Decreto Trasparenza, nuovi obblighi informativi per i datori di lavoro

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Decreto Trasparenza, nuovi obblighi informativi per i datori di lavoro

Dopo i quindici giorni di vacatio, il 13 agosto 2022 entreranno in vigore le nuove disposizioni del Decreto Trasparenza, con il quale il Governo ha dato attuazione alla Direttiva europea n. 2019/1152, concernente le condizioni di informazione e comunicazione rispetto all’instaurazione dei rapporti di lavoro subordinati e parasubordinati.

La complessità delle nuove regole, i ristretti tempi di adeguamento e l’apparato sanzionatorio elaborato, gravano pesantemente su imprese – specie medio-piccole – e sui professionisti. Diciassette articoli che stravolgono i contenuti o le informazioni collegate ai rapporti di lavoro, che introducono una massa documentale da presentare al lavoratore e che – per espressa previsione legislativa – corrono il rischio di non raggiungere l’obiettivo di chiarezza e trasparenza prescritto dall’UE, in considerazione della particolare complessità e rapida evoluzione del diritto del lavoro nazionale e del correlato non obbligo di aggiornamento del documento stilato in fase di assunzione.

Ambito di applicazione e modalità di comunicazione

Ai sensi dell’art. 1, decreto legislativo 27 giugno 2022, n. 104, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale 29 luglio 2022, n. 176, il diritto all’informazione sugli elementi essenziali del rapporto di lavoro e sulle condizioni di lavoro e la relativa tutela trova una platea molto ampia di destinatari e, specificatamente, si applica alle seguenti categorie di lavoratori o tipologie contrattuali:

  1. lavoratori con contratto di lavoro subordinato, ivi compreso il lavoro agricolo, sia esso a tempo indeterminato o determinato, anche a tempo parziale;
  2. contratto di lavoro somministrato;
  3. contratto di lavoro intermittente;
  4. rapporti di collaborazione con prestazione prevalentemente personale e continuativa organizzata dal committente ai sensi dell’art. 2, comma 1, decreto legislativo 15 giugno 2015, n. 81;
  5. contratto di collaborazione coordinata e continuativa ex art. 409, Cod. Proc. Civile;
  6. contratto di prestazione occasionale disciplinato dall’art. 54-bis, decreto legge 24 aprile 2017, n. 50, convertito, con modificazioni, dalla legge 21 giugno 2017, n. 96;
  7. lavoratori dipendenti delle pubbliche amministrazioni di cui all’art. 1, comma 2, decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, ed ai lavoratori degli enti pubblici non economici;
  8. lavoratori marittimi e lavoratori della pesca, fatta salva la disciplina speciale vigente in materia;
  9. lavoratori domestici, ad eccezione per le previsioni di cui agli artt. 10 e 11, del medesimo decreto legislativo.

Sono esclusi, conseguentemente o per espressa previsione di legge:

  • i rapporti di lavoro autonomo ex titolo III del libro V del Codice Civile e quelli di lavoro autonomo di cui al decreto legislativo 28 febbraio 2001, n. 36, purché non integranti un rapporto di collaborazione coordinata e continuativa ai sensi del predetto art. 409, punto 3, Cod. Proc. Civile;
  • i rapporti di lavoro caratterizzati da un tempo di lavoro predeterminato ed effettivo pari o inferiore a una media di tre ore a settimana in un periodo di riferimento di quattro settimane consecutive. Specificatamente, il secondo periodo della lettera b), comma 4, art. 1, del decreto legislativo in commento, esplicita che ai fini della media delle tre ore di tempo di lavoro prestato vanno considerati tutti i datori di lavoro che costituiscono la medesima impresa o uno stesso gruppo di imprese. Altresì, l’esclusione non opera laddove non sia stata stabilita una quantità garantita di lavoro retribuito prima dell’inizio del rapporto;
  • i rapporti di agenzia e rappresentanza commerciale;
  • i rapporti di collaborazione prestati nell’impresa del datore di lavoro dal coniuge, dai parenti o affini non oltre il terzo grado, sempreché siano con lui conviventi;
  • i rapporti di lavoro del personale dipendente di amministrazioni pubbliche in servizio all’estero, limitatamente all’art. 2, decreto legislativo 26 maggio 1997, n. 152;
  • i rapporti di lavoro di cui all’art. 3, decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, limitatamente alle disposizioni di cui al Capo III del decreto legislativo in commento.

