Procedure concorsuali. Nuovo reato penale per i professionisti che attestano il falso

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Con l’entrata in vigore della legge n. 134/2012, di conversione del Dl Sviluppo n. 83/2012, prende vita il nuovo reato di falsità in attestazioni e relazioni per tutti i professionisti che intervengono nelle procedure fallimentari.

Il reato previsto dall’articolo 33, comma 1, lettera l del decreto Sviluppo, che va a costituire il nuovo articolo 236-bis della Legge Fallimentare dal titolo “Falso in relazioni e attestazioni”, consiste nella esposizione da parte del professionista (avvocato, commercialista) di informazioni false oppure nell'omissione di informazioni rilevanti ed è sanzionabile con la reclusione da due a cinque anni e con la multa da 50mila a 100mila euro.

La violazione diventerà operativa dall’11 settembre 2012, trentesimo giorno successivo a quello di entrata in vigore della legge di conversione.

Pertanto, da tale data i professionisti indipendenti, dotati di specifici requisiti e iscritti nel registro dei revisori legali, che vengono indicati dalle imprese debitrici sottoposte a procedure concorsuali per redigere alcune relazioni e attestazioni, saranno tenuti a certificare la veridicità dei dati aziendali e la fattibilità dei vari piani relativi ad accordi di ristrutturazione dei debiti e concordati preventivi, se non vorranno ricadere nella nuova fattispecie penale di cui al citato articolo 236-bis della legge fallimentare.

La tutela penale investe, dunque, le nuove relazioni e attestazioni introdotte dal Dl Sviluppo, anche se a questo punto è necessario fare una specificazione tra la presentazione di informazioni false e l'omissione di informazioni rilevanti da parte del professionista.

Come evidenziato anche dalla relazione III/7/2012, dell’ufficio studi della Corte di Cassazione, le due condotte, anche se inserite nella stessa definizione di reato, sembrano evidenziare un’asimmetria. Infatti, mentre la condotta commissiva appare chiaramente individuabile, quella omissiva di informazioni rilevanti risulta più sommaria, proprio a causa della genericità della locuzione “rilevanti”. Da ciò sembrerebbe dedursi che qualsiasi dichiarazione commissiva se falsa, anche se relativa a dati di scarsa importanza, integrerebbe il nuovo reato di cui all’articolo 236-bis, mentre la fattispecie omissiva andrebbe ad integrare lo stesso reato solo nel caso di informazioni definite espressamente “rilevanti”.

Per evitare tale dualità, l’ufficio studi della Corte potrebbe suggerire di equiparare le due interpretazioni del testo di legge, estendendo il requisito della rilevanza anche alla condotta commissiva. È, comunque, da sottolineare che la condotta dell’esposizione di informazioni non vere ha natura intrinsecamente commissiva e non può prescindere da un comportamento attivo del professionista, mentre l’omissione si estrinseca nella forma del silenzio e della reticenza. Nel primo caso, dunque, il reato sussisterebbe in presenza di una discordanza tra la realtà e quanto, invece, rappresentato da parte del professionista incaricato.
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