Le registrazioni in accordo con la polizia sono inutilizzabili senza l'ok dell'autorità giudiziaria

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La Corte di cassazione, con sentenza n. 23742 del 21 giugno 2010, ha annullato una decisione di condanna per millantato credito impartita ad un uomo sulla base di un'attività di intercettazione posta in essere per tramite di un soggetto “interlocutore” che era in accordo con la Polizia. Queste registrazioni non erano state autorizzate né dal Gip né dal pubblico ministero e per questo l'imputato aveva fatto ricorso innanzi ai giudici di legittimità sostenendo l'irritualità della captazione.

Irritualità confermata dalla Corte di legittimità la quale si è soffermata a precisare il discrimine esistente tra le conversazioni registrate da un privato per sua libera iniziativa e quelle registrate da un interlocutore d'accordo con la polizia; in particolare, la registrazione posta in essere nel caso in esame, essendo stata “occultamente eseguita da uno degli interlocutori d'intesa con la polizia giudiziaria e con apparecchiature da questa forniti” non poteva essere considerata alla stregua di un documento formato fuori dei procedimento utilizzabile ai fini di prova ai sensi dell'articolo 234 del Codice di procedura penale, rappresentando, piuttosto, la “documentazione di un'attività d'indagine” che incide sul diritto alla segretezza delle conversazioni e delle comunicazioni di cui all'articolo 15 della Costituzione. E questo tipo di attività – proseguono i giudici della Sesta sezione penale – a differenza della registrazione effettuata d'iniziativa di uno degli interlocutori, richiede, comunque, un controllo dell'autorità giudiziaria.
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