Bancarotta, niente concorso dei revisori per falso nelle relazioni

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Bancarotta, niente concorso dei revisori per falso nelle relazioni

Con sentenza n. 47900 del del 30 novembre 2023, la Corte di cassazione ha annullato la condanna per concorso nel delitto di bancarotta impropria da falso in bilancio, impartita nei confronti di due revisori dei conti e del presidente del consiglio di amministrazione di una spa, dichiarata fallita.

Revisori contabili non rispondono di reati propri degli amministratori

Rispetto alla posizione dei revisori contabili - che la Corte d'appello aveva ritenuto responsabili come concorrenti estranei per aver redatto le relazioni sui bilanci consolidati e d'esercizio negli anni 2005, 2006, 2007 - la Suprema corte ha adottato una pronuncia di annullamento senza rinvio "per non aver commesso il fatto".

E' stato accolto, in particolare, il motivo di doglianza con cui i due ricorrenti avevano lamentato violazione di legge e vizio di motivazione in punto di ritenuta sussistenza del reato in contestazione relativamente a una condotta dei revisori sussumibile nell'art. 2624 c.c. (norma incriminatrice vigente all'epoca dei fatti).

Per il giudice di appello, la loro relazione finale era risultata essere non veritiera e, per questo, inattendibile.

Il falso nella relazione, tuttavia, integrava un'autonoma fattispecie di reato "proprio" dei revisori, allora prevista dall'art. 2624 c.c., diversa e non concorrente con il falso in bilancio di amministratori e sindaci disciplinato nell'art. 2621 c.c.

Il falso nelle relazioni non porta al concorso nel reato

Agli stessi, quindi, era stata addebita una falsa relazione, ma non era emerso un contributo di partecipazione nel reato proprio degli amministratori. 

Anche per la Cassazione, la fattispecie del falso nelle relazioni dei revisori non aveva attinenza né con l'art. 2621 c.c. né con l'art. 223 comma secondo, n. 1, Legge fallimentare e, per tale ragione, non poteva rappresentare, di per sé, una modalità di concorso nei reati propri in esame, pena la torsione dei principi di legalità e di tipicità.

Bancarotta da reato societario, elemento soggettivo con struttura complessa

Con riferimento alla posizione del presidente del consiglio di amministrazione della Spa, la Quinta sezione penale della Cassazione ha accolto il motivo di ricorso concernente l'elemento soggettivo della bancarotta societaria di cui all'art. 223, comma secondo, n. 1, Legge Fallimentare.

Secondo gli Ermellini, la decisione di appello aveva errato nella ricostruzione di tale elemento, essendosi soffermata solo sulla copertura soggettiva dell'evento del reato ma dimenticando che anche il reato presupposto di falso in bilancio deve essere integrato nelle sue componenti soggettive.

Oltre alla "volontà protesa al dissesto", infatti, deve sussistere anche l'atteggiamento psicologico richiesto dal reato societario, nella specie dall'art. 2621 c.c. che, nel testo vigente al momento del fatto, richiedeva il dolo generico del falso, il dolo intenzionale dell'inganno rivolto a soci o al pubblico, il dolo specifico del fine di conseguire un ingiusto profitto.

La Corte di legittimità, sul punto, ha avuto modo di chiarire che nel reato di bancarotta impropria da reato societario di falso in bilancio, l'elemento soggettivo presenta una struttura complessa comprendendo - oltre alla consapevole rappresentazione della probabile diminuzione della garanzia dei creditori e del connesso squilibrio economico - il dolo generico (avente ad oggetto la rappresentazione del mendacio), il dolo specifico (profitto ingiusto) ed il dolo intenzionale di inganno dei destinatari.

Nel suo ricorso, in proposito, l'imputato aveva posto in risalto come il giudice di merito avesse omesso di considerare le iniziative che aveva assunto al fine di impedire l'approvazione del bilancio, avvenuta contro la sua volontà, dopo che l'esperto da lui incaricato della verifica della situazione contabile non aveva avuto accesso alla documentazione.

In tale contesto, l'errore di impostazione in cui erano caduti i giudici di appello si traduceva in vuoto motivazionale, in quanto era stato del tutto omesso l'esame del profilo soggettivo nella sua struttura complessa.

Da qui l'annullamento della condanna impartita, questa volta, però, con rinvio al giudice di merito.

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