Cndcec, definiti i confini della crisi aziendale

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Cndcec, definiti i confini della crisi aziendale

L'incertezza legata alla esatta definizione della “crisi d'impresa” ha spinto il Consiglio nazionale dei dottori commercialisti a mettere nero su bianco tutti gli elementi da verificare e di cui tener conto per poter individuare e accertare una crisi aziendale, dal momento che la semplice lettura del bilancio – visti i margini di discrezionalità esistenti – non riesce sempre a fornire uno stato esatto della reale situazione economica dell'impresa.

Per una diagnosi precoce

Il documento dal titolo “Informativa e valutazione nella crisi d’impresa”, ha come obiettivo quello di superare i limiti oggi esistenti sull'argomento e, come commentato dallo stesso Presidente Longobardi, fornire un’indicazione precisa degli elementi economico-aziendali qualificanti l’informativa e la valutazione della crisi d’impresa. Il tutto per aiutare i soggetti interessati ad effettuare una diagnosi esatta e tempestiva della crisi d'impresa prima che dalla semplice situazione di difficoltà temporanea si passi senza soluzione di continuità all’insolvenza.

Per tali ragioni - spiega lo stesso Longobardi - nel documento si è cercato di evidenziare “le possibili conoscenze che gli operatori o i soggetti che hanno rapporti con un’impresa in difficoltà possano acquisire circa il suo reale rischio di default”. In altri termini, si è cercato di offrire “linee di indirizzo ai commercialisti che svolgono la propria attività a contatto con l'imprenditore, al fine di tentare una qualificazione della crisi aziendale, che ne consenta anche il monitoraggio e l’emersione”.

Crisi d'impresa confronto tra concetto aziendalistico e definizione giuridica

In assenza di una norma ad hoc, la dottrina ha sottolineato che la crisi d’impresa non è uno stato statico e univocamente identificabile ma “una perturbazione o improvvisa modificazione di un’attività economica organizzata, prodotta da molteplici cause ora interne al singolo organismo, ora esterne, ma comunque capaci di minarne l'esistenza o la continuità”. Spazio rilevante a questo concetto è stato conferito dalla Legge Fallimentare, che ha individuato nel concetto della crisi d'impresa proprio il presupposto per l'attivazione degli strumenti alternativi al fallimento come, per esempio, il piano di risanamento.

Nello specifico, nel documento del Cndcec vengono individuati, in base a quanto riconosciuto nell'ambito della migliore dottrina, cinque stadi della crisi, che vanno dall'incubazione della crisi allo stadio finale della insolvenza (irreversibile). Solo quest'ultimo può rappresentare uno stadio assimilabile ad uno stato di insolvenza prospettica.

Il bilancio aziendale non è indicativo

Una delle conclusioni cui giungono i commercialisti è che molte volte il bilancio d'esercizio non è in grado di far emergere inequivocabilmente lo stato di insolvenza e, allo stesso tempo, non è in grado di individuare univocamente lo stato di crisi. Ciò, in quanto spesso la realtà contabile è diversa dalla realtà operativa dell'azienda in attività e, quindi, il quadro che emerge dal confronto tra le poste attive/passive non sempre corrisponde alla situazione patrimoniale-finanziaria effettiva dell'impresa. Per tale ragione, la corretta lettura del bilancio non dovrebbe soffermarsi solo su dati statistici, ma dovrebbe prevedere una interpretazione puntuale di altri dati, quali i cash flow prospettici. Inoltre, la lettura andrebbe fatta congiuntamente ad altri indicatori, di natura quantitativa e qualitativa, affinché il bilancio di esercizio possa provare la presenza di uno stato di insolvenza anche solo prospettica o, quanto meno, l’esistenza di uno stato di crisi.

Sempre nel documento dei commercialisti sono stati poi affrontati i concetti di illiquidità, e insolvenza aziendale.

Links Anche in
  • Il Sole 24 Ore - Norme e Tributi, p. 44 - Crisi d’impresa, il bilancio non basta - Costa
  • ItaliaOggi, p. 27 - Crisi, il bilancio non prova nulla - Lenzi

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