Mansioni inferiori alla lavoratrice rientrata dalla maternità? Risarcimento

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Mansioni inferiori alla lavoratrice rientrata dalla maternità? Risarcimento

Risarcimento del danno alla lavoratrice che sia stata adibita, al rientro dal periodo di maternità, a mansioni inferiori e dequalificanti.

Diritto al risarcimento per compiti dequalificanti al rientro dalla maternità

Confermata, dalla Cassazione, la decisione con cui la Corte d’appello aveva accertato la spettanza, in favore di una lavoratrice, del risarcimento del danno - liquidato in via equitativa - derivante dall'accertato demansionamento per l'assegnazione alla predetta, al rientro dal periodo di maternità, di compiti amministrativi deteriori rispetto a quelli precedentemente lei attribuiti.

I giudici di merito avevano tuttavia escluso la natura discriminatoria del comportamento datoriale per difetto di prova, in assenza degli elementi di fatto idonei e pur tenuto conto dell'attenuazione dell'onere prevista per legge a carico della deducente.

Contro la decisione si era opposta la società datrice di lavoro, lamentando, tra gli altri motivi, violazione e falsa applicazione degli artt. 1218, 2043, 2103 c.c. nonché apparenza di motivazione.

Secondo la ricorrente, non erano comprensibili le ragioni della decisione in ordine al ritenuto demansionamento della lavoratrice, in quanto adibita al rientro dalla maternità a mansioni "non equivalenti".

Valutazione delle mansioni al giudice di merito

Doglianza, questa, giudicata infondata dalla Corte di cassazione, pronunciatasi, nella vicenda de quo, con ordinanza n. 20253 del 15 luglio 2021.

Gli Ermellini, in primo luogo, hanno ricordato come l'accertamento della natura delle mansioni concretamente svolte dalla dipendente, ai fini del suo inquadramento nella superiore qualifica richiesta, fosse giudizio di fatto riservato al giudice del merito.

Poichè tale giudizio, nel caso in esame, era sorretto da logica e adeguata argomentazione, lo stesso era da ritenere insindacabile in sede di legittimità.

A seguire, la Suprema corte ha comunque ricordato che il divieto di variazione peggiorativa, sancito dall'art. 2103 c.c., esclude che al prestatore di lavoro possano essere affidate, anche se soltanto secondo un criterio di equivalenza formale, mansioni sostanzialmente inferiori a quelle in precedenza svolte.

In tale contesto, il giudice di merito è tenuto ad accertare, in concreto, se le nuove mansioni siano aderenti alla competenza professionale specifica del dipendente, salvaguardandone il livello professionale acquisito, e garantiscano al contempo lo svolgimento e l'accrescimento delle sue capacità professionali.

L’equivalenza delle mansioni, nei predetti casi, deve essere valutata al fine di verificare che le nuove siano aderenti alla specifica competenza tecnico professionale acquisita dal dipendente.

Ebbene, nel caso esaminato, la Corte territoriale aveva accertato il demansionamento della lavoratrice, nella concretezza delle mansioni svolte prima e dopo la sua assenza per maternità così come risultanti dalle risultanze istruttorie.

Demansionamento da inesatto adempimento, onere della prova

Per giustificare il demansionamento, quindi, non bastava la generica deduzione di una “ragione riorganizzativa aziendale”, atteso che, quando il lavoratore alleghi un demansionamento riconducibile a inesatto adempimento dell'obbligo gravante sul datore di lavoro, è su quest'ultimo che incombe l'onere di provarne l'esatto adempimento o attraverso la prova della mancanza in concreto del demansionamento, ovvero attraverso la prova della sua giustificazione per il legittimo esercizio dei poteri imprenditoriali o disciplinari oppure, in base all'art. 1218 c.c., per impossibilità della prestazione derivante da una causa a sé non imputabile.

Nel caso di un nuovo assetto organizzativo disposto dal datore di lavoro che comprenda la riclassificazione del personale concordata con le organizzazioni sindacali - hanno infine precisato gli Ermellini - non sussiste violazione del divieto di dequalificazione qualora le mansioni del lavoratore, a seguito del riclassamento, non mutino rispetto al precedente inquadramento, poiché si realizza una violazione dell'art. 2013 c.c. solo se il dipendente venga adibito a differenti mansioni incompatibili con la sua storia professionale.

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