Whistleblowing. Vige (finalmente) la legge che tutela il dipendente, anche privato, che segnala illeciti

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Whistleblowing. Vige (finalmente) la legge che tutela il dipendente, anche privato, che segnala illeciti

La legge n. 179, del 30 novembre 2017, ha introdotto specifiche e puntuali forme di tutela per un lavoratore che segnala spontaneamente gli illeciti di cui è venuto a conoscenza sul posto di lavoro, nell’amministrazione pubblica o in aziende private.

L'intervento normativo ha, così, l’obiettivo di integrare la normativa già prevista per la tutela dei lavoratori del settore pubblico che segnalino irregolarità o reati introducendo forme di tutela anche per i lavoratori del settore privato, attraverso la rigorosa disciplina dell’istituto del whistleblowing.

Il whistleblowing cos'è?

Whistleblowing, letteralmente, significa “soffiare il fischietto”. Traducendo l’espressione in termini giuridici, propri del mondo anglosassone, si comprende che la stessa viene impiegata per descrivere l’azione di un soggetto che decide di divulgare una condotta illegale, rischiosa, illegittima, perpetrata nell’ambito di una organizzazione.

Si tratta di un istituto diffuso soprattutto nei paesi di Common Law, ove - nell’ambito dei contesti di lavoro - vengono previste efficaci forme di tutela per incentivare i dipendenti a segnalare comportamenti scorretti che possono arrecare danno alle imprese o agli stakeholders.

NB! Solo quattro Paesi europei (Ungheria, Irlanda, Belgio e, appunto, Regno Unito), hanno introdotto un testo unico di legge specificamente dedicato alla disciplina del whistleblowing, mentre gran parte dei restanti Paesi dell’Unione (tra cui Francia, Germania, Austria, Grecia, Islanda, Portogallo) hanno previsto semplicemente singole disposizioni normative contenute in varie leggi nazionali o, addirittura (ed è il caso di Spagna, Repubblica Ceca, Svezia, Polonia e Finlandia) alcuna legge a regolare il whistleblowing.

Il whistleblowing in Italia

Nel “bel paese”, tale istituto è stato caratterizzato, sostanzialmente, per anni, da un vuoto normativo, colmato all’occorrenza da norme più generali di tutela del lavoratore, quali la normativa sui licenziamenti, la tutela della libertà di pensiero in virtù dell’art. 21 della Costituzione, tutele di tipo sindacale ecc.

Recentemente, tuttavia, in materia, è per l'appunto intervenuta la legge n. 179 del 30 novembre 2017, che, pubblicata nella “Gazzetta Ufficiale” n. 291 del 14 dicembre 2017, è entrata in vigore il successivo 29 dicembre 2017, introducendo (finalmente) specifiche e puntuali forme di tutela per un lavoratore che segnala spontaneamente gli illeciti di cui è venuto a conoscenza sul posto di lavoro.

Analizzando il panorama normativo precedentemente in vigore, sul punto, in verità, la legge “anticorruzione” (legge n. 190 del 6 novembre 2012, “G.U.” n. 265 del 13 novembre 2012) prevedeva già speciali tutele per il dipendente pubblico che avesse segnalato ai suoi superiori delle condotte illecite altrui.

Segnatamente, la legge n. 190/2012, attraverso l’articolo 1, comma 51, ha disposto l’introduzione dell’articolo 54-bis del decreto legislativo n. 165 del 30 marzo 2001, “G.U.” n. 106 del 9 maggio 2001 (c.d. Testo unico sul Pubblico Impiego) a protezione del dipendente pubblico che segnala illeciti della propria amministrazione.

NB! Tale forma di tutela risultava però limitata, tanto soggettivamente poiché si rivolge ai soli dipendenti pubblici, quanto oggettivamente poiché volta principalmente a combattere i fenomeni di corruzione.

La nuova disciplina

Rispetto alla struttura dell’intervento normativo di cui alla legge n. 179/2017, essa si compone di tre articoli che hanno come obiettivo principale quello di garantire una tutela adeguata ai lavoratori, in caso di loro segnalazione di condotte illecite.

In particolare, i lavoratori che segnalino correttamente:

  • non potranno essere sanzionati;

  • non potranno essere demansionati;

  • non potranno essere licenziati;

  • non potranno essere trasferiti;

  • non potranno essere sottoposti ad altra misura organizzativa avente effetti negativi, diretti o indiretti, sulle condizioni di lavoro.