Ai sensi dell’art. 3, del Decreto Trasparenza, i nuovi obblighi di informazione – che analizzeremo nel paragrafo successivo – devono essere resi a ciascun lavoratore in modo trasparente, chiaro e completo, con modalità cartacea o elettronica e devono essere rese accessibili al lavoratore e la prova della trasmissione o della ricezione deve essere conservata dal datore di lavoro per la durata di cinque anni dalla cessazione del rapporto di lavoro.

Gli obblighi riguardano sia i lavoratori assunti dal 13 agosto 2022 (data di entrata in vigore della norma) che i lavoratori in forza al 1° agosto 2022. Questi ultimi, ai sensi dell’art. 16, possono richiedere al datore di lavoro di fornire le informazioni di cui agli artt. 1, 1-bis, 2 e 3, decreto legislativo 26 maggio 1997, n. 152, come modificate dal decreto legislativo 27 giugno 2022, n. 104, le quali dovranno essere fornite o integrate entro il termine di sessanta giorni. Sostanzialmente, dunque, per i lavoratori in forza alla data del 1° agosto,

Si evidenzia sin d’ora che – stando al tenore letterale della disposizione normativa – parrebbero esclusi dal nuovo diritto all’informazione i lavoratori assunti tra il 2 agosto 2022 ed il 12 agosto 2022 in quanto non contemplati dal legislatore. Come noto, infatti, i decreti legislativi entrano in vigore dopo quindici giorni dalla pubblicazione in Gazzetta Ufficiale, sicché le nuove regole di informazione trovano applicazione rispetto ai rapporti instaurati dal 13 agosto 2022. L’art. 16, concernente le Disposizioni transitorie, individua tra i soggetti che possono richiedere – in forma scritta – le informazioni disciplinate dal decreto solo coloro che siano in forza alla data del 1° agosto 2022.

Le informazioni del rapporto di lavoro

Sebbene la direttiva comunitaria consenta il rinvio alla normativa vigente, lo schema del decreto richiede che l’informazione sia indicata in modo puntale, gravando – di fatto – sul datore di lavoro la ricognizione degli strumenti adattabili al singolo lavoratore, sicché ai sensi dell’art. 4, del decreto legislativo, che sostituisce integralmente l’art. 1, decreto legislativo 26 maggio 1997, n. 152 (anch’esso attuativo di un’altra direttiva comunitaria e, specificatamente, della direttiva 91/5338CEE), i datori di lavoro pubblici e privati sono tenuti a comunicare al lavoratore le seguenti informazioni:

  1. l’identità delle parti, ivi compresa quella degli eventuali co-datori;
  2. il luogo di lavoro. In caso di mancanza di un luogo fisso o predominante, il datore di lavoro comunica che il lavoratore è occupato in luoghi diversi o è libero di determinare il proprio luogo di lavoro;
  3. la sede o il domicilio del datore di lavoro;
  4. l’inquadramento, il livello e la qualifica attribuiti al lavoratore o, in alternativa, le caratteristiche o la descrizione sommaria del lavoro;
  5. la data di inizio del rapporto di lavoro;
  6. la tipologia di rapporto di lavoro, precisando in caso di rapporti a termine la durata prevista dello stesso;
  7. nel caso di lavoratori dipendenti da agenzia di somministrazione di lavoro, l’identità delle imprese utilizzatrici, al momento in cui questa sia nota;
  8. la durata del periodo di prova, se previsto;
  9. il diritto a ricevere la formazione erogata dal datore di lavoro, se prevista;
  10. la durata del congedo per ferie, nonché gli altri congedi retribuiti cui ha diritto il lavoratore o, se ciò non può essere indicato all’atto dell’informazione, le modalità di determinazione e di fruizione degli stessi;
  11. la procedura, la forma e i termini del preavviso in caso di recesso del datore di lavoro o del lavoratore;
  12. l’importo iniziale della retribuzione o comunque il compenso e i relativi elementi costitutivi, con l’indicazione del periodo e delle modalità di pagamento;
  13. la programmazione dell’orario normale di lavoro e le sue eventuali condizioni relativa al lavoro straordinario, nonché le eventuali condizioni per i cambiamenti di turno, se il contratto di lavoro prevede un’organizzazione dell’orario in tutto o in gran parte prevedibile;
  14. se il rapporto di lavoro, caratterizzato da modalità organizzative in gran parte o interamente imprevedibili, non prevede un orario normale di lavoro programmato, il datore di lavoro informa il lavoratore circa:
    1. la variabilità della programmazione del turno, l’ammontare minimo delle ore retribuite garantite e la retribuzione per il lavoro prestato in aggiunta alle ore garantite;
    2. le ore e i giorni di riferimento in cui il lavoratore è tenuto a svolgere le prestazioni lavorative;
    3. il periodo minimo di preavviso a cui il lavoratore ha diritto prima dell’inizio della prestazione lavorativa ed il termine entro cui il datore di lavoro può annullare l’incarico;
    4. il contratto collettivo, anche aziendale, applicato al rapporto di lavoro, con l’indicazione delle parti che lo hanno sottoscritto;
    5. gli enti e gli istituti che ricevono i contributi previdenziali e assicurativi dovuti dal datore di lavoro e qualunque forma di protezione in materia di sicurezza sociale fornita dal datore di lavoro stesso;
    6. gli elementi di cui all’art. 1-bis, nel caso in cui vengano utilizzati sistemi decisionali o di monitoraggio automatizzati.

