Potere di disposizione non applicabile alle prescrizioni del CCNL

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Potere di disposizione non applicabile alle prescrizioni del CCNL

Primo arresto della giurisprudenza amministrativa nell’ambito di applicazione del potere di disposizione del personale ispettivo previsto dall’art. 14, Decreto Legislativo 23 aprile 2004, n. 124.

La novella legislativa consente agli ispettori dell’INL, che constatino irregolarità rilevanti in materia di lavoro e legislazione sociale non soggette a sanzioni penali o amministrative, la possibilità di adottare provvedimenti di disposizione, immediatamente esecutivi, per il mancato rispetto di norme di legge ovvero di norme del contratto collettivo, anche di fatto, applicato dal datore di lavoro (così come illustrato nella Circolare INL 30 settembre 2020, n. 5).

Con la recente pronuncia del TAR Friuli Venezia Giulia del 18 maggio 2021 arriva, però, un primo arresto al predetto potere di disposizione rispetto al presunto errato inquadramento dei lavoratori ed alla declaratoria del CCNL applicato in azienda, sicché, nel giudizio in questione, il provvedimento amministrativo a contenuto ordinatorio non idoneo a riconoscere al lavoratore un’utilità diretta ed immediata, non consente all’amministrazione un intervento diretto sul rapporto giuridico.

Il riformulato potere di disposizione

Come noto, il novellato art. 14, Decreto Legislativo 23 aprile 2004, n. 124, consente al personale ispettivo dell’INL di adottare nei confronti del datore di lavoro un provvedimento di disposizione, immediatamente esecutivo, in tutti i casi in cui le irregolarità rilevate in materia di lavoro e legislazione sociale non siano già soggette a sanzioni penali o amministrative. Ai sensi del successivo comma 3, la mancata ottemperanza all’atto dispositivo comporta l’applicazione della sanzione amministrativa da 500 a 3.000 euro.

Le prime indicazioni ministeriali a seguito dell’emanazione del Decreto Legge 16 luglio 2020, n. 76, convertito, con modificazioni, nella Legge 11 settembre 2020, n. 120, sono pervenute con la Circolare INL 30 settembre 2020, n. 5, a mente del quale l’INL specificava che almeno in una prima fase si ritiene che il nuovo potere di disposizione possa trovare applicazione in relazione al mancato rispetto di norme di legge sprovviste di specifica sanzione, sia di norme di contratto collettivo applicato anche di fatto dal datore di lavoro.

Premesso che il potere di disposizione parrebbe ex lege posto in capo ai soli ispettori dell’INL, con la successiva Nota INL 15 dicembre 2020, n. 4539, la Direzione centrale tutela, sicurezza e vigilanza del lavoro, forniva le indicazioni operative ed una prima elencazione delle fattispecie d’esercizio del provvedimento di disposizione nell’ambito delle violazioni agli obblighi normativi e contrattuali, con la sola esclusione delle inadempienze che trovino fondamento in via esclusiva nella volontà negoziale delle parti.

In particolare, secondo la ricostruzione dell’Ente vigilante, tra le ipotesi tipiche di applicazione dell’atto amministrativo dispositorio rientrano:

  • le omesse o infedeli registrazioni sul Libro Unico del Lavoro che non determinino differenti trattamenti retributivi, previdenziali o fiscali (es. mancato aggiornamento del contatore ferie, permessi, Rol, banca ore, allattamento, etc.);
  • il mancato pagamento delle indennità previste dall'art. 33, Legge 5 febbraio 1992, n. 104, in materia di disabilità o assistenza a soggetti disabili, e congedo straordinario di cui all'art. 42, comma 5, Decreto Legislativo 26 marzo 2001, n. 151, per 24 mesi richiedibile per l'assistenza a figli conviventi disabili;
  • le discriminazioni sindacali, politiche, religiose o etniche, previste dall'art. 15, Legge 20 maggio 1970, n. 300, salvo che la fattispecie non rientri nell'art. 15, lett. a), già sanzionata penalmente dall'art. 38, comma 1, della medesima disposizione normativa;
  • la mancata adozione di un sistema di rilevazione delle presenze indispensabile per la precisa imputazione sul Libro Unico del Lavoro e relativa verifica delle disposizioni contrattuali in materia di orario di lavoro (Sentenza Consiglio di Stato n. 5801/2015 e Corte di Giustizia Europea C-55/18 del 14 maggio 2019);
  • le irregolarità rispetto alla veridicità dei dati comunicati al CPI non soggette a sanzione (annullamento di comunicazioni o variazione dei rapporti di lavoro da full-time a part-time e viceversa, etc.);
  • la mancata individuazione, nei rapporti a tempo parziale, di specifiche fasce orarie ovvero dei turni di lavoro ovvero il mancato rispetto dell'applicazione delle clausole elastiche, al di là della maggiorazione retributiva spettante;
  • il mancato rispetto dei termini di preavviso contrattuali previsti per la chiamata ai lavoratori intermittenti;
  • le disposizioni relative ai regolamenti delle cooperative contrarie a quelle di cui all'art. 3, Legge n. 142/2001 in materia di trattamento retributivo dei soci e delle relative coperture previdenziali, nonché sull'applicazione di contratti non comparativamente più rappresentativi (Cass. n. 4951/2019);
  • il mancato rispetto della rotazione dei lavoratori collocati in cassa integrazione;
  • le violazioni dei limiti legali sul trasferimento o sul distacco del lavoratore relativi alle condotte discriminatorie, ritorsive o strumentali, non riconducibili ad effettive esigenze dell'organizzazione aziendale;
  • il superamento dei limiti di svolgimento del lavoro domenicale o straordinario rispetto alle previsioni del contratto collettivo applicato;
  • il mancato versamento delle quote maturate del trattamento di fine rapporto destinato dal lavoratore ai fondi di previdenza complementare;
  • la mancata concessione dei permessi retribuiti per i lavoratori studenti ai sensi dell'art. 10, Legge 20 maggio 1970, n. 300;
  • la mancata concessione di riposi, congedi o permessi in occasione di particolari eventi contrattualmente previsti (lutti, matrimoni, nascite, operazioni elettorali, etc.);
  • il mancato rispetto dei tempi di pausa previsti dall'art. 8, Decreto Legislativo 8 aprile 2003, n. 66, per i lavoratori che svolgono la prestazione lavorative oltre il limite delle sei ore giornaliere;
  • la mancata formazione dell'apprendista, salvo che non ci siano gli estremi per la riqualificazione del rapporto di lavoro;
  • l'omessa consegna della Certificazione Unica;
  • la mancata conservazione delle presenze mensili del personale dipendente occupato per un periodo di cinque anni dall'ultima registrazione, con obbligo di custodia ai sensi della normativa privacy;
  • il mancato richiamo nella lettera di assunzione dei lavoratori con contratto a tempo determinato della facoltà di esercizio del diritto di precedenza in violazione dell'art. 24, comma 4, Decreto Legislativo 15 giugno 2015, n. 81;
  • la mancata attuazione del diritto alla trasformazione del rapporto di lavoro da full-time a part-time per i lavoratori affetti da patologie oncologiche;
  • l'adibizione formale del lavoratore a mansioni inferiori, al di fuori delle deroghe previste dall'art. 2103, Cod. Civ.

Si rammenta che restano esclusi dalla formulazione dell’art. 14, Decreto Legislativo 23 aprile 2004, n. 124, le violazioni riconducibili all’art. 10, Decreto del Presidente della Repubblica 19 marzo 1955, n. 520, relative all’inosservanza delle disposizioni legittimamente impartite dagli ispettori in materia di prevenzione sugli infortuni sul lavoro punibili con sanzione amministrativa da 515,00 a 2.580,00 euro ovvero, nelle ipotesi in cui l’inosservanza riguardi disposizioni in materia di sicurezza ed igiene sul lavoro, con l’arresto fino ad un mese o l’ammenda fino ad euro 413,00.

