Decreto Lavoro e cuneo fiscale: chi ci guadagna, chi no

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Decreto Lavoro e cuneo fiscale: chi ci guadagna, chi no

Pubblicato in Gazzetta Ufficiale il Decreto Lavoro 2023 (decreto-legge 4 maggio 2023, n. 48) recante numerose misure in ordine alla riforma del reddito di cittadinanza, alla riforma dei rapporti a tempo determinato, all’ampliamento del ricorso alle collaborazioni occasionali per taluni settori produttivi e molto altro.

Tra le misure più attese, l’adozione  dell’ulteriore taglio al cd. cuneo fiscale che porterà, nella busta paga dei lavoratori dipendenti, già dal prossimo mese di luglio, un aumento della retribuzione netta.

Allo stato – secondo le esplicite previsioni del decreto - tale taglio non è concepito come misura strutturale, ma solo come misura a carattere temporaneo, in quanto avente valenza per i periodi di paga decorrenti dal luglio 2023 fino al dicembre 2023, tredicesima esclusa.

È ovviamente generale l’auspicio che, nella prossima Manovra di bilancio, tale taglio ritrovi le risorse per divenire organico.

L’esonero sulle retribuzioni prevista dal Decreto Lavoro (art. 39, decreto-legge n. 48/2023) comporta una riduzione sulla quota dei contributi previdenziali per l'invalidità, la vecchiaia e i superstiti a carico del lavoratore pari a 4 punti percentuali, che si sommano all’esonero (del 2% o del 3%) già previsto nella Manovra di bilancio 2023 adottata dal precedente Esecutivo e confermato da quello in carica.

Numerose le simulazioni reperibili in svariate fonti, ma andrà verificata la concreta incidenza sulla effettiva personale retribuzione.

A chi spetta l’agevolazione in busta paga

L’esonero fino al 6% sulla trattenuta ordinaria in busta paga per i contributi INPS a carico del lavoratore (di norma versati in misura pari al 9,19% della retribuzione lorda mensile percepita per il settore privato e per l'8,8% nel pubblico) spetta ai lavoratori in forza con contratto di assunzione di lavoro subordinato (i dipendenti e assimilati) che abbiano una retribuzione mensile non superiore a 2.692 euro lordi, parametrati su 13 mensilità.

L’esonero sale al 7% se l’imponibile del mese non sfora i 1.923 euro.

Il riferimento per la retribuzione mensile è l’imponibile ai fini previdenziali individuale.

Taglio al cuneo fiscale: cos’è

Per taglio del cuneo fiscale deve intendersi la riduzione delle imposte sui redditi e i contributi versati dal datore di lavoro e dal lavoratore sulla retribuzione. Corrisponde alla differenza tra il costo del lavoro complessivo e la retribuzione netta.

Analogamente, secondo la definizione fornita dall’OCSE (Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico), il cuneo fiscale è “il rapporto tra l’ammontare delle tasse pagate da un singolo lavoratore e il corrispondente costo totale del lavoro per il datore”.

Si tratta quindi da un insieme eterogeneo di imposizioni (fiscali e contributive) che gravano su ambedue le parti del rapporto di lavoro e che – nella loro interezza – costituiscono la tassazione complessiva sul reddito di lavoro dipendente.

Appare quindi evidente che il taglio al cuneo fiscale da tempo richiesto da più parti sociali - tanto, datoriali che sindacali – in presenza di una conclamata elevata tassazione tutta italiana del reddito di lavoro dipendente e del costo del lavoro dipendente – risponda alla necessità di elevare il potere d’acquisto del reddito individuale derivato da lavoro e di liberare risorse economiche a favore delle imprese ai fini di maggiore disponibilità finanziaria per auspicati maggiori investimenti e mantenimento e/o incremento dei livelli occupazionali.

Esonero contributivo nel decreto lavoro

Se andassimo a riguardare i titoli e gli articoli pubblicati copiosamente nel periodo ante-decreto, non troveremo altro che anticipazioni sul nuovo e ulteriore taglio al cuneo fiscale, che avrebbe concretizzato quella misura ampiamente attesa da imprese e lavoratori.

A ben guardare, invece, già con il primo intervento detassativo del precedente Esecutivo (legge di Bilancio 2023. articolo 1, comma 281, legge 29 dicembre 2022, n. 197) veniva previsto l’esonero sulla quota dei contributi previdenziali a carico del lavoratore, nella misura di 2 punti percentuali per le retribuzioni mensili non eccedenti 2.692,00 euro, aumentato al 3% dalla medesima disposizione per le retribuzioni mensili non eccedenti 1.923,00 euro (al riguardo, vedasi la circolare INPS n.7 del 24 gennaio 2023).

Non si trattava quindi di un reale taglio al cuneo fiscale, bensì unicamente di una riduzione della contribuzione a carico del lavoratore.

In tale occasione, non incidendo il provvedimento sull’effettivo cuneo fiscale dato anche dal costo del lavoro sopportato dal datore di lavoro, il vantaggio di questo primo taglio per il datore di lavoro è stato evidentemente pari a zero.

Anche il nuovo Decreto Lavoro non si discosta da tale architettura della detassazione. Infatti l’art. 39 del provvedimento, titolato “Esonero parziale dei contributi previdenziali a carico dei lavoratori dipendenti”, incide nuovamente quindi solo sulla quota di contribuzione dovuta dal lavoratore (+ 4% di esonero che si somma al 2% precedente per le retribuzioni mensili imponibili non eccedenti l’importo mensile di 2.692 euro  e al 3% per le retribuzioni imponibili non eccedenti l’importo mensile di 1.923 euro).

Anche in questo caso, il vantaggio del secondo taglio per il datore di lavoro è ulteriormente pari a zero.

Considerazioni conclusive

È di tutta evidenza che non si tratta affatto di un taglio al cuneo fiscale tecnicamente inteso, ma più semplicemente di una riduzione dei contributi previdenziali corrisposti dal lavoratore in conseguenza del reddito conseguito dal rapporto di lavoro dipendente.

 Conforta in tale senso il messaggio Inps n. 1932 del 24 maggio 2023 che detta istruzioni operative per l’applicazione sulle retribuzioni del predetto esonero, nel cui testo non appare minimamente la dicitura “taglio al cuneo fiscale” ma più semplicemente come sopra sostenuto “esonero sulla quota dei contributi previdenziali per l'invalidità, la vecchiaia e i superstiti a carico del lavoratore”.

 Non si possono negare comunque le conseguenze positive sull’aumento complessivo del netto in busta paga per il personale dipendente. Con una particolarità poco raccontata: con l’aumento della retribuzione, cresce l’imposizione IRPEF sulla medesima retribuzione.

Si pagheranno meno contributi, ma prospera l’imposizione fiscale a carico del reddito da lavoro dipendente.

Opinioni e valutazioni dell’autore hanno carattere personale e non impegnano in alcun modo l’Amministrazione di appartenenza.
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