Valutazione delle rimanenze di magazzino

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Al termine di ciascun esercizio, il redattore del bilancio è tenuto, in conformità al principio di competenza economica, a rettificare integralmente o parzialmente i componenti positivi e negativi che concorrono alla determinazione del reddito di periodo; tale operazione viene effettuata mediante le scritture di rettifica.

Attraverso queste annotazioni si rinviano al futuro esercizio componenti positivi e negativi di reddito che si sono manifestati nel corso dell’esercizio stesso, quindi rilevati in contabilità nella loro totalità, ma di competenza del periodo o dei periodi successivi.

In sostanza, si depurano i conti interessati, imputati al reddito d’esercizio, da quegli importi non pertinenti all’esercizio corrente e riferibili a periodi futuri (costi e ricavi sospesi). Tra le voci di bilancio coinvolte in questo processo di determinazione del valore di periodo vi è quella relativa alle merci in rimanenza.

Rimanenze finali

Le rimanenze di merci a chiusura dell’esercizio vengono contabilizzate mediante il processo di inventariazione. Tali rimanenze rappresentano le quantità invendute durante l’anno, ovvero beni non ancora utilizzati e che non hanno prodotto utilità in termini di ricavi.

Di conseguenza, il loro costo non deve essere imputato al reddito del periodo corrente, bensì a quello in cui verranno generati i relativi ricavi. La determinazione del valore da attribuire alle rimanenze inventariate comporta implicazioni significative sia per la continuità dei valori aziendali sia per il rispetto delle disposizioni del codice civile.

È importante sottolineare che, in alcune circostanze, possono essere violate anche norme di natura penale.

Varie categorie di rimanenze

Le rimanenze possono essere classificate in diverse categorie in base alla loro finalità o alla fase del processo produttivo in cui si trovano al termine dell’esercizio.

Una prima distinzione riguarda le rimanenze propriamente dette e quelle relative ai lavori in corso su ordinazione, commesse e opere pluriennali. Le rimanenze propriamente dette comprendono materie prime, materiali sussidiari e di consumo, prodotti finiti e merci. A titolo esemplificativo, si possono individuare le seguenti tipologie di rimanenze:

  • materie prime;
  • materie sussidiarie e di consumo;
  • semilavorati;
  • prodotti in corso di lavorazione;
  • prodotti finiti;
  • merci.

Valutazione delle rimanenze di magazzino

La determinazione delle rimanenze rappresenta una variabile di elevata criticità nella definizione del reddito di periodo. La valutazione, affidata al redattore del bilancio, si confronta in contesti caratterizzati da situazioni patologiche complesse e delicate. Tale complessità deriva dal fatto che le rimanenze possono appartenere a differenti categorie merceologiche, condizionando il processo valutativo non solo per le incertezze di mercato, ma anche per la concreta possibilità di recuperare il costo di acquisto sostenuto.

In presenza di tali condizioni alla data di chiusura dell’esercizio, è necessario procedere a una svalutazione delle rimanenze, attribuendo loro un valore che rispecchi quanto più fedelmente possibile quello di mercato. La delicatezza riguarda, invece, i criteri valutativi adottabili per la valorizzazione delle rimanenze, i quali generalmente rimangono costanti nel tempo; tuttavia, l’adozione di specifici criteri può generare effetti diversi e talvolta contrastanti sui risultati di bilancio.

Le problematiche sopra descritte assumono particolare rilievo nelle situazioni in cui le rimanenze costituiscono una componente significativa rispetto al totale dell’attivo patrimoniale, situazione ulteriormente accentuata quando l’attività del redattore si svolge in un contesto caratterizzato da crisi aziendale.

Scelte "diverse" nella determinazione del valore delle rimanenze

I periodi di crisi comportano generalmente perdite di esercizio di varia entità. Tale situazione, qualora riscontrata nel bilancio d'esercizio, determina rilevanti complessità che riguardano sia la copertura della perdita stessa sia i rapporti con terzi.

La copertura della perdita di periodo, a sua volta, comporta ulteriori implicazioni collegate:

  • al rispetto degli obblighi imposti dal codice civile;
  • alle modalità e tempi di copertura della perdita.

I rapporti con i terzi, quali:

  • fornitori;
  • banche;
  • finanziarie;
  • altri creditori.

Possono verificarsi conseguenze significative qualora la perdita rilevata risulti di entità rilevante. In tali circostanze, si potrebbe ipotizzare che gli amministratori siano indotti ad attribuire alle rimanenze finali un valore tale da evitare le situazioni sopra descritte.