Potere di disposizione, inapplicabilità alla declaratoria del CCNL

Con la sentenza 18 maggio 2021, n. 115, il TAR Friuli Venezia Giulia accoglie il ricorso del datore di lavoro avverso il verbale dell’Ispettorato Nazionale del Lavoro con cui era stato disposto, nel termine di sessanta giorni, il reinquadramento del lavoratori al livello superiore della declaratoria prevista dal CCNL, con conseguente rettifica delle comunicazioni obbligatorie, del contratto individuale, del Libro Unico del Lavoro e delle denunce contributive e di pagamento delle differenze retributive.

La ricostruzione operata dai giudici amministrativi si sofferma, in particolare, sulla questione relativa all’ampiezza del potere di disposizione e sull’interpretazione del novellato art. 14, e sulla riconduzione del provvedimento amministrativo a contenuto ordinatorio quale atto di espressione del potere pubblicistico.

Invero, diversamente dalla diffida accertativa, suscettibile di acquisire efficacia di titolo esecutivo a favore del privato, il provvedimento di cui all’art. 14 non è idoneo a riconoscere al lavoratore un’utilità diretta ed immediata, talché ogni beneficio a carico del lavoratore dipenderà quindi solo dall’adeguamento del datore alle disposizioni impartite, non essendo consentito all’amministrazione un intervento diretto sul rapporto giuridico. Altresì, la riconduzione dei rapporti di lavoro in essere ad un diverso inquadramento nella declaratoria del CCNL applicato parrebbe non rientrare tra le irregolarità (…) in materia di lavoro e legislazione sociale che possano essere oggetto dell’esercizio del potere di disposizione.

In tal senso, dal punto di vista letterale, la parola irregolarità definisce una difformità rispetto ad una fattispecie legale priva di espressa sanzione giuridica, sicché il potere di disposizione deve intendersi legittimo nei casi di violazioni di norme c.d. imperfette, che al comando giuridico non accompagnino alcuna mansione. Nel caso sottoposto al vaglio del Tribunale amministrativo, l’adibizione del lavoratore a mansioni riconducibili ad un diverso inquadramento del CCNL corrisponde ad un inadempimento dell’obbligo legale sancito dall’art. 2103, Cod. Civile, che trova già nel successivo comma 7 il suo speciale meccanismo di tutela in forza del quale “nel caso di assegnazione a mansioni superiori il lavoratore ha diritto al trattamento corrispondente all’attività svolta e l’assegnazione diviene definitiva, salvo diversa volontà del lavoratore, ove la medesima non abbia avuto luogo per ragioni sostitutive di altro lavoratore in servizio, dopo il periodo fissato dai contratti collettivi o, in mancanza, dopo sei mesi continuativi”.

Relativamente al tenore letterale della novella legislativa, il predetto potere di disposizione troverebbe applicazione nelle sole ipotesi in cui l’irregolarità non abbia come contropartita l’applicazione di sanzioni penali o amministrative, talché le medesime irregolarità rilevate debbano rivestire analoga natura penale o amministrativa. Diversamente, in potere degli ispettori non troverebbe delimitazioni potendo entrare nel merito di difformità di fonte negoziale, individuale o collettiva. Al massimo, il potere di disposizione, potrebbe estendersi ad irregolarità di natura civilistica o contrattuale secondo in principio di residualità, allorquando, cioè, non siano attivabili strumenti tipici.

La diversa riqualificazione del rapporto di lavoro in via amministrativa produrrebbe – in eccesso e sotto minaccia della comminazione di una sanzione pecuniaria – una lesione delle garanzie tipiche della giurisdizione, per effetto del potere unilaterale dell’accertamento ispettivo con ricadute sul rapporto giuridico tra privati.

 

QUADRO NORMATIVO

Decreto Legislativo 15 giugno 2015, n. 81

Decreto Legislativo 14 settembre 2015, n. 148

TAR Friuli Venezia Giulia - Sentenza n. 115 del 18 maggio 2021

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