione lavorativa) occorrendo pur sempre la colpa del datore di lavoro consistente nella violazione di una disposizione di legge o di un contratto o di una regola di esperienza.

Onere della prova

La necessità della colpa va coordinata, aggiunge il Giudice di legittimità, con il particolare regime probatorio della responsabilità contrattuale previsto dall'art. 1218 cod. civ., gravando sul datore di lavoro "debitore di sicurezza" l'onere di provare di aver ottemperato all'obbligo di protezione e sul lavoratore creditore l’onere di provare la lesione all'integrità psico-fisica e il nesso di causalità tra l’evento dannoso e la prestazione lavorativa.

Il datore di lavoro deve pertanto provare che l'inadempimento derivi da causa a lui non imputabile mentre non spetta al lavoratore provare la colpa del datore danneggiante, né individuare le regole violate, né le misure cautelari che avrebbero dovuto essere adottate per evitare l'evento dannoso.

Il verificarsi dell'infortunio o della malattia non implica necessariamente la colpa (la violazione del TU 81/2008 o dell'art. 2087 c.c.), ma semplicemente lo fa presumere; di tale violazione il datore non risponde solo se prova di aver adempiuto, ossia di aver adottato tutte le misure prescritte.

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