Sanzioni privacy, sì alla cartella in assenza di definizione e memorie difensive

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Sanzioni privacy, sì alla cartella in assenza di definizione e memorie difensive

In tema di sanzioni privacy, la mancata definizione e presentazione di "nuove memorie difensive" comporta che il titolo si cristallizzi nel verbale di contestazione, qualora quest'ultimo contenga tutti gli elementi necessari a individuare una ben determinata pretesa sanzionatoria.

Il tutto ai sensi dell'art. 18 del D. Lgs. n. 101/2018 (attuativo del GDPR), articolo che ha introdotto una deroga all'art. 16 della Legge n. 689/1981 per quanto concerne i procedimenti sanzionatori per violazione degli artt. 161, 162, 162-bis, 162-ter, 163, 164, 164-bis, comma 2, del Codice in materia di protezione dei dati personali.

Segnatamente, l'art. 18 prevede, rispetto a particolari fattispecie, un meccanismo di definizione agevolata delle violazioni in materia di privacy, avente come alternativa quella della conversione ex lege del verbale di contestazione in ordinanza-ingiunzione, senza necessità di emissione del titolo, se non in presenza di nuove memorie difensive.

Conseguenza fondamentale di tale meccanismo è la cristallizzazione del titolo rappresentato dal verbale di contestazione, in difetto di presentazione delle suddette "nuove memorie".

Ebbene, secondo la Corte di cassazione, va escluso, in tali ipotesi, che la cartella di pagamento successivamente notificata possa costituire il primo atto teso a far valere la pretesa patrimoniale.

Senza definizione e nuove memorie il titolo si cristallizza

Lo ha precisato nel testo dell'ordinanza n. 26974 del 21 settembre 2023, nel rigettare il ricorso di un Comune, oppostosi alla cartella esattoriale notificatagli dall'Agenzia delle entrate-Riscossione sulla base di un atto di contestazione del Garante per la privacy.

Con quest'ultimo, era stata accertata una violazione del Codice della privacy per il trattamento illecito di dati sensibili della cittadinanza in occasione della pubblicazione, sul sito istituzionale del Comune, del cd. Piano di emergenza, dove erano stati indicati, tra l'altro, i dati sulla salute dei cittadini in relazione all'individuazione delle abitazioni civili di anziani o diversamente abili, con indicazione dell'indirizzo completo e, in alcuni casi, del numero telefonico, della data di nascita e della condizione di disabilità.

Il tribunale adito dall'Ente comunale ha ritenuto infondata l'opposizione da esso formulata in quanto il titolo esecutivo in contestazione era stato validamente formato.

Il Comune si era quindi rivolto alla Suprema corte ma anche in questa sede si è visto respingere le proprie ragioni.

Gli Ermellini, tuttavia, hanno provveduto a correggere la motivazione della sentenza di merito.

Per la Cassazione, non si trattava, tanto, di questione di presunta "tardività" dei motivi, ma più banalmente di concreta possibilità di prospettarli nell'impugnazione relativa alla cartella esattoriale.

La cartella non è il primo atto teso a far valere la pretesa

I motivi spesi dal Comune - si legge nella decisione - erano astrattamente ammissibili, atteso l'orientamento prevalente di legittimità secondo cui, in caso di opposizione "recuperatoria" avverso la cartella esattoriale fondata sull'omessa o invalida notifica dell'ordinanza-ingiunzione, il ricorrente ha l'onere di dedurre, non soltanto la mancanza o l'invalidità della notificazione dell'ordinanza, atto presupposto sui cui si basa la cartella, ma anche i vizi che attengono al merito della pretesa sanzionatoria, dalla cui omessa deduzione consegue in vero l'inammissibilità dell'opposizione.

Tuttavia, l'opposizione basata sull'affermazione per cui, in casi del genere, la cartella sarebbe stata da considerare il primo atto contenente la pretesa a fronte del silenzio del Garante in ordine alla necessaria emissione dell'ordinanza-ingiunzione, era palesemente infondata, trattandosi di un assunto in contrasto col dato normativo applicabile nella specie (vale a dire il richiamato art. 18 del D. Lgs. n. 101/2018).

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