Subordinazione insussistente? Retribuzioni amministratore indeducibili

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Subordinazione insussistente? Retribuzioni amministratore indeducibili

La Corte di cassazione si è pronunciata nell’ambito di una controversia in cui si discuteva del rapporto di lavoro instauratosi fra un membro del consiglio di amministrazione di una Spa e la stessa società.

Rapporto di lavoro subordinato e cariche societarie, compatibilità

Si tratta di un’ipotesi in cui non si può in astratto escludere la configurabilità di un rapporto di lavoro subordinato quando in esso sussistano le caratteristiche dell’assoggettamento, nonostante la carica sociale ricoperta, al potere direttivo, di controllo e disciplinare dell’organo di amministrazione dell’ente.

Nel caso esaminato, la società di capitali aveva impugnato due avvisi di accertamento per Irpeg, Ires e Iva ad essa notificati.

Con i predetti atti impositivi, l’Agenzia delle Entrate aveva recuperato a tassazione i costi dedotti a titolo di retribuzione corrisposta dalla Spa a uno degli amministratori, membro del Cda, ritenendo che fosse inesistente un rapporto di lavoro dipendente tra la società e quest’ultimo.

Subordinazione insussistente, costi indeducibili

Dall’accertata insussistenza del vincolo di subordinazione, ossia, era stata dedotta l’indeducibilità dei costi sostenuti dalla società a titolo di retribuzione.

Nella motivazione degli avvisi era spiegato che poiché il predetto consigliere era titolare di una delega alla gestione del settore amministrativo fiscale - finanziario con firma libera, la sua posizione era incompatibile con quella di lavoratore dipendente della stessa società, per cui non era consentita la deducibilità del costo, da parte della società, ai sensi dell’art. 95 del Tuir.

Le Commissioni tributarie, sia provinciale che regionale, investite della controversia avevano respinto le ragioni della società: poiché non vi era prova che il potere direttivo del Consiglio di amministrazione si fosse manifestato con ordini specifici e non con semplici direttive di carattere generico e risultando, anzi, che il soggetto in esame fosse titolare anche del potere disciplinare nei confronti delle persone a lui gerarchicamente subordinate, andava escluso che lo stesso potesse essere considerato lavoratore dipendente.

La società si era quindi rivolta alla Corte di cassazione, lamentando, tra gli altri motivi, un vizio di violazione di legge, quanto all’applicazione dell’art. 2094 c.c. sulla nozione di prestatore di lavoro subordinato.

Ampi poteri e assenza di controllo escludono la subordinazione

Con ordinanza n. 10308 del 20 aprile 2021, la Quinta sezione civile ha tuttavia rigettato, ritenendoli infondati, i rilievi mossi da parte ricorrente, sottolineando, per contro, la correttezza dell’operato della CRT.

Gli Ermellini, in primo luogo, hanno sottolineato come nei casi come quello in esame chi intenda far valere il rapporto di lavoro subordinato è tenuto a fornire la prova della sussistenza del vincolo di subordinazione e l’accertamento della compatibilità dei diritti e dei doveri nascenti da questo tipo di rapporto.

Hanno quindi richiamato i principi affermati dalla giurisprudenza con specifico riferimento al requisito della subordinazione, principi di cui avevano fatto corretta applicazione i giudici di appello.

In particolare, nell’accertamento di fatto da questi operato, peraltro non scrutinabile in sede di legittimità, la CTR aveva posto in rilievo che la delega conferita all'amministratore gli attribuiva ampi poteri, tra i quali quelli di rappresentare la Spa nei confronti della Pa e altri enti pubblici, di rappresentare la società in giudizio, di transigere e conciliare qualsiasi vertenza, sia in sede giudiziale che stragiudiziale, nonché di controllare il personale dipendente.

Inoltre, nel descrivere le prestazioni da egli concretamente svolte, era evidenziata l’ampiezza dei suoi poteri e l’assenza di un controllo da parte dell’organo direttivo della Spa.

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