Corte Ue sulle frodi Iva: la prescrizione non è sempre da disapplicare

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Corte Ue sulle frodi Iva: la prescrizione non è sempre da disapplicare

Nell’ambito di procedimenti penali per reati in materia di Iva, il giudice nazionale deve disapplicare eventuali disposizioni interne sulla prescrizione, rientranti nel diritto sostanziale nazionale, che siano di ostacolo all’inflizione di sanzioni penali effettive e dissuasive in un numero considerevole di casi di frode grave che ledono gli interessi finanziari dell’Unione europea o che prevedano, per i casi di frode grave che ledono tali interessi, termini di prescrizione più brevi di quelli previsti per i casi che ledono gli interessi finanziari dello Stato membro interessato.

Questo, salvo il caso in cui la detta disapplicazione comporti una violazione del principio di legalità dei reati e delle pene in ragione dell’insufficiente determinatezza della legge applicabile, o dell’applicazione retroattiva di una normativa che impone un regime di punibilità più severo di quello vigente al momento della commissione del reato.

Disapplicazione non obbligatoria in caso di contrasto con il principio di legalità

Se, ossia, il giudice nazionale dovesse ritenere che l’obbligo di disapplicare le disposizioni del codice penale interno - nel caso di specie italiano - contrasti con il principio di legalità, esso non sarebbe tenuto a conformarsi a tale obbligo, e questo neppure nel caso in cui il rispetto del medesimo consentisse di rimediare a una situazione nazionale incompatibile con il diritto dell’Unione.

In questo contesto, spetta allora al legislatore nazionale adottare le misure necessarie, fissando norme sulla prescrizione che consentano di ottemperare agli obblighi derivanti dall’articolo 325 TFUE, nonché garantire che il regime nazionale di prescrizione in materia penale “non conduca all’impunità in un numero considerevole di casi di frode grave in materia di IVA o non sia, per gli imputati, più severo nei casi di frode lesivi degli interessi finanziari dello Stato membro interessato rispetto a quelli che ledono gli interessi finanziari dell’Unione”.

Domanda di pronuncia pregiudiziale sollevata dalla Consulta

E’ questa la corretta interpretazione dell’articolo 325, paragrafi 1 e 2, TFUE, fornita dalla Corte di giustizia dell’Unione europea nel testo della sentenza del 5 dicembre 2017, pronunciata con riferimento alla causa C‑42/17, avente ad oggetto una domanda di pronuncia pregiudiziale sollevata dalla Corte costituzionale italiana.

Quest’ultima era stata a sua volta investita dalla Corte di cassazione e dalla Corte d’appello di Milano le quali, in due procedimenti aventi ad oggetto reati previsti dal Decreto legislativo n. 74/2000 suscettibili di essere qualificati come gravi, avevano ritenuto applicabile la regola enunciata dai giudici europei nella sentenza Taricco e che, quindi, fosse da disapplicare il termine di prescrizione previsto dalle disposizioni del codice penale italiano.

Nella citata decisione Taricco, si rammenta, la Corte di giustizia aveva dichiarato che il combinato disposto dell’articolo 160, ultimo comma, e dell’articolo 161 del Codice penale, nella parte in cui tali disposizioni prevedono che un atto interruttivo della prescrizione verificatosi nell’ambito di procedimenti penali riguardanti frodi gravi in materia di IVA comporti il prolungamento del termine di prescrizione di solo un quarto della sua durata iniziale, fosse idoneo - e pertanto, all’occorenza, da disapplicare - a pregiudicare gli obblighi imposti agli Stati membri dall’articolo 325, paragrafi 1 e 2, TFUE, “nell’ipotesi in cui tali disposizioni nazionali impediscano di infliggere sanzioni effettive e dissuasive in un numero considerevole di casi di frode grave che ledono gli interessi finanziari dell’Unione, o in cui prevedano, per i casi di frode che ledono gli interessi finanziari dello Stato membro interessato, termini di prescrizione più lunghi di quelli previsti per i casi di frode che ledono gli interessi finanziari dell’Unione”.

La Corte costituzionale aveva sollevato dubbi sulla compatibilità di una tale soluzione con i principi dell’ordine costituzionale italiano e con il rispetto dei diritti inalienabili della persona. La soluzione ivi adottata, per la Consulta, avrebbe potuto ledere il principio di legalità dei reati e delle pene, il quale impone, segnatamente, che le norme penali siano determinate con precisione e non possano essere retroattive.

Per questo si era rivolta alla Corte di giustizia.

Anche in
  • eDotto.com – Edicola 27 gennaio 2017 - Frodi Iva e prescrizione Parola alla Corte Ue – Pergolari

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