Lo stalking alla ex legittima il licenziamento per giusta causa

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Lo stalking alla ex legittima il licenziamento per giusta causa

Licenziamento per giusta causa dopo l'addebito di atti persecutori

Con sentenza n. 4797 del 24 febbraio 2025, la Corte di cassazione, Sezione lavoro, ha definitivamente confermato il licenziamento disciplinare per giusta causa di un istruttore della polizia municipale.

Il caso esaminato

Il recesso era stato comminato a seguito di condotte persecutorie accertate e penalmente sanzionate poste in essere dal lavoratore ai danni della ex compagna.

Le condotte contestate si erano concretizzate in plurimi atti di stalking, consistiti in minacce gravi e reiterate molestie, che avevano causato, in capo alla ex, uno stato di ansia, paura e preoccupazione con modificazioni della condotta di vita.

L'istruttore di polizia aveva impugnato questa decisione davanti alla Corte di Cassazione, sollevando due motivi: la presunta errata valutazione della gravità della condotta e l'affermazione che tale condotta non fosse idonea a compromettere irrimediabilmente il rapporto fiduciario con l'amministrazione.

La decisione della Cassazione

La Suprema corte ha respinto il ricorso, confermando la valutazione operata dai giudici di merito nel rilevare la giusta causa di recesso.

Per la Cassazione, l'apprezzamento contenuto nella sentenza di merito era plausibilmente fondato sull’intrinseca gravità delle condotte medesime e sulla loro particolare riprovevolezza che ne avevano giustificato la rilevanza penale quale reato-sentinella a prevenzione di ben più gravi epiloghi.

La posizione lavorativa e il rapporto fiduciario

In rilievo, anche la specifica posizione lavorativa del ricorrente, chiamato ad operare a presidio degli interessi dell’intera collettività.

La Corte, in definitiva, ha ritenuto che il comportamento del ricorrente avesse compromesso irrimediabilmente il rapporto fiduciario con l'amministrazione, giustificando così il licenziamento.

La condotta accertata, in altri termini, anche se extralavorativa, era di gravità tale da giustificare l'interruzione del rapporto di lavoro.

La Corte di cassazione, ciò posto, ha dichiarato il ricorso inammissibile, confermando la sentenza di secondo grado.

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