Buste paga false, si configura la dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici

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La Corte di Cassazione, terza sezione penale, con la sentenza n. 36900 depositata il 9 settembre 2013, affronta il caso di un amministratore unico di una società condannato secondo l'art. 2 del D.Lgs n. 74/2000 per dichiarazione fraudolenta mediante utilizzo di falsi documenti, avendo indicato nella busta paga di due dipendenti importi superiori a quanto effettivamente corrisposto, con il fine di dedurre in maniera indebita l'Iva.

I giudici della Corte - nell'accogliere il ricorso presentato dall'imprenditore avverso la decisione dei giudici di merito, che evidenziava come la differenza tra il compenso indicato e quello versato attestasse operazioni parzialmente esistenti - evidenziano come, nel caso in esame, la prestazione di lavoro risulti invece non fittizia ma effettuata.

Il problema che si pone è quello della qualificazione giuridica del fatto che, secondo la Corte, potrebbe eventualmente rientrare nella tipizzazione prevista invece dall'art. 3 del D.Lgs n. 74/2000, che prevede la dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici, rappresentante una frode contabile alla quale deve associarsi un quid pluris artificioso non tipizzato (diverso dall'uso di fatture o altri documenti falsi) “ma comunque caratterizzato dalla idoneità ad indurre in errore e ad impedire il corretto accertamento della realtà contabile di colui che presenta la dichiarazione”.
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  • ItaliaOggi, p. 25 - Gonfiare gli stipendi non ha fini fraudolenti – Alberici

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