Nella legge in vigore viene vieppiù chiarito che le nuove disposizioni valgono non solo per tutte le amministrazioni pubbliche, inclusi gli enti pubblici economici e quelli di diritto privato sotto controllo pubblico, ma si rivolgono in primo luogo anche a chi lavora in imprese che forniscono beni e servizi alla Pubblica Amministrazione.

In secondo luogo, inoltre, ai sensi dell’articolo 2, la nuova disciplina allarga anche al settore privato la tutela del dipendente o collaboratore che segnali condotte illecite o violazioni relative al modello di organizzazione e gestione dell'ente di cui sia venuto a conoscenza per ragioni del suo ufficio.

In buona sostanza, pertanto, dall’entrata in vigore della legge - quindi, dal 29 dicembre 2017 - i lavoratori che segnalano reati o irregolarità di cui siano venuti a conoscenza nell'ambito di un rapporto di lavoro pubblico o privato e che provvedono alla relativa segnalazione, possono finalmente contare su un' ampia gamma di tutele - delineate nel caso del dipendente pubblico, dall’art. 1 della legge, e dall’art. 2 per il dipendente privato - ma eguali nella sostanza.

Le misure generali di tutela previste

In dettaglio, come si vedrà, relativamente al settore pubblico la legge contiene una serie di modifiche al citato art. 54 bis del d. lgs. 165/2001, affidando tuttavia all’Autorità anticorruzione (Anac) un ampio potere per regolamentare le procedure amministrative attuative necessarie per assicurare segretezza in ordine al nome del lavoratore che ha segnalato correttamente al proprio superiore irregolarità di rilievo, oltre che per consentire l’applicazione di sanzioni pecuniarie a quei dirigenti che abbiano attuato condotte ritorsive a danno di chi abbia effettuato la segnalazione.

La legge prevede, inoltre, all’art. 2 misure attuative obbligatorie anche per le imprese private, per proteggere il “whistleblower”, stabilendo la necessità di un adeguamento dei modelli organizzativi interni, adottati ed attuati ai sensi del decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231 (G.U. n. 140 del 19 giugno 2001) di modo che gli stessi non solo garantiscano canali di segnalazione da cui non emerga l’identità del segnalante, ma anche sanzioni effettive e dissuasive verso chi ometta di dare seguito alla segnalazione ricevuta e chi, mediante proprie rivelazioni incaute o artefatte, procuri allarme ingiustificato nell’organizzazione produttiva.

L’art. 3 specifica, poi, che la rivelazione di informazioni sensibili può avvenire esclusivamente con modalità adeguate (non divulgandole alla stampa o in forma pubblica, ma nell’ambito dei canali specificatamente dedicati a tale fine), in ogni caso perseguendo l'interesse all'integrità delle amministrazioni (o delle organizzazioni private) alla prevenzione e alla repressione delle malversazioni.

Le specifiche misure di tutela

Analizzando le nuove norme nel dettaglio, esaminiamo allora le singole tutele previste dalla legge in commento, al fine di preservare il rapporto di lavoro del dipendente “segnalatore”.

Come già sottolineato, la tutela più forte è la reintegrazione nel posto di lavoro in caso di licenziamento subìto a seguito della segnalazione.

In particolare, la nuova disciplina prevede che il dipendente sia reintegrato nel posto di lavoro in caso di licenziamento e che siano nulli tutti gli atti discriminatori o ritorsivi (tra cui un eventuale demansionamento o trasferimento), precisando che l’onere di provare che le misure discriminatorie o ritorsive adottate nei confronti del segnalante siano motivate da ragioni estranee alla segnalazione è a carico dell’amministrazione (o del datore di lavoro privato, a seconda dei casi).

Nell’ipotesi di atti discriminatori, invece, l’Anac, a cui l’interessato o i sindacati comunicano eventuali atti discriminatori, applica all’ente (se ne viene accertata la responsabilità) una sanzione pecuniaria amministrativa da 5.000 a 30.000 euro, fermi restando gli altri profili di responsabilità.

Inoltre, l’Anac applica la sanzione amministrativa da 10.000 a 50.000 euro a carico del responsabile che non effettua le attività di verifica e analisi delle segnalazioni ricevute.

Sempre a sua tutela, non potrà, per nessun motivo, essere rivelata l’identità del dipendente che segnala atti discriminatori e, nell’ambito dell’eventuale procedimento penale attivato, la segnalazione sarà coperta nei modi e nei termini di cui all’art. 329 del codice di procedura penale (l’identità non può essere rivelata neppure in caso di attivazione di un procedimento disciplinare).

