Lucro cessante risarcibile anche se non si cerca un altro lavoro
Pubblicato il 24 giugno 2025
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Pronuncia della Corte di Cassazione sui presupposti per il riconoscimento del danno patrimoniale da perdita della capacità lavorativa: il risarcimento non può escludersi solo per la mancata ricerca di una nuova occupazione.
Perdita della capacità lavorativa: la Cassazione su accertamento e liquidazione del danno
Con ordinanza n. 16604 del 20 giugno 2025, la Corte di Cassazione, Terza sezione civile, è intervenuta nuovamente sul tema del danno patrimoniale da perdita della capacità lavorativa, precisando i criteri per il suo corretto accertamento e per la successiva liquidazione.
Danno patrimoniale da perdita della capacità lavorativa
Il danno patrimoniale da perdita della capacità lavorativa rappresenta una forma specifica di danno da lucro cessante, in quanto consiste nella perdita o riduzione del reddito futuro derivante dall’impossibilità (totale o parziale) di svolgere un’attività lavorativa a causa di un evento lesivo.
Il lucro cessante (art. 1223 c.c.), a sua volta, è una categoria generale che comprende qualsiasi mancato guadagno futuro conseguente a un fatto illecito.
Il caso esaminato
L’ordinanza in oggetto riguarda un giudizio risarcitorio promosso da un lavoratore che aveva subito un infortunio con esiti invalidanti e chiedeva il risarcimento del danno patrimoniale futuro per lucro cessante, derivante dalla perdita (totale o parziale) della possibilità di lavorare.
Decisioni di merito
Il Tribunale di primo grado aveva accolto parzialmente la richiesta risarcitoria del lavoratore. La Corte d’Appello, tuttavia, pur riconoscendo l’esistenza di postumi permanenti invalidanti, aveva liquidato il danno in via equitativa sulla base del reddito medio, escludendo il risarcimento per lucro cessante in quanto:
- il lavoratore non aveva dimostrato di aver cercato un nuovo impiego;
- mancava la certezza sulla perdita effettiva di reddito futuro;
- il danno patrimoniale era già compensato dalla somma equitativamente liquidata.
Motivi del ricorso in Cassazione
Il lavoratore, ciò posto, aveva impugnato la sentenza della Corte d’Appello lamentando:
- una errata applicazione dell’art. 1226 c.c., per aver escluso il lucro cessante solo in base alla mancata ricerca di un nuovo impiego;
- l’omessa valutazione della compatibilità tra i postumi invalidanti e le mansioni precedentemente svolte;
- una violazione dell’onere della prova, ritenendo eccessiva la richiesta di dimostrare l’impossibilità di reinserimento lavorativo.
Decisione della Corte di Cassazione
La Corte di Cassazione ha accolto parzialmente il ricorso del lavoratore in parte, ritenendo fondate alcune delle censure sollevate.
In particolare, i giudici di legittimità hanno chiarito che il danno patrimoniale futuro derivante dalla perdita della capacità di guadagno (lucro cessante) non può essere escluso soltanto perché il danneggiato non ha provato di aver cercato una nuova occupazione. Un simile approccio, secondo la Corte, contrasta con i criteri di accertamento del danno patrimoniale elaborati dalla giurisprudenza consolidata.
La valutazione del giudice di merito, infatti, deve concentrarsi sull’effettiva incidenza dei postumi invalidanti sulla capacità lavorativa specifica del soggetto. In particolare, è necessario accertare se tali postumi abbiano compromesso in modo totale o parziale la possibilità di svolgere l’attività lavorativa esercitata prima del fatto dannoso. Inoltre, occorre verificare se permanga una residua idoneità allo svolgimento di altre mansioni, anche differenti rispetto a quelle abituali, purché compatibili con la nuova condizione fisica.
Altro elemento fondamentale, secondo la Corte, è rappresentato da una valutazione prognostica, cioè dalla stima realistica della probabilità che, in assenza dell’evento lesivo, il lavoratore avrebbe continuato a percepire un reddito, tenendo conto della sua età, della posizione professionale, delle prospettive occupazionali e della stabilità del rapporto di lavoro.
Alla luce di tali considerazioni, la Cassazione ha annullato la sentenza della Corte d’Appello, limitatamente alla parte in cui era stato escluso il risarcimento per lucro cessante.
La causa è stata quindi rinviata alla Corte d’Appello, affinché proceda a un nuovo esame della questione, applicando i principi giuridici indicati e svolgendo una compiuta istruttoria sulla concreta perdita di capacità reddituale.
Principi di diritto
Di seguito i principi di diritto enunciati dalla Cassazione:
"L'accertamento del danno patrimoniale da perdita della capacità di guadagno, conseguente a lesioni personali, patito da un soggetto già percettore di reddito, deve avvenire:a) accertando l'entità dei postumi permanenti;b) accertando la compatibilità tra i postumi e l'impegno fisico o psichico richiesto dalle mansioni svolte dalla vittima;c) valutando se l'eventuale incompatibilità tra postumi e mansioni comporti, in atto od in potenza, una presumibile riduzione patrimoniale.Deve invece escludersi che gli accertamenti suddetti possano compiersí in abstracto, chiedendo al medico-legale di quantificare in punti percentuali la c.d. "incapacità lavorativa specifica", e moltiplicando il reddito perduto per la suddetta percentuale"."Sebbene il danno da lucro cessante causato dall'incapacità di lavoro possa dimostrarsi anche col ricorso alle presunzioni semplici, deve escludersi ogni automatismo tra il grado percentuale di invalidità permanente e l'esistenza del suddetto danno"."La circostanza che la vittima di lesioni personali, licenziata a causa del superamento del periodo di comporto, non dimostri di avere cercato un altro lavoro che le garantisse un pari livello di reddito non è di per sé d'ostacolo alla liquidazione del danno patrimoniale da lucro cessante".
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