Metodi di valutazione e valorizzazione delle rimanenze

Per ottimizzare la valorizzazione delle rimanenze di magazzino, è necessario prendere in considerazione, come precedentemente indicato, principalmente due aspetti:

  • la tipologia di attività che si svolge;
  • la quantità di scorte presenti in magazzino.

Una gestione più complessa comporta un aumento del rischio di errori nella contabilizzazione, i quali possono compromettere la corretta correlazione tra la variazione delle rimanenze di magazzino e l’utile d’esercizio.

La valutazione delle giacenze viene effettuata in conformità ai criteri stabiliti dall’articolo 2426 del Codice Civile. Il criterio adottato deve essere mantenuto costante negli esercizi successivi; pertanto, è fondamentale che sia coerente con le modalità di approvvigionamento e gestione delle scorte.

Di seguito si illustrano tre best practice per una gestione più efficiente delle rimanenze, rappresentando anche i metodi maggiormente utilizzati.

  1. Metodo della media ponderata

Si calcola il costo medio di tutti gli articoli acquistati durante un periodo.

La media si ottiene dividendo il valore di tutti gli ordini per la quantità del bene acquistato.

In altre parole, il costo medio ponderato considera la media del costo pagato per la merce per calcolare il valore delle rimanenze.

  1. Metodo di valutazione FIFO

Questo metodo suppone che i beni comprati prima siano i primi ad essere venduti, seguendo l’ordine di produzione o acquisto (si dà precedenza all’inventario più vecchio).

Ciò ha un impatto sia a livello contabile sia in termini operativi.

  1. Metodo di valutazione LIFO

Il metodo LIFO prevede che le quantità di merci acquistate o prodotte più recentemente vengano vendute o usate per prime nei processi di produzione.

È l’esatto contrario del metodo FIFO. Le aziende che utilizzano questo criterio dispongono di solito di scorte relativamente grandi.

Si evidenzia che tale approccio presenta limitazioni in termini di affidabilità, poiché le scorte risultano maggiormente esposte al rischio di obsolescenza.

Dal punto di vista contabile, il metodo FIFO facilita la valutazione delle rimanenze di magazzino, poiché i prodotti vengono venduti nell’ordine cronologico di acquisto. Di conseguenza, a fine esercizio, il valore delle scorte corrisponderà alla somma dell’ultimo lotto acquistato, assumendo che i lotti precedenti siano stati ceduti anticipatamente.

Il metodo FIFO, oltre a fornire una rappresentazione più accurata del valore del magazzino nel bilancio, contribuisce anche ad incrementare il reddito netto, in quanto il costo dei beni venduti risulterà inferiore (a parità di acquisti e rimanenze iniziali).

Ai tre metodi finora analizzati si aggiunge inoltre il criterio del costo specifico, mediante il quale si attribuiscono alle singole unità fisiche i costi effettivamente sostenuti per ciascuna.

Effetti della scelta

Non è raro osservare interventi finalizzati alla sopravvalutazione delle rimanenze da imputare al conto economico. L’effetto immediato di tali operazioni consiste nella trasformazione di un risultato negativo d’esercizio in uno positivo, oppure nella significativa riduzione della perdita registrata.

Tuttavia, questa scelta non rappresenta una soluzione adeguata al problema, poiché si limita a rinviare lo stesso all’esercizio successivo, assumendo una natura talmente complessa da risultare difficilmente superabile. In concreto, la sopravvalutazione delle rimanenze finali al termine dell’esercizio, adottata con l’intento di occultare una perdita o di incrementare artificiosamente l’utile oltre il valore reale, genera effetti contrari nell’esercizio seguente. Infatti, nell’annualità successiva verrà rilevata a conto economico l’imputazione delle esistenze iniziali, il cui valore corrisponderà alle rimanenze finali dell’esercizio precedente.

È evidente che tale prassi determinerà progressivamente un valore contabile delle rimanenze significativamente superiore rispetto a quello fisico, comportando un aumento dei costi imputati al conto economico.

L’unica modalità per mitigare questa situazione consiste nell’imputare a conto economico un valore delle rimanenze finali pari o superiore a quello delle esistenze iniziali. In sintesi, si tratta di un circolo vizioso dal quale non sempre è possibile uscire agevolmente.

Conseguenze

La situazione appena descritta comporterà rilevanti implicazioni sia di natura civilistica che fiscale.

È imprescindibile sottolineare che l’approvazione di un bilancio contenente valori non veritieri espone a responsabilità per falso in bilancio. Inoltre, qualora l’Agenzia delle Entrate riscontri discrepanze tra le giacenze inventariate e quanto riportato nel bilancio, tali importi saranno considerati come vendite non dichiarate. Nel caso in cui queste vendite eccedano i limiti stabiliti dalla legge 74/2000, si potrà incorrere anche in un procedimento penale.

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