La certezza che il credito non può essere più soddisfatto fa scattare la deducibilità
Autore: Roberta Moscioni
Pubblicato il 03 novembre 2010
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Nel respingere il ricorso presentato da un’industria tessile - che aveva iscritto in bilancio, tra i costi, crediti vantati verso alcuni clienti prima ancora della dichiarazione ufficiale di fallimento - la Corte di Cassazione ha emanato, in data 29 ottobre 2010, la sentenza n. 22135.
Con la pronuncia, la Sezione tributaria ha specificato che i crediti non riscossi dalle imprese in crisi prima della dichiarazione di fallimento o della loro chiusura definitiva non possono essere considerati costi e, in quanto tali, essere iscritti in bilancio. Di conseguenza, non possono essere dedotti.
La Corte, confermando quanto in precedenza già sostenuto con la sentenza n. 16330/2005, ribadisce che anche con riferimento ai debitori assoggettati a procedure concorsuali, il periodo d’imposta di competenza per operare la deducibilità deve coincidere comunque con quello in cui si acquista la certezza che il credito non può essere più soddisfatto. In caso contrario - sostiene la Corte - si rimetterebbe all’arbitrio del contribuente la scelta del periodo d’imposta più vantaggioso per operare la deduzione, snaturando il principio di competenza che, secondo l’orientamento costante dei giudici di legittimità, rappresenta un criterio inderogabile ed oggettivo nella determinazione del reddito d’impresa.
- ItaliaOggi, p. 25 - Il credito ante-fallimento non è un costo in bilancio - Alberici
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