Irregolare contabilizzazione e sottrazione merce: licenziamento

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Irregolare contabilizzazione e sottrazione merce: licenziamento

E’ stato confermato, dalla Cassazione, il licenziamento per giusta causa intimato ad un lavoratore, responsabile del punto vendita di un supermercato, per irregolare contabilizzazione della merce, sottrazione di beni, scorretta gestione delle shopper bags.

La Corte di appello, respingendo l’impugnazione del dipendente, aveva ritenuto che i numerosi episodi a lui imputati costituissero comportamenti non semplicemente colposi ma deliberate e reiterate violazioni delle disposizioni aziendali commesse allo scopo di favorire sé stesso nella disponibilità piena della cassa ovvero di favorire i terzi. Da qui l’integrazione del paradigma legale della giusta causa di recesso.

Il lavoratore aveva adito la Suprema corte lamentando, tra gli altri motivi, la violazione del principio di proporzionalità avendo, la Corte distrettuale, ritenuto legittimo il licenziamento nonostante i fatti addebitati non fossero tipizzati nel contratto collettivo di riferimento.

Deliberate e reiterate violazioni: giusta causa di recesso

Doglianza, tuttavia, che la Corte di cassazione, con sentenza n. 17574 del 21 agosto 2020, non ha ritenuto fondata.

Con particolare riferimento alla censura della mancata tipizzazione delle condotte addebitate nell'ambito del contratto collettivo applicato dal datore di lavoro, è stato sottolineato come quelle della giusta causa e del giustificato motivo siano nozioni legali, rispetto alle quali non sono vincolanti le previsioni dei contratti collettivi.

Nella vicenda esaminata, i giudici di gravame avevano effettuato la verifica degli addebiti, ravvisando l'estrema gravità di essi, posto che si trattava "di deliberate violazioni delle disposizioni aziendali, commesse allo scopo di favorire sé stesso nella disponibilità piena della cassa ovvero di favorire i terzi che, nella migliore delle ipotesi, ritardavano i pagamenti della merce ovvero non vi provvedevano in alcun modo".

Secondo gli Ermellini, quella della Corte d'appello era un’argomentazione plausibile, in quanto commisurata a tutte le circostanze del caso concreto rimesse all’esame di merito e sottratte al controllo di legittimità.

Senza contare – si legge infine nella decisione - che anche il giudizio di proporzionalità tra licenziamento disciplinare e addebito contestato è devoluto al giudice di merito, la cui valutazione non è censurabile in sede di legittimità, se non nei limiti in cui lo sia il vizio di motivazione ex art. 360 c.p.c.

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