Sì al dissequestro per pagare il debito tributario

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Sì al dissequestro per pagare il debito tributario

E' possibile, in tema di responsabilità amministrativa degli enti, chiedere lo svincolo parziale delle somme sequestrate per pagare le imposte sui redditi illecitamente lucrati a mezzo della commissione del reato presupposto?

Alla domanda ha dato risposta la Corte di cassazione, con sentenza n. 13936 dell'11 aprile 2022, dopo aver evidenziato come, nella disciplina della responsabilità da reato degli enti, nessuna disposizione contempli espressamente tale possibilità.

Nel silenzio del D. Lgs. n. 231/2001 - ha tuttavia evidenziato la Corte - si ritiene che il dissequestro parziale delle somme in sequestro per pagare il debito tributario debba essere consentito.

Questo, alla luce di un'interpretazione costituzionalmente orientata del principio di proporzionalità della misura cautelare, nei casi in cui si renda necessario al fine di evitare, per effetto dell'applicazione del sequestro preventivo e dell'inderogabile incidenza dell'obbligo tributario, la cessazione definitiva dell'attività dell'ente, prima della definizione del processo.

Nelle predette ipotesi, difatti, il sequestro finalizzato alla confisca assolverebbe "non solo la propria lecita funzione di apprensione del prezzo o del profitto illecitamente lucrato ai fini della successiva ablazione, ma determinerebbe anche un’esasperata compressione della libertà di esercizio dell’attività d’impresa, del diritto di proprietà, del diritto al lavoro, mettendo a rischio la stessa esistenza giuridica dell’ente".

In questo modo - ha continuato la Sesta sezione penale - il sequestro si tradurrebbe in una forma di "interdizione definitiva" dall’attività di cui all’articolo 16, comma terzo, del decreto n. 231, operante già in sede cautelare e indipendentemente da un’affermazione definitiva di responsabilità dell’ente, e verrebbero a sovrapporsi, indebitamente, gli effetti di misure cautelari strutturalmente e funzionalmente distinte, quali il sequestro preventivo finalizzato alla confisca e l’interdizione dall’esercizio dell’attività.

Il tutto, senza contare:

  • che tale ultima misura interdittiva costituisce l'"extrema ratio", da disporre in via cautelare quando tutte le altre misure risultino inadeguate;
  • che le norme relative al delitto presupposto nella specie contestato - traffico di influenze illecite - non ammettono l'applicazione di misure interdittive in via cautelare;
  • che nel sistema della responsabilità da reato delle persone giuridiche è esclusa l'applicabilità, come misura cautelare, di sanzioni interdittive che non rientrino tra quelle inderogabili in via definitiva all'esito del giudizio di merito.

A rischio la cessazione definitiva dell'attività? Svincolo parziale delle somme in sequestro

In presenza di tali condizioni, in definitiva, il sequestro preventivo violerebbe il principio di proporzionalità della misura cuatelare disposto anche a livello sovranazionale dalla legislazione Ue e dalla Convenzione dei diritti dell’uomo, principio che assolve sia a una funzione strumentale per un'adeguata tutela dei diritti individuali in ambito processuale penale, sia a una funzione finalistica, ossia come parametro per verificare la giustizia della soluzione presa nel caso concreto.

In definitiva, la Cassazione ritiente che, "in attuazione del principio di proporzionalità della misura cautelare, il giudice possa autorizzare il dissequestro parziale delle somme sottoposte a sequestro preventivo finalizzato alla confisca per consentire all'ente di pagare le imposte dovute sulle medesime, quale profitto di attività illecite, quando il vincolo reale disposto, pur legittimamente determinato in misura corrispondente al prezzo o al profitto del reato rischi di determinare, anche in ragione dell'incidenza dell'obbligo tributario, già prima della definizione del processo, la cessazione definitiva dell'esercizio dell'attività dell'ente".

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