Quanto ai contenuti dei predetti punti, nell’attesa di una fiduciosa indicazione di prassi ministeriale, cosa effettivamente andrà aggiunto alla stragrande maggioranza dei contratti di lavoro sinora predisposti? E, soprattutto, è opportuno integrare il contratto di lavoro o predisporre una comunicazione separata concernente i nuovi obblighi di informazione non già contenuti nella lettera di assunzione?

Per almeno i primi otto punti sopraelencati, nessuna modifica – probabilmente – inciderà sulla predisposizione dei contratti di assunzione, se non nei casi di co-datorialità o contratti di rete. Invero, nei contratti di assunzione dei lavoratori subordinati non è difficilmente rinvenibile l’indicazione delle parti sottoscrittrici e della loro sede, del luogo di lavoro o dell’eventuale possibilità di invio in trasferta, dell’inquadramento all’interno della classificazione del contratto collettivo e le mansioni o lavorazioni alle quali il lavoratore verrà adibito, così come per l’indicazione della data di inizio o fine della prestazione di lavoro. Anche il periodo di prova, spesso, è inserito direttamente nel corpo del contratto di assunzione ovvero in un ulteriore accordo tra le parti antecedente all’inizio della prestazione lavorativa.

Diversamente – con ogni probabilità – saranno da implementare non poche specifiche relative al monte ferie o permessi maturabili, ex festività e banca delle ore, ma, soprattutto, ai congedi retribuiti a cui il lavoratore ha diritto e le modalità di fruizione degli stessi. Tra i molteplici congedi retribuiti nel nostro ordinamento, parrebbero doversi illustrare, a mero titolo esemplificativo, i congedi matrimoniali, i congedi per gravi motivi personali, i congedi per motivi di studio, il congedo straordinario ovvero i permessi di cui alla legge 5 febbraio 1992, n. 104, i congedi parentali, i congedi di paternità o maternità e le ipotesi di anticipazione e/o estensione, i permessi sindacali o per donazione sangue. Insomma, laddove fosse confermato che il datore di lavoro debba dispiegare la matassa sia rispetto agli eventi tutelati di legge o di contratto collettivo, anche la sola elencazione di tali istituti, rappresenterebbe un’incombenza non di poco conto in capo al datore di lavoro. Si aggiunga poi, l’esplicazione delle modalità organizzative della prestazione lavorativa, ancorché queste – almeno per i contratti a tempo parziale – possono intendersi assolte già dalle prescrizioni del decreto legislativo 15 giugno 2015, n. 81, l’indicazione di eventuali fondi sanitari o enti bilaterali tramite i quali il datore di lavoro garantisce forme di sicurezza sociale, nonché eventuali forme e procedure concernenti l’esercizio del diritto di recesso dal rapporto, sia lato lavoratore che datore di lavoro.

