Assenza ingiustificata nel LUL e mora del datore di lavoro

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Assenza ingiustificata nel LUL e mora del datore di lavoro

Premessa

Negli ultimi anni, contrassegnati da grave e perdurante crisi economica, le imprese, al fine di evitare la dispersione delle professionalità e degli asset acquisiti nel corso del tempo, hanno fatto largo uso degli ammortizzatori sociali. Ciò ha indotto il Legislatore ad intervenire in maniera strutturale sulla disciplina della Cassa integrazione (cfr. D.lgs. n. 148/15) e sugli istituti di sostegno alla disoccupazione (cfr. D.lgs. n. 22/15) e implementando anche forme di sussidio di origine contrattuale (cfr. fondi di solidarietà bilaterali).
Tuttavia, tali strumenti, per quanto efficaci, non possono che avere una durata limitata nel tempo, sicché, allo spirare del periodo massimo previsto per il loro utilizzo, si pone per le imprese la necessità di comprendere quali trattamenti applicare ai dipendenti nell’ipotesi di perdurante carenza di lavoro.
Tra gli strumenti spesso utilizzati per far fronte a tali circostanze figurano ovviamente le ferie e i permessi retribuiti. Ci si chiede, semmai, se, una volta terminata la facoltà di adoperare tali istituti, il datore di lavoro  possa imporre al lavoratore di non lavorare, adducendo la carenza di commesse, decurtando conseguentemente le ore non lavorate dal trattamento retributivo e previdenziale.
La questione che si pone, in sostanza, è quella di comprendere se tale condotta integri gli estremi della mora del datore di lavoro.

La posizione del datore di lavoro

Vale pregiudizialmente osservare che il contratto di lavoro postula una posizione di supremazia del datore di lavoro, cui corrisponde una soggezione del lavoratore, il quale, infatti, “deve osservare le disposizioni per l’esecuzione e la disciplina del lavoro impartitegli dall’imprenditore e dai collaboratori di questo dai quali gerarchicamente dipende” (art. 2104 c.c.). In altre parole, in forza del contratto, il datore di lavoro è titolare di poteri giuridici che si estrinsecano nel potere direttivo (per conformare la prestazione lavorativa alle esigenze dell’organizzazione), nel potere di controllo (per verificare l’esatto adempimento della prestazione), nel potere disciplinare (per sanzionare il dipendente inadempiente).
Sennonché, tale posizione di supremazia non trasmoda al punto da legittimare il datore di lavoro nel disporre ad arbitrium della persona del dipendente e, segnatamente, nello scegliere se avvalersi o meno della prestazione di quest’ultimo.
Invero, la lettura delle disposizioni di cui agli artt. 1206 e 1227 c.c., alla luce dei principi di cui agli artt. 4 e 36 Cost., porta a ritenere che, salvo lo stretto regime in cui è ammesso il lavoro a chiamata (cfr. artt. 13 e ss. D.lgs. n. 81/15), e al di fuori delle ipotesi di legittima sospensione del rapporto e di impossibilità della prestazione lavorativa totale o parziale per fatto non imputabile, il datore di lavoro non possa unilateralmente ridurre o sospendere l’attività lavorativa e, specularmente, rifiutare di corrispondere la retribuzione (anche recentemente cfr. Cass. civ. Sez. lavoro, 11/04/2012, n. 5711, ma già orientamento pregresso era assestato su tale prospettiva cfr. su tutti Cass. civ. Sez. lavoro, 10/04/2002, n. 5101).
Tale condotta, invero, se da un lato incide sul rapporto di corrispettività sussistente tra obbligazione di lavoro ed obbligazione retributiva, dall’altro lato genera una scissione illegittima, perché non prevista ex lege ovvero ex contractu tra il sinallagma genetico e il sinallagma funzionale, determinando, conseguentemente, l’obbligo per il datore di corrispondere ai dipendenti i trattamenti patrimoniali commisurati alle mancate retribuzioni.

Il calo di fatturato o di produzione resta un inadempimento datoriale

Vero è anche che tale evenienza potrebbe essere scongiurata dal datore di lavoro, sempre che però quest’ultimo dimostri e comprovi oggettivamente l’impossibilità di utilizzo della prestazione lavorativa per fatti a lui non addebitabili, perché non prevedibili, né evitabili, né riferibili a carenze di programmazione o d’organizzazione aziendale o a calo di commesse o a crisi economiche o congiunturali o strutturali (Cass. civ. Sez. lavoro, 16/04/2004, n. 7300; Cass. civ. Sez. lavoro, 20/01/2001, n. 831).
In altre parole, secondo tale indirizzo, non valgono a escludere la mora credendi del datore di lavoro tutti quegli eventi che siano riconducibili alla stessa gestione imprenditoriale, compresa la diminuzione o l’esaurimento dell’attività produttiva. Tali eventi, se posti a base dell’assenza del lavoratore dal luogo di lavoro, configurerebbero un’ipotesi di sospensione unilaterale della prestazione, di per sé inidonea a scalfire il diritto alla retribuzione e agli oneri previdenziali.

L’operatività “automatica” della mora datoriale

Peraltro, ai fini dell’operatività della mora, secondo la giurisprudenza prevalente, il lavoratore non sarebbe tenuto neppure a provare d’aver messo a disposizione del datore di lavoro le proprie energie lavorative nel periodo in contestazione, in quanto il solo fatto della sospensione unilaterale del rapporto di lavoro, in difetto del relativo potere, realizzerebbe di per sé un’ipotesi di mora credendi, senza che occorra, a tal fine, la formale offerta delle prestazioni da parte del dipendente (Cfr. Cass. civ. Sez. lav., 23/06/2010, n. 15207; Cass. civ. Sez. lavoro 11/04/2012, n. 5711; Cass. civ. Sez. lavoro, 04/05/2009, n. 10236).

L’indirizzo interpretativo del Ministero del Lavoro

Tale indirizzo giurisprudenziale è stato recepito anche dalla Direzione generale per l’attività ispettiva del Ministero del lavoro con nota prot. n. 37/0014886 del 22/08/2013, con cui, tuttavia, è stata richiamata anche la necessità, in sede ispettiva, di accompagnare l’acquisizione delle registrazioni per assenze apposte dal datore nel Libro unico del lavoro, con accertamenti ulteriori, volti a verificare le ragioni poste alla base dell’attuata sospensione unilaterale della prestazione di lavoro.

Conseguenze ispettive

Per effetto di tale istruzione operativa, agli ispettori viene demandato il compito di acquisire contezza delle ragioni poste alla base delle eventuali assenze del lavoratore e iscritte nel LUL con la dicitura “assenza non retribuita” e simili. Infatti, ove tali assenze non siano state causate da una libera decisione del dipendente, ovvero da accordi paritari di sospensione del vincolo obbligatorio, ma da carenze di commesse o da cali di produzione o ancora da scelte gestionali, allora la fattispecie appare sussumibile nell’istituto della mora credendi, con consequenziale riconoscimento del diritto del lavoratore al pagamento delle retribuzioni e dell’INPS al conseguimento degli oneri previdenziali.
Sarà in tal caso prevedibile l’adozione da parte del personale ispettivo di diffide accertative ex art. 12 D.lgs. n. 124/04 aventi a oggetto il credito maturato dal dipendente per le ore di assenze registrate nel LUL e non retribuite.

Le considerazioni espresse sono frutto esclusivo del pensiero degli autori e non impegnano in alcun modo l’Amministrazione di appartenenza.
Ogni riferimento a fatti e/o persone è puramente casuale.

 

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