La segnalazione é oltretutto sottratta all'accesso previsto dagli articoli 22 e seguenti della legge del 7 agosto 1990, n. 241 (G.U. n. 192 del 18 agosto 1990).

Ad ogni modo, al fine di rendere sicure le procedure di segnalazione, la legge precisa che l’Anac, sentito il Garante per la protezione dei dati personali, elaborerà linee guida sulle procedure di presentazione e gestione delle segnalazioni, promuovendo anche strumenti di crittografia quanto al contenuto della denuncia e alla relativa documentazione per garantire la riservatezza dell’identità del segnalante.

 

NB! I meccanismi di tutela sopra descritti – come evidenziato dall’art. 1 - non scattano qualora il dipendente che denuncia atti discriminatori a seguito della segnalazione venga condannato in sede penale (anche in primo grado) per calunnia, diffamazione o altri reati commessi con la denuncia o quando sia accertata la sua responsabilità civile per dolo o colpa grave.

 

La tutela del dipendente pubblico

La tutela del dipendente privato

Art. 1: Modifica dell'articolo 54-bis del d. lgs. n. 165/2001, in materia di tutela del dipendente o collaboratore che segnala illeciti:

 

  • Il pubblico dipendente non puo' essere sanzionato, demansionato, licenziato, trasferito, o sottoposto ad altra misura organizzativa avente effetti negativi, diretti o indiretti, sulle condizioni di lavoro determinata dalla segnalazione.

 

  • L'adozione di misure ritenute ritorsive nei confronti del segnalante è comunicata in ogni caso all'Anac dall'interessato o dalle organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative.

 

 

  • L'identità del segnalante non può essere rivelata.

 

  • E' a carico dell'amministrazione pubblica o dell'ente dimostrare che le misure discriminatorie o ritorsive, adottate nei confronti del segnalante, sono motivate da ragioni estranee alla segnalazione stessa.

 

 

  • Gli atti discriminatori o ritorsivi adottati dall'amministrazione o dall'ente sono nulli.

 

  • Il segnalante che sia licenziato a motivo della segnalazione è reintegrato nel posto di lavoro.

 

Art. 2 : Tutela del dipendente o collaboratore che segnala illeciti nel settore privato

 

 

 

  • Modifica dell’ articolo 6 del decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231, introducendo nell’ambito dei modelli di organizzazione e gestione:

- uno o piu' canali che consentano ai dipendenti o collaboratori di presentare segnalazioni di condotte illecite o di violazioni del modello di organizzazione e gestione dell'ente, garantendo la riservatezza dell'identità del segnalante.

- almeno un canale alternativo di segnalazione idoneo a garantire, con modalità informatiche, la riservatezza dell'identità

del segnalante.

 

 

  • Divieto di atti di ritorsione o discriminatori, diretti o indiretti, nei confronti del segnalante per motivi collegati, direttamente o indirettamente, alla segnalazione.

 

  • Previsione nel sistema disciplinare adottato di sanzioni nei confronti di chi viola le misure di tutela del segnalante, nonchè di chi effettua con dolo o colpa grave segnalazioni che si rivelano infondate.

 

 

  • L'adozione di misure discriminatorie nei confronti dei soggetti che effettuano le segnalazioni deve essere denunciata all'Ispettorato nazionale del lavoro, così come alle organizzazioni sindacali.

 

  • Il licenziamento ritorsivo o discriminatorio del soggetto segnalante è nullo.

 

 

  • E’ nullo il mutamento di mansioni ai sensi dell'articolo 2103 del codice civile, nonchè qualsiasi altra misura ritorsiva o discriminatoria.

 

  • E' onere del datore di lavoro, in caso di controversie legate all'irrogazione di sanzioni disciplinari, o a demansionamenti, licenziamenti, trasferimenti, o sottoposizione del segnalante ad altra misura organizzativa avente effetti negativi, diretti o indiretti, sulle condizioni di lavoro, successivi alla presentazione della segnalazione, dimostrare che tali misure sono fondate su ragioni estranee alla segnalazione.

 

 

QUADRO NORMATIVO

Legge del 7 agosto 1990, n. 241

Decreto legislativo del 30 marzo 2001, n. 165

Decreto legislativo dell’8 giugno 2001, n. 231

Legge del 6 novembre 2012, n. 190

Legge del 30 novembre 2017, n. 179

 

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