Per i lavoratori assunti dal 13 agosto 2022, i datori pubblici e privati possono ottemperare ai nuovi obblighi informativi mediante la consegna al lavoratore:

  • del contratto individuale di lavoro redatto per iscritto, all’atto dell’instaurazione del rapporto di lavoro ovvero prima dell’inizio della prestazione lavorativa;
  • della copia della comunicazione di instaurazione del rapporto di lavoro di cui all’art. 9-bis, decreto legge 1° ottobre 1996, n. 510, convertito, con modificazioni, dalla legge 28 novembre 1996, n. 608;

Laddove le sopraelencate informazioni non fossero contenute nei predetti documenti, il datore di lavoro dovrà fornire in forma scritta un apposito documento contenente tutte le specifiche sopracitate entro il termine di sette giorni dall’inizio della prestazione lavorativa, con la sola eccezione delle informazioni relative ai punti g), i), l), m), q) e r), che potranno essere fornite entro un mese dall’inizio della prestazione lavorativa (dati dell’utilizzatore nei contratti di somministrazione; il diritto alla formazione; la specifica delle ferie e dei congedi; la procedura e le forme di recesso; l’indicazione del contratto collettivo applicato, anche aziendale; gli enti di assistenza in materia di sicurezza sociale). Nel caso in cui il rapporto di lavoro si estingua prima della scadenza del citato termine di un mese, le informazioni dovranno essere consegnate al lavoratore al momento della cessazione del rapporto stesso.

Tralasciando il voler rinvenire un senso logico-giuridico alla prescrizione di dover fornire un’informativa rispetto ad un rapporto di lavoro già cessato, la nuova disciplina appare, nel suo complesso, poco armoniosa e, soprattutto, emanata in maniera del tutto frettolosa e poco ragionata, specie con riferimento ai seguenti punti di criticità:

  • il comma 4, del riscritto art. 1, prevede che nei limiti di compatibilità, è tenuto agli obblighi di informazione anche il committente nell’ambito di rapporti disciplinati dall’art. 409, n. 3, Cod. Proc. Civile ovvero dei rapporti di cui all’art. 2, comma 1, decreto legislativo 15 giugno 2015, n. 81, nonché delle prestazioni occasionali ex art. 54-bis, c.d. PrestO. Premesso che simili incombenze rischiano di falciare l’utilizzo di tali prestazioni occasionali, come possono tali stringenti prescrizioni ritenersi compatibili con rapporto di collaborazione coordinata e continuativa i quali – anche ai fini della genuinità – sono, di per sé, più vicini al lavoro autonomo che al lavoro subordinato?
  • il comma 6, del medesimo articolo, prevede che le disposizioni normative e dei contratti collettivi nazionali relative alle informazioni che devono essere comunicate dai datori di lavoro sono disponibili a tutti gratuitamente e in modo, trasparente, chiaro, completo e facilmente accessibile, tramite il sito internet istituzionale del Ministero del lavoro e delle politiche sociali (…); ciò si sostanzierà in un ulteriore elenco di informazioni che devono essere rese a disposizione dei datori di lavoro per poter adempiere correttamente ai nuovi obblighi oppure che sarà reso disponibile l’elenco delle informazioni da consegnare ai lavoratori, tramutando l’assolvimento dei predetti obblighi in una mera indicazione del link istituzionale?
  • in considerazione della complessità delle plurime disposizioni varate, non era più semplice prevedere l’allegazione al contratto di lavoro del contratto collettivo nazionale vigente e dell’eventuale contratto aziendale e del regolamento aziendale?
  • davvero tale fazioso carico burocratico consentirà di raggiungere l’obiettivo di chiarezza e trasparenza voluto dall’Europa? Al riguardo, si noti che la sostituzione dell’art. 3, operata dall’art. 4, comma 1, lett. d), consente al datore di lavoro di non informare il lavoratore di eventuali modifiche rispetto a quanto precedentemente comunicato, laddove le variazioni degli elementi di cui agli artt. 1, 1-bis, e 2, derivino da disposizioni legislative, regolamentari o da clausole del contratto collettivo.

In tutto ciò, la scomparsa del precedente comma 4, art. 1, decreto legislativo 26 maggio 1997, n. 152, porta con sé il rinvio, sino ad oggi effettuato, “alle disposizioni del contratto collettivo”.

Seguendo, allora, il ragionamento sin qui esposto, chi scrive, ritiene che l’eventuale inserimento nel contratto di lavoro individuale delle specifiche richieste dal decreto legislativo in commento possa correre il rischio di tramutare un obbligo informativo in un obbligo contrattuale, sicché quanto sottoscritto implementa irreparabilmente il patrimonio individuale del lavoratore e potrà essere modificato solo con il consenso di quest’ultimo. Diversamente, la consegna di una informativa-comunicazione circa le indicazioni prescritte non avrà alcuna valenza pattizia. L’importante sarà conservare l’avvenuta notifica ed eventualmente la restituzione del documento “per ricevuta”.

Ma non finisce qui.

L’inserimento dell’art. 1-bis, obbliga, altresì, il datore di lavoro o il committente pubblico e privato ad informare il lavoratore sull’utilizzo di sistemi decisionali o di monitoraggio automatizzati deputati a fornire indicazioni rilevanti ai fini dell’assunzione o del conferimento di incarico, della gestione o della cessazione del rapporto di lavoro, dell’assegnazione di compiti o mansioni, nonché indicazioni incidenti sulla sorveglianza, la valutazione, le prestazioni e l’adempimento delle obbligazioni contrattuali dei lavoratori.

Fermo restando quanto disposto dall’art. 4, dello Statuto dei Lavoratori, il datore di lavoro o il committente dovrà fornire le ulteriori informazioni sui sistemi utilizzati:

  • gli aspetti del rapporto di lavoro sui quali incide lo strumento;
  • gli scopi e le finalità;
  • la logica ed il funzionamento;
  • le categorie di dati e i parametri utilizzati per programmare o addestrare i software, ivi inclusi i meccanismi di valutazione delle prestazioni;
  • le misure di controllo adottate per le decisioni automatizzate, i processi di correzione e il responsabile del sistema di gestione della qualità;
  • il livello di accuratezza, robustezza e cybersicurezza, le metriche utilizzate per misurare i predetti parametri ed i potenziali impatti discriminatori delle metriche stesse.

Sulle predette informazioni, il lavoratore, direttamente o per il tramite delle rappresentanze sindacali aziendali o territoriali, ha diritto di accedere ai dati e di chiedere ulteriori informazioni. La richiesta dovrà essere evasa dall’impresa per iscritto ed entro trenta giorni.

Seguirà ovviamente anche una revisione dell’informativa da rendere al lavoratore in merito alla sicurezza dei dati e l’aggiornamento del registro dei trattamenti in materia di privacy.

Le informazioni sui sistemi decisionali e di monitoraggio automatizzati devono essere comunicate anche alle rappresentanze sindacali aziendali o alle rappresentanze sindacali unitarie e, in assenza, alle sedi territoriali delle OO.SS comparativamente più rappresentative sul piano nazionale.

Profili sanzionatori

La violazione degli obblighi previsti dai commi da 1 a 4, art. 1, decreto legislativo 26 maggio 1997, n. 252, come rivisitato, comporta l’applicazione di una sanzione amministrativa pecuniaria, per ogni lavoratore interessato, da 250 a 1.500 euro.

La violazione degli obblighi informativi in materia di sistemi decisionali o di monitoraggio automatizzati, così come il non riscontro alla richiesta di ulteriori informazioni ai sensi del comma 3, dell’art. 1-bis, comporta l’applicazione di una sanzione amministrativa pecuniaria da 100 a 750 euro, ferma restando la configurabilità di eventuali violazioni in materia di protezione dei dati personali. Se tale violazione si riferisce a più di cinque lavoratori la sanzione amministrativa è compresa tra i 400 ed i 1.500 euro. Se tale violazione si riferisce a più di 10 lavoratori la sanzione amministrativa è compresa tra i 1.000 ed i 5.000 euro e non è ammesso il pagamento in misura ridotta.

Diversamente, per l’omessa comunicazione delle informazioni sui sistemi decisionali o di monitoraggio automatizzati alle organizzazioni sindacali la sanzione amministrativa si applica, per ogni mese in cui si è verificata la violazione, nella misura compresa tra 400 e 1.500 euro.

L’inottemperanza, entro il termine di sessanta giorni, rispetto alla richiesta di informazioni di cui agli artt. 1, 1-bis, 2 e 3, decreto legislativo 26 maggio 1997, n. 152, come rivisitato dall’art. 4 del decreto legislativo 27 giugno 2022, n. 104, effettuata dai lavoratori assunti alla data del 1° agosto 2022 comporta l’applicazione di una sanzione amministrativa di importo compreso tra i 250 ed i 1.500 euro per soggetto interessato, secondo quanto previsto dall’art. 19, comma 2, decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276, 

QUADRO NORMATIVO

Decreto legislativo 27 giugno 2022, n